lunedì 30 novembre 2009

Lettera di protesta del marito
di una donna affetta da Sla
S. L. A. : tre lettere con un significato spaventoso.
S. L. A.: un terremoto emozionale nella vita del malato ed in quella di chi lo ama.
S. L. A. : il mondo intorno continua a correre ma quel corpo smette di seguirlo.
S. L. A : la sua mente continua a volare ma si ritrova sempre più solo…
Incompreso
Abbandonato
Umiliato
Deluso…

CLICCA SU COMMENTI

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Lettera di protesta di un marito di una paziente di Sla
S. L. A. : tre lettere con un significato spaventoso.
S. L. A.: un terremoto emozionale nella vita del malato ed in quella di chi lo ama.
S. L. A. : il mondo intorno continua a correre ma quel corpo smette di seguirlo.
S. L. A : la sua mente continua a volare ma si ritrova sempre più solo…

Mia moglie Giulietta sono più di otto anni che vive questa terribile malattia che toglie ogni dignità.
La nostra famiglia è stata duramente provata dalla prigionia che la S. L. A. ti impone, serve assistenza 24 ore su 24. All’inizio provi a reagire, ce la metti tutta, ti comporti in modo energico, ti fai portavoce di buoni propositi, ti organizzi con dei turni alternati, ti concedi fino a sentirti morire. E’ difficile stare accanto ad una persona che vede crollare giorno dopo giorno le sue forze,la sua grinta e, soprattutto, i suoi sogni. E’ difficile perché tu la ami e sai benissimo che non c’è possibilità di miglioramento e che dietro ogni tuo finto sorriso si nasconde l’impalcatura della pietà e del dolore.
Il suo di dolore, perché la vedi regredire giorno dopo giorno, perché ha bisogno di te in un modo che sai che la umilia ed il tuo di dolore perché vorresti regalargli un po’ della tua energia e forse sai, inconsciamente, ma non troppo, che la userebbe per farla finita.
Voglio morire: è questa la frase che mia moglie ha ripetuto più spesso nei primi anni della malattia. Cercava la donna che era stata fino a poco prima, la moglie, la madre, la giovane nonna piena di cose da fare, di cose da dire, di cose ancora da imparare. Che senso ha, mi ripeteva , vivere in questo modo? E quando non potrò più camminare? E parlare? Abbiamo tentato in tutti i modi di dissuaderla da questa idea, forse per un nostro egoismo, per la paura di non averla più con noi. E allora l’abbiamo riempita di promesse su quanto la medicina stesse progredendo, seppur lentamente, su quanta organizzazione ci fosse intorno a questa nuova malattia del secolo, su quanta buona volontà di farla sentire utile ed indispensabile.
E così è stato. Almeno per noi.
Ma ci sentiamo soli.
Ora non sono più così stupito nel sentirmi fare quella proposta da mia moglie…lei vuole vivere con me solo dignitosamente l’ultimo periodo della nostra vita insieme ma riteniamo, da quello che succede negli ultimi tempi, che la nostra esistenza sia solo un calvario e se le nostre ragioni non saranno ascoltate noi abbiamo intenzione di rivendicare la scelta di morire.
Ora non sto più qui ad elemosinare quello che ci è dovuto: vogliamo un’adeguata assistenza che ci permetta di non essere più vegetali. Uso il plurale perché, ormai, mi sento parte integrante di mia moglie e sua voce reale più che portavoce. Sento il suo grido nella gola, quel grido che non può esprimere ma che io voglio urlare in faccia a tutti coloro che si fanno paladini del diritto di vita, che parlano dall’alto della loro situazione di normalità, quella che ormai per noi è diventata un lusso.
E’ facile dire quando non conosci sulla pelle un disagio così grande, quando ogni giorno ti regala un sorriso, una nuova giornata o, fosse anche un’arrabbiatura,… ma almeno ti regala qualcosa da vivere.
Quello che chiediamo è semplice, così semplice che mi sembra assurdo anche sottolinearlo, ma lo farò:

Anonimo ha detto...

l’assistenza che abbiamo non è insufficiente in termini di ore ma è carente dal punto di vista della preparazione degli operatori che ci vengono mandati i quali, spesso , non conoscono la malattia e, noi familiari, ci ritroviamo a fargli comprendere che ci vuole molta più sensibilità rispetto a quella che impiegano.
Vorremmo che questi operatori venissero formati non da noi, perché comporta per i familiari uno stress molto forte, ma da persone altamente specializzate della Sanità che possano prepararle psicologicamente all’incontro con assistiti dal corpo infermo ma dalla mente vivace.
Vorrei ricordarvi che, in una malattia che priva di tutta la parte motoria, ma senza alterare le capacità celebrali, l’energia vitale del paziente viene convogliata al cervello. Si arriva a pensare così tanto quasi da impazzire poiché è l’unica cosa permessa, si osservano anche i più piccoli particolari, le sfumature nelle espressioni, si sviluppa la capacità di comprendere da una semplice piega di un sorriso o da una leggerissima ruga d’espressione, per non parlare poi dell’inclinazione del tono di voce o del leggere in un sospiro di fastidio o di gioia.
Questa mia umile protesta vorrei fosse vista in positivo perché vuole solo cercare di ottimizzare il difficile lavoro che questi assistenti svolgono. A questa considerazione sono arrivato dopo quasi nove anni di dolorosa esperienza vissuta e per questo vorrei mettere a fuoco alcune problematiche:
1) l’operatore non dovrebbe svolgere altro lavoro prima, - ospedali, cliniche, altri pazienti-, perché molti di loro arrivano a lavorare anche dodici ore al giorno ed in questo modo sono stanchi e non possono avere la lucidità e la pazienza necessarie per un paziente S. L. A.
2) Sarebbe opportuno che gli operatori ruotassero con più frequenza per non caricarsi di questo forte impatto emotivo giornaliero che potrebbe togliere loro il sorriso e la disponibilità.
3) Gli operatori dovrebbero essere preparati ad un atteggiamento remissivo o aggressivo del paziente S. L. A. Chi, in quelle condizioni,decidendo di vivere e combattere o di lasciarsi andare e deprimersi non ha il diritto di esternare la propria rabbia? Ironicamente ci si sente stressati per piccole problematiche giornaliere, come non passare ad un paziente S. L. A. la sua rabbia verso la vita?
4) Sarebbe anche gradita una figura ASL che, nel caso noi parenti ci trovassimo in difficoltà con un operatore dotato di poco tatto, potesse certificare l’idoneità e la capacità soprattutto psicologica del suddetto tramite un controllo campione durante tutto il turno che, peraltro, è ben retribuito.
Vi ricordo che, nonostante quello che si dica nelle statistiche, noi ci ritroviamo a vivere in un quartiere di Roma ( Tuscolano ) con la più alta densità della malattia. Ce ne sono ben tredici di malati S. L. A. su un abitato di duecentomila persone. Un malato S. L. A. in terapia intensiva in ospedale costa circa millesettecentoquaranta euro al giorno contro i soli duecentoquaranta euro in assistenza a casa.
Quello che noi vi chiediamo di incrementare sono le uniche cose a COSTO ZERO: UMANITA’, SENSIBILITA’ e DISPONIBILITA’.

Ancora speranzoso (per poco)
Il marito di Giulietta
Saverio Rossetti