mercoledì 7 aprile 2010


Appello da Brindisi: «Mio marito ha la Sla

e tutti ci abbandonano»

3 commenti:

Fabio e Fabrizio ha detto...

BRINDISI - Michele sta seduto sulla poltrona con la stufa accesa e i palmi delle mani poggiati su tre cuscini gialli che ha sulle gambe. È semiparalizzato. Ha solo 65 anni ed è malato gravemente: ha la Sla (la sclerosi laterale amiotrofica). La terribile condanna è arrivata in un bel giorno di settembre. Solo sette mesi fa. Da allora per l’ex meccanico di impianti, originario del Viterbese, e per tutta la bella famiglia Corinti, cinque figli, di cui l’ultimo ancora studente, è stata una svolta drammatica.

Aveva da poco eseguito una serie di accertamenti tra cui la risonanza magnetica per cercare di dare una giustificazione a quel fastidioso dolore alla spalla e al fatto che spesso inciampava e cadeva. E poi le parole. Ogni tanto balbettava. Era la Sla. Nemmeno il cancro fa tanta paura. Ma lui non lo sapeva. Neppure sua moglie, la signora Lina, una bella donna, alta e forte, aveva compreso la gravità di quel male. Fino a quando il medico che lo segue non l’ha affrontata a muso duro. Non ci sono cure che arrestino la Sla. Se non si ferma da sola, miracoli che qualche volta avvengono, procede inesorabile. E rapida. Silente ed infida si impadronisce lentamente di tutto il corpo. Ciò che è peggio è che priva anche della parola. Causa una condizioni di totale isolamento.

Michele, però, anche se è inchiodato alla poltrona, ha coraggio da vendere. Non si è tirato indietro davanti alla somministrazione di farmaci sperimentali. Se lo chiameranno, andrà. Prova a parlare, a comunicare. Lo fa lentamente, ma arriva al punto senza lasciarsi minimamente intimidire dalla malattia. Chiede e pretende assistenza. Non ha paura di niente. Non teme la morte di cui parla ironico, figuriamoci se lo spaventa una denuncia. È sul tavolo, pronta a partire. Nei prossimi giorni, consegnerà l’esposto nelle mani di Marcella Mancini, coordinatrice del Tribunale per i diritti del malato e ai legali del movimento affinché chiedano il riconoscimento del diritto alle cure garantito dall’«assistenza domiciliare integrata».

Fabio e Fabrizio ha detto...

Si è fatto un gran chiasso, ma sono parole vuote. Primo perchè la Asl, secondo Michele Corinti, non gli concede che poche ore di fisioterapia domiciliare che esegue due volte la settimana per quaranta minuti ogni volta. In tutto 72 ore l’anno, con sospensione del servizio nell’ultima settimana del mese. «In quella settimana mio marito peggiora, i dolori aumentano e non cammina più», dice la moglie Lina.

Incredibile per un malato giunto ad uno stadio di malattia tanto avanzato, che da quel trattamento trae beneficio. Incredibile, inoltre, perchè il neurologo dell’ospedale Perrino che lo segue fin dall’inizio, ha prescritto per lui fisioterapia continuativa. Ma qualcuno alla Asl ha stabilito diversamente. Sembra la fisiatra che ha predisposto il piano terapeutico.

Tutto ciò lascia perplessi. Inutile dire che la famiglia, mamma casalinga, che vive con la pensione di Michele, non potrebbe sostenere un simile peso economico. E, sempre a proposito di assistenza domiciliare «integrata» c’è altro da aggiungere. Riguarda il Comune: è stato richiesto dal medico l’intervento di un assistente sociale, ma tale figura professionale non si è mai vista.

«Sono inchiodata a casa, se qualche volta riesco ad uscire è solo grazie ad un vicino che viene a fargli compagnia. - dice la signora Lina -. Mio marito era uno sportivo, faceva chilometri a piedi... non doveva finire così», dice, infine, mentre con una carezza gli rinnova tutto il suo amore. Oggi, dopo quarant’anni, ancora più grande.

Sono diverse nella provincia le famiglie sole che si sentono abbandonate dalle istituzioni che elargiscono pochi spiccioli di assistenza. Lo segnala anche il rapporto annuale del Tribunale del malato nelle mani della direzione sanitaria.

IL RESPONSABILE: IL TRATTAMENTO SI PUO' RIVEDERE
«Il piano di trattamento terapeutico lo predispone il fisiatra. Nel caso del signor Michele la fisiatra, dott. Tafuro, ha riconosciuto al paziente il massimo delle ore (72) di terapia riabilitativa stabilito dalle linee guida dell’Azienda sanitaria, criteri fissati secondo valutazioni di carattere scientifico».

Antonio Campa, responsabile del servizio di «Assitenza domiciliare» della Asl è dispiaciuto che la vicenda sia passata prima dal Tribunale del malato quando sarebbe stato più semplice che la moglie del paziente si fosse recata nel suo ufficio con la richiesta del medico curante.

«Si tratta di linee indicative, che possono essere riviste all’occorrenza», riconfermando massima disponibilità. Ancora una volta si rileva scarsa comunicazione tra medici, uffici e pazienti. Resta il fatto che le linee guida entrate in vigore da pochi mesi hanno ridotto il numero massimo delle ore concesse da 80 a 72. Otto ore che spalmate su un anno sono meno di un’ora al mese. Come dire niente. Tagliare ancora, in casi gravi come quello dei malati di Sla, potrebbe comportare, come se non bastassero quelle già patite, altre sofferenze.

Anonimo ha detto...

condivido tutte le riflessioni e critiche riportate nella storia di Michele,anche mia moglie Rosa 55 anni è affetta da sla da appena un anno.Abitiamo a Santelia,Brindisi, e anche noi viviamo oltre l'incubo della malattia la ineguatezza dei sostegni sanitari.Anche a noi ci toccano 2 sedute settimanali di fisio che integriamo con altre private a pagamento ma ora che ho letto la vostra storia chiedero al dott.Campa una seduta supplementare prima che anche noi si vada al Tribunale del malato.
Comprendo cio che vive la signora Lina e non voglio aggiungere altro solo l'aggiunta che i nostri due figli sono a mille km.per lavoro,quindi siamo soli,ed è molto dura .
Saluti fraterni simminifranco@libero.it