martedì 2 marzo 2010

Mina Welby pronta a aiutare malato di Sla

che chiede la sospensione delle cure

1 commento:

Fabio e Fabrizio ha detto...

Voglio fare la scelta di Welby". Lo aveva detto quasi subito a Mina Welby, moglie di Piergiorgio, malato di distrofia muscolare progressiva che dopo ripetuti appelli si e' fatto staccare il respiratore artificiale che lo teneva in vita. Lui, un ex insegnante malato di Sla che vive nel Lazio, continua a inviarle un'email dietro l'altra. Le racconta di essere stanco, "chiede di essere lasciato andare". A nulla sono serviti i tentativi di migliorargli ulteriormente l'assistenza, gia' di ottima qualita', di farlo uscire dalla solitudine in cui si e' rinchiuso.
"E' una persona molto intelligente ed e' determinata", spiega a margine di un incontro sulle cure palliative all'universita' Statale, Mina Welby. E proprio la sua determinazione l'ha persuasa: "Mi muovero' per aiutarlo. Comincero' contattando i medici rianimatori che lo assistono per capire se esiste un modo per concludere questa vita, un protocollo da eseguire. Perche' negli ospedali si fa, lo sanno tutti. Basta trovare il medico giusto. Questa persona non l'ha trovato".
Non e' il primo Sos che lancia. La prima email risale circa a un anno fa. "Di recente aveva persino pubblicato un messaggio su Facebook in cui chiedeva di morire, ma gli e' stato cancellato per non creare clamore. E anche io non voglio dire di piu' per evitare che venga individuato". Welby chiama in causa la storia di questo ex insegnante del Centro Italia come caso emblematico. "Sottolineo che lui ha un'ottima assistenza e nonostante tutto vuole morire". La donna, alle prime richieste, ha tentato di migliorare ulteriormente la sua qualita' di vita. "Con la moglie abbiamo fatto di tutto, abbiamo ottenuto il comunicatore e io gli ho detto di provare a scrivere ai suoi ex alunni, perche' si puo' comunicare con gli occhi, dipingere, restare in contatto con il mondo. Ma non e' servito a nulla. Dopo 5 mesi e' tornato a chiedermi di terminare la sua vita".
Un "grave dilemma", lo definisce Welby. I camici bianchi "sono contrari a togliergli la respirazione artificiale. Lui avrebbe voluto rifiutare la tracheotomia ma il suo medico lo ha ricattato: o te la fai fare oppure ti tolgo l'assistenza, ti lascio solo. E' terribile, non si fa". Da qui la decisione di "chiedere ai rianimatori un atto di grazia per lui. Mi manda un'email dietro l'altra. E io di nuovo provero' a dirgli di tirare avanti, di vivere. So gia' che lui piangera'", racconta Welby.
Come lui altri pazienti. "Ne ricordo uno per tutti: Paolo Ravasin, che vuole comprarsi un camper per andare a morire a Zurigo. Ma ricevo moltissime lettere di altri malati". C'e' chi chiede aiuto per accedere a terapie come la cannabis terapeutica e chi, soprattutto nel Sud Italia, e' completamente solo.
"Da Roma in giu' anche le cure palliative vengono prescritte con il contagocce. Mi viene in mente il caso di un malato di Sla che era senza assistenza a sei anni dalla diagnosi. La moglie non riesce a manovrare il suo corpo completamente paralizzato. Finalmente ho ottenuto dal Comune di Guidonia, dove vive, la garanzia che da marzo avra' assistenza per 10 ore a settimana. Il Comune si e' mostrato sensibile e ha anche suggerito alla famiglia di assumere una persona chiedendo l'assistenza indiretta, un budget che copre le spese. Non tutti hanno la stessa fortuna, spesso sono la solitudine e l'abbandono ad avere la meglio".