lunedì 16 novembre 2009


Sabrina,
viaggio agli inferi
di un reparto di rianimazione
di Sabrina di Giulio

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4 commenti:

Fabio e Fabrizio ha detto...

Sabrina ha 44 anni e da 15 è malata di Sla. E’ sposata, ha un figlio adolescente e necessita 24 ore al giorno di assistenza, che le forniscono in gran parte i suoi familiari. Tutto è cominciato con la perdita di forza in una mano ma ben presto sono subentrati problemi di deglutizione e di respirazione. In seguito al parto, proprio quando le veniva richiesta maggiore energia per far fronte alle esigenze del piccolo, il peggioramento è stato più rapido. Prima che la malattia glielo impedisse insegnava educazione fisica alle scuole elementari. Vive in un piccolo paese in provincia di Viterbo dove, proprio per le dimensioni ridotte del centro, è molto difficile ricevere un’assistenza adeguata. Sabrina è consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni e questo è il suo intervento all’ultimo congresso. Intervengo al congresso dell’associazione per la prima volta dopo la morte di Luca. E’ come se, con lui, fosse morta una parte di me e tornare al congresso mi dà molta tristezza, però mi farebbe piacere rimanere nell’Associazione perché per me è una cosa cara. La mia stima nei confronti di Luca, come precursore dei tempi e per la sua intraprendenza e lungimiranza, mi ha fatto tirare indietro; non potevo e non volevo essere la sua sostituta, perché lui è insostituibile. Il mio piccolo contributo di persona malata è quello di mettere in evidenza le difficoltà che vivo quotidianamente. In seguito ad un piccolo intervento ho vissuto un’esperienza nel reparto di Rianimazione che si è trasformato in tragedia. Per una malata di Sla come me, impossibilitata a comunicare con chi non mi conosce e mi frequenta tutti i giorni, essere lasciata sola in condizioni di grande sofferenza fisica, è stata una cosa che ha offeso la mia dignità e mi ha umiliato profondamente. Ovviamente gli infermieri e i medici garantiscono un'assistenza a tutti i malati del reparto, ma non possono accogliere le singole esigenze. Questo si traduce inevitabilmente in una vera e propria tortura per un paziente cosciente e vigile come me e come tanti altri. E’ stato come fare un viaggio negli inferi. Mi domando se questi reparti, così importanti, non dovrebbero essere finanziati, come in alcuni paesi esteri, in modo che ci sia un infermiere per ogni paziente, così da rendere la triste permanenza più umana. Un’altra esperienza che sto vivendo è quella degli arresti domiciliari, pur non avendo commesso alcun reato. Il fatto è che le cooperative che erogano l'assistenza non si vogliono assumere la responsabilità del trasporto in auto. Quindi, la mia fortuna di essere ancora in condizioni di uscire, si è trasformata in una condanna. Stiamo cercando di risolvere questo paradosso; credo che, per ovviare a queste contraddizioni, ci sarebbe bisogno di progetti di assistenza molto personalizzati. Grazie per l’impegno e la preziosa attività svolta dai membri dell’Associazione.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Chi è Sabrina:
Il mio nome è Sabrina e ho 39 anni. Sono un’insegnante elementare e di educazione fisica. Potete immaginare quale importanza avesse per me il movimento e quale senso di smarrimento mi aveva assalito quando, dieci anni fa, mi è stata diagnosticata la Sclerosi Laterale Amiotrofica. I medici però, mi avevano detto che il danno era localizzato al braccio sinistro e che potevo affrontare tranquillamente una gravidanza. E' stata dura per me accettare il progressivo e rapido peggioramento che il parto ha sicuramente accelerato, proprio quando avrei avuto bisogno di maggiore energia per far fronte alle esigenze del piccolo. Fortunatamente il mio istinto materno mi ha stimolato a reagire. Nonostante la mia forza nell’affrontare il quotidiano, ho anche molti momenti di rabbia, quando non riesco a fare neppure una carezza ai miei cari o non posso andare con mio figlio da qualche parte o quando non riesco a comunicare con gli altri. La SLA è una malattia terribile perché ha effetti devastanti sul sistema neuro- muscolare; io attualmente cammino con l’aiuto di una persona, perché non ho equilibrio; devo essere aiutata nelle cose quotidiane come lavarmi, vestirmi, mangiare. Deglutisco con difficoltà, riesco a mangiare quasi tutto anche se poco e molto lentamente e poi completo la mia dieta con degli integratori alimentari. La cosa che più mi rattrista è la mia difficoltà di linguaggio, dovuta sempre ad un fatto muscolare; solo le persone che mi frequentano per un po’ riescono a capirmi e non tutte: dipende dalla loro disponibilità all’ascolto. Molti provano imbarazzo, e li comprendo; altri preferiscono pensare che io non capisco più niente, essendo quasi muta, e questi mi fanno saltare i nervi! Solo da tre anni sono riuscita ad avere dalla ASL un computer dotato di un programma particolare, che mi permette di fare qualunque cosa, come scrivere o andare su internet. E’ stato molto importante per me, perché ha colmato in parte il mio silenzio, ma soprattutto perché ho riacquistato uno spazio di autonomia, ed è stato bellissimo. E’ fondamentale, in una patologia che costringe a dipendere completamente dagli altri, ritagliarsi momenti in cui ci si può sentire ancora normali e sani! I primi anni la malattia ha avuto un decorso molto veloce, poi ha rallentato. In questi anni ho fatto l’unica cura ufficiale a base di riluzolo e poi una serie innumerevole di cure alternative come l’ayurveda, la medicina cinese, quella africana e molte altre che ho persino dimenticato. Ho incontrato persone in buona fede e altre senza scrupoli, pronte a speculare persino sulla malattia. Faccio regolarmente fisioterapia e i normali controlli di routine. A tale proposito mi succede che, dopo le visite, impiego molto tempo per riprendermi dalla tristezza. Il muro che c’è tra medici e pazienti potrebbe essere abbattuto, in favore di un rapporto più umano. Una parola di speranza detta da un dottore può avere un potere terapeutico molto più efficace di qualunque farmaco. Essere trattati solo come malati, inoltre, comporta il rischio che, una volta fuori dallo studio medico, la persona continui a identificarsi unicamente in quel ruolo. Questo può portare alla depressione, che può avere un effetto più distruttivo della malattia stessa. Un ruolo fondamentale hanno i miei familiari che con il loro affetto mi aiutano ad andare avanti e mi fanno sentire amata. Mio marito, mio figlio e gli altri componenti, mi sono vicini e mi fanno sentire parte integrante della famiglia.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Io faccio la mia parte, occupandomi attivamente della organizzazione della casa e del bambino. Trascorro un bel po' di tempo al computer, perché collaboro con l’Associazione Luca Coscioni. Da quando sono malata ho imparato a capire i miei desideri, ad essere più attenta ai miei stati d’animo e a rispettarli. La mia forte convinzione che la malattia sia una manifestazione esteriore di una causa più profonda, inconscia, mi ha spinto verso una ricerca interiore, che mi sta facendo conoscere meglio me stessa. "Fermarmi" ha comportato un nuovo confronto con gli altri e occhi diversi per guardare dentro di me. Oggi sono più consapevole e so capire meglio dove voglio andare. In questo mi è stato molto d’aiuto il lavoro fatto con la psicologa. Una cosa che mi aiuta, soprattutto nelle giornate di depressione, quando i brutti pensieri mi assalgono, è la recitazione di un mantra buddhista che ha la capacità di farmi vedere le cose da un punto di vista diverso, più ottimista. Avere un atteggiamento positivo e trovare ogni giorno una rinnovata speranza di guarigione, è secondo me la carta vincente per sopravvivere a questa terribile patologia. La ricerca sulle cellule staminali embrionali umane costituirebbe una reale possibilità di cura per la mia e per molte altre malattie incurabili, se non fosse stata vietata dalla legge 40 sulla fecondazione assistita. Per questo motivo è importante appoggiare Luca nella sua battaglia, per liberare la ricerca sulle staminali. Mi piacerebbe far capire a tutti, quanto possa divenire insopportabile per me, vivere con i limiti imposti da questa malattia altamente invalidante, non potendo più sperare in qualche scoperta scientifica , che possa migliorarmi la vita . Se non avessi avuto in questi dieci anni la convinzione che si può trovare una soluzione alla mia malattia, non sarei ancora qui oggi, ve l’assicuro! Quello che mi ha dato e mi dà la forza di andare avanti è soprattutto un atteggiamento positivo, vitale, che solo la speranza può dare! Per questa speranza io ho votato 4 sì ai referendum abrogativi della legge 40, una legge oscurantista che getta ulteriore ombra nella mia vita e in quella dei malati come me!

Fabio e Fabrizio ha detto...

NEL 2008 SABRINA SCRIVEVA AL PRESIDENTE MARRAZZO:

Lettera aperta di Sabrina Di Giulio al Presidente della Regione Lazio
Gentile Dott. Marrazzo, sono una donna disabile di 43 anni, e da 14 sono malata di SLA, come il mio caro amico Luca Coscioni. Anch' io necessito di essere accudita in tutti i campi, avendo perso l'autonomia del mio corpo. Riesco ad avere autonomia solo con il computer.
Vivo con mio marito e mio figlio di 13 anni; da qualche anno per sopperire alla carenza di assistenza, avendo io bisogno di cure h. 24, si sono trasferiti da noi anche i miei genitori di 73 e 85 anni, che si prendono cura di me per la maggior parte del tempo.
Il mio distretto sanitario di Vetralla e il mio comune di Monterosi, mi forniscono un servizio di assistenza domiciliare, 2 ore e mezza al giorno, per 5 giorni a settimana, che alleviano in parte il carico alla mia famiglia. Ora mi hanno comunicato che questo servizio dal 30 settembre verrà sospeso, perchè non arrivano i fondi regionali e da qualche mese, le assistenti stanno lavorando senza ricevere lo stipendio dalla cooperativa.
Le sembra giusto che una persona nelle mie condizioni di salute venga privata anche di quel minimo aiuto? E che le assistenti debbano lavorare tanti mesi senza essere retribuite?
Certa e fiduciosa di una Sua tempestiva mobilitazione La ringrazio per la cortese attenzione e Le porgo cordali saluti
Monterosi 26/9/2008
Sabrina Di Giulio