Fingolimod: ecco la pillola contro la Sclerosi multipla speranza forse anche nella SLA !!!
I risultati sono positivi e gli effetti collaterali ridotti
I risultati sono positivi e gli effetti collaterali ridotti
L'azienda farmaceutica Novartis ha fatto ufficiale richiesta all'americana FDA e alla "collega" europea EMEA (le agenzie del farmaco dei 2 continenti) per autorizzare il Fingolimod, prodotto contro la malattia.
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Da oggi, passo avanti nel contrasto alla sclerosi multipla.
L'azienda farmaceutica Novartis ha fatto ufficiale richiesta all'americana FDA e alla "collega" europea EMEA (le agenzie del farmaco dei 2 continenti) per autorizzare il Fingolimod, prodotto contro la malattia.
Secondo i creatori il Fingolimod (da assumere per via orale) è l'apripista di una nuova famiglia di principi attivi, i modulatori del recettore della sfingosina 1-fosfato, capaci di ridurre l'infiammazione e di agire sulle cellule del sistema nervoso centrale. Tali risultati sono stati raccolti in un dossier, ora al vaglio delle autorità, che contiene l'esito dei due studi registrativi di fase clinica III "Transforms" e "Freedoms", pubblicati sul "The New England Journal of Medicine".
Tali ricerche hanno messo alla prova il prodotto in due dosaggi diversi (0,5 e e 1,25 mg) dimostrando l'efficacia e la tollerabilità della molecola e un miglior profilo rischio-beneficio per la dose 0,5 mg, oggetto della richiesta di autorizzazione.
La ricerca "Transforms" è durata 1 anno ed ha coinvolto 1.292 volontari, che hanno ricevuto 0,5 mg di Fingolimod. Alla fine, i medici hanno constatato come il farmaco aveva ridotto e ricadute del 52% (-38% al dosaggio 1,25 mg) rispetto a interferone beta-1a per via intramuscolare.
"Freedoms" è durato 2 anni, si è basato su 1.272 pazienti, ed ha visto il Fingolimod in contrapposizione con un placebo. Al termine del test, il farmaco ha ridotto il tasso di ricadute del 54% alla dose di 0,5 mg e del 60% a 1,25 mg. Inoltre, ha anche diminuito il rischio di progressione della disabilità a 3 e 6 mesi, del 30% e del 37% rispettivamente al dosaggio di 0,5 mg e del 32% e 40% a 1,25 mg.
In più, va notato come in entrambi gli studi, l'utilizzo del composto abbia ridotto in maniera significativa le lesioni celebrali attive (osservate tramite risonanza magnetica). L'adesione al trattamento è stata migliore per i pazienti del gruppo 0,5 mg, dose in cui gli effetti collaterali (comunque transitori, precisa Novartis) sono stati inferiori.
Sono anche interessanti i dati su infezioni e neoplasie. Riguardo all'incidenza globale d'infezioni, essa è stata simile in tutti i gruppi, pur con un leggero incremento di infezioni polmonari (soprattutto bronchiti) nei pazienti trattati con Fingolimod. Anche l'incidenza di neoplasie è risultata simile nei gruppi controllo e nei gruppi Fingolimod, con casi più frequenti nel gruppo trattato con Fingolimod per la ricerca "Transform", mentre i casi sono stati più frequenti nel gruppo placebo per la ricerca "Freedoms
In arrivo un farmaco che si è dimostrato in grado di ridurre il rischio di progressione della disabilità nella sclerosi multipla e che, a differenza delle attuali terapie, somministrate per via intramuscolare o per infusione, potrà essere assunto per via orale. Lo dimostrano due studi pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine. Gli studi Transforms e fFeedoms, pubblicati sul New England Journal of Medicine, dimostrano che il nuovo farmaco (FTY720) riduce il rischio di ricadute, di progressione della disabilità e le lesioni cerebrali.
Più efficace dell’interferone beta-1a e con un buon profilo di tollerabilità, grazie a un innovativo meccanismo di azione, il nuovo farmaco, affermano gli esperti, potrà aprire una nuova strada nella terapia di questa patologia. Allo studio hanno partecipato anche sperimentazione clinica con 22 centri e 250 pazienti.
Come agisce TY720 potrebbe essere la prima terapia approvata appartenente ad una nuova classe di farmaci: i cosiddetti modulatori del recettore della sfingosina 1-fosfato (S1P). Questi farmaci riducono l’infiammazione e possono avere un’azione diretta sulle cellule del sistema nervoso centrala. La nuova molecola agisce selettivamente sequestrando alcuni linfociti (un sottogruppo di globuli bianchi) nei linfonodi e riducendone il numero che raggiunge il cervello, dove possono causare una reazione infiammatoria. Il sequestro dei linfociti è reversibile: il numero di linfociti circolanti ritorna infatti ai valori normali quando il trattamento è interrotto.
Successo ricerca italiana La sperimentazione del nuovo farmaco è una nota di successo anche della ricerca clinica italiana. L’Italia ha infatti partecipato con 22 Centri e l’arruolamento di 250 pazienti allo studio internazionale TRANSFORMS, che ha coinvolto 172 centri di 18 Paesi. Oltre 2,5 milioni di persone in tutto il mondo (57.000 in Italia) sono colpite da questa malattia, che in genere colpisce giovani-adulti fra i 20 e 40 anni. La sclerosi multipla è una malattia autoimmune neurodegenerativa del sistema nervoso centrale e l’85% dei pazienti presenta una forma recidivante-remittente, causa di forti disabilità.
Grande passo avanti «Con una comoda somministrazione giornaliera orale – ha aggiunto – il nuovo farmaco si è dimostrato in grado di ridurre le ricadute e la progressione della disabilità con benefici clinici mantenuti anche nel trattamento a lungo termine», ha affermato Giancarlo Comi, neurologo all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e coordinatore dei centri italiani dello studio TRANSFORMS. Ed i risultati degli studi rappresentano un «importante passo avanti» anche per Jeffrey Cohen, della Cleveland Clinic Mellen Center per il Trattamento e la Ricerca nella Sclerosi Multipla, Cleveland (USA): «Le attuali terapie per la sclerosi multipla recidivante-remittente – ha commentato – sono infatti somministrate per via iniettiva o per infusione e ciò può influire negativamente sulla tollerabilità e sul proseguimento del trattamento».
Regolazione della proliferazione neuronale da parte dei messaggeri lipidici Sfingosina-1-fosfato(S1P) e Sfingosilfosforilcolina (SPC). Analisi della loro azione sull'omeostasi del Ca2+ nel reticolo endoplasmatico.
Gli sfingolipidi, oltre ad essere componenti ubiquitari delle membrane eucariotiche, giocano un ruolo importante nelle funzioni cellulari; infatti, sono coinvolti nella regolazione di diversi processi come la proliferazione, la crescita, la migrazione, il differenziamento, l’invecchiamento e l’apoptosi.
Gli effetti intracellulari di un metabolita sfingolipidico dipendono dallo stadio di sviluppo della cellula, dallo specifico compartimento subcellulare nel quale vengono prodotti e si ritiene che non sia tanto il quantitativo assoluto presente nella cellula ma i loro livelli relativi a determinare il destino cellulare. Questo ha spinto molti ricercatori a proporre il cosiddetto modello del “reostato” secondo il quale il mantenimento dell’equilibrio tra due diversi metaboliti sfingolipidici, come, ad esempio, la ceramide e la sfingosina-1-fosfato, sarebbe cruciale nel determinare se una cellula muore o sopravvive.
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare l’effetto proliferativo dei messaggeri lipidici Sfingosina-1-fosfato (S1P) e Sfingosilfosforilcolina (SPC) sulla linea cellulare HN9.10e, prodotta tramite fusione somatica di cellule ippocampali di topo e cellule di neuroblastoma murino, ed inoltre monitorare le variazioni dello ione Ca2+ indotte da questi lipidi nel reticolo endoplasmatico.
In questo lavoro abbiamo cercato di chiarire la localizzazione e il ruolo di un nuovo canale calcio identificato sul RE denominato SCaMPER la cui attivazione sembra essere mediata dagli sfingolipidi.
I nostri esperimenti hanno mostrato che per tempi brevi basse concentrazioni della S1P ed SPC hanno effetto mitogenico sulla nostra linea cellulare inducendo perdita di calcio dal reticolo endoplasmatico.
Abbiamo dimostrato che SCaMPER è coinvolto nelle dinamiche calcio indotte dagli sfingolipidi e che viene attivato con modalità diverse da S1P e SPC
Sulla rivista “Cell Metabolism” Un fattore cruciale per la distruzione delle cellule beta Nella ricerca, si è trovato che il fattore CXCL10 è cruciale per lo scatenamento della distruzione delle cellule beta: cellule che producono insulina isolate da pazienti di tipo 2, contengono livelli di CXCL10 30 volte superiori alla norma Il fattore infiammatorio chiamato CXCL10 rappresenta un marker precoce della perdita di cellule beta del pancreas che producono insulina, un processo critico che caratterizza la progressione del diabete. La scoperta, riportata sulla rivista “Cell Metabolism”, potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche per prevenire la morte di tali cellule o di recuperare quelle già perse. "Finora, l’idea corrente è stata che l’insulino-resistenza rena una persona diabetica, ma la perdita di cellule beta avviene sia nel diabete di tipo 1 sia in quello di tipo ”, ha commentato Kathrin Maedler del Dipartimento di medicina dell'Università della Californa a Los Angeles. I ricercatori hanno notato come solo il 10-20 per cento dei soggetti con insulino-resistenza sviluppano in seguito diabete di tipo 2, a causa di un malfunzionamento delle cellule beta. Se si potesse proteggere le cellule dall’espressione del CXCL10, che è un marker infiammatorio per entrambe le forme di diabete – sostengono i ricercatori – si potrebbe sperare di arrestare il declino delle cellule beta, e con esso il progresso della malattia. Il diabete di tipo 1 viene diagnosticato di solito in bambini o giovani adulti e deriva da un’incapacità di di produrre insulina. Il più comune diabete di tipo 2 insorge generalmente più tardi, quando l’organismo non riesce a produrre insulina a sufficienza o non risponde più all’azione dell’ormone. Nel diabete di tipo 1, le cellule beta vengono distrutte dal sistema immunitario e tale processo è caratterizzato dalla produzione di segnali infiammatori in alte concentrazioni. Nel caso del diabete di tipo 2, non è chiaro quale sia la causa della malattia. Il gruppo della Maedler ipotizza che i fattori infiammatori rivestano un ruolo anche in questo caso: i marker infiammatori, infatti, vengono riscontrati sia nell’obesità, sia nell’insulino-resistenza sia nel diabete. Nella ricerca, si è trovato che il fattore CXCL10 è cruciale per lo scatenamento della distruzione delle cellule beta: cellule che producono insulina isolate da pazienti di tipo 2, contengono infatti livelli di CXCL10 30 volte superiori alla norma. (fc) (04 febbraio 2009
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