domenica 2 ottobre 2011



AL SECONDO CONGRESSO

AriSLA

DUE SCUOLE DI PENSIERO

SI CONFRONTANO

9 commenti:

Fabio e Fabrizio ha detto...

Al secondo convegno AriSLA, Agenzia di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica, s’incontrano due scuole di pensiero della ricerca scientifica sulla malattia che ogni anno in tutto il mondo colpisce tre persone ogni 100mila e in Italia 5mila pazienti. Da una parte chi fa ricerca sulle cellule staminali, dall’altra i sostenitori della natura genetica della SLA. Sulla ricerca genetica si confronteranno John Landers, professore presso l’UMASS Medical School Department of Neurology (USA) uno degli studiosi che nel 2009 ha scoperto che le mutazioni del gene FUS sono la causa di alcune forme di SLA e il genetista Wim Robberecht dell’Università di Lovanio (Belgio).
Tra i principali argomenti di discussione tra i ricercatori la recente scoperta di un team italo-americano di un nuovo gene coinvolto nella SLA, il “c9orf72”, che sarebbe responsabile del 38% dei casi familiari e di circa il 4% delle forme sporadiche della malattia. Si tratta di un’importante scoperta che arriva sul fronte degli studi genetici sulla malattia che negli ultimi anni stanno aggiungendo sempre più tasselli alla comprensione delle sue cause, come sottolinea Giulio Pompilio, direttore scientifico di AriSLA: “Sul fronte della genetica gli studi hanno avuto un enorme impulso negli ultimi anni grazie alle nuove tecnologie disponibili, che permettono di sequenziare l’intero genoma umano in modo veloce e relativamente economico. Questi studi – ha proseguito Pompilio - hanno consentito di identificare geni sia causativi sia associati alla SLA e aperto nuove prospettive di ricerca riguardanti i meccanismi alla base della malattia, anche nelle forme sporadiche. Queste nuove tecnologie rappresentano una grande opportunità soprattutto per le diagnosi di predisposizione alla malattia e le terapie farmacologiche personalizzate.” Ma quale può essere il percorso attraverso il quale dagli studi genetici si potrà arrivare ad una cura per la SLA? Qual è il ruolo delle cellule staminali in cui si ripongono molte speranze oggi? Per rispondere a queste domande il “faccia a faccia” tra Nicholas Maragakis del Dipartimento di Neurologia del Johns Hopkins Hospital (USA) e Letizia Mazzini dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara, uno tra i pionieri internazionali nell’utilizzo delle cellule staminali. Le staminali, come hanno dimostrato gli studi degli ultimi anni, possiedono un elevato potenziale terapeutico, avendo la capacità di proteggere le cellule nervose. È necessario però che gli studi clinici siano condotti con assoluto rigore scientifico e normativo, al fine di poter valutare al meglio gli eventuali benefici. Intervengono all’incontro, tra gli altri, Roberto Formigoni, Presidente della Regione Lombardia e Giuseppe Guzzetti Presidente di Fondazione Cariplo, tra i soci fondatori di AriSLA. Nel corso del convegno, inoltre, la presentazione di otto nuovi progetti di ricerca tutti sostenuti da AriSLA nel 2011 con un finanziamento complessivo di un milione di euro. Si tratta di studi tutti italiani che spaziano dalla mappatura genetica della SLA, alla realizzazione di strumenti rapidi di diagnosi. C’è il primo studio al mondo sull’utilizzo della proteina HMGB1 nelle malattie neurodegenerative e c’è poi chi cerca meccanismi comuni al Parkinson e all’Alzheimer. Un importante progetto si occupa di EPO, l’ormone utilizzato come dopante nello sport da cui la comunità scientifica spera possa arrivare un nuovo farmaco. Un altro utilizza cellule staminali “bambine” ottenute facendo ringiovanire le cellule della pelle per studiare che cosa succede ai motoneuroni malati nella SLA e un altro ancora studia le molecole microRNA, gli “interruttori” dell’attività dei nostri geni. E c’è infine chi punta sul patrimonio genetico del moscerino della frutta che, per le sue affinità con quello umano, potrebbe permettere di arrivare a scoprire nuovi aspetti della malattia.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Sla, staminali e geni aprono la strada verso diagnosi e cura
Il puzzle ancora non risolto della Sclerosi laterale amiotrofica conquista ulteriori tasselli: nuove scoperte sulle cause genetiche e nuove prospettive di terapia si aggiungono al bagaglio di conoscenze di una malattia che ancora oggi non è né curabile né facile da diagnosticare. Non esiste, infatti, un esame o un test specifico per confermare la diagnosi, a cui si arriva dopo esame clinico eseguito da un neurologo esperto e analisi che escludono altre patologie.

Mutazione scoperta ma tutta da studiare
A ciò che oggi si conosce della genetica di questa malattia, e cioè che la mutazione di un gene chiamato Sod1 (di cui sono state identificate oltre 100 diverse mutazioni) può provocare la malattia nella sua forma familiare, vale a dire ereditaria, si aggiunge la scoperta di un nuovo gene responsabile, c9orf72. La sua mutazione, come spiega Adriano Chiò, direttore del Centro Sla dell'Ospedale Molinette, che ha preso parte allo studio «determina l'alterazione di una proteina e non è stata mai trovata in soggetti sani e pertanto viene considerata responsabile della malattia, ma ancora non conosciamo il meccanismo con cui può provocarla». Lo studio, ha analizzato 268 casi familiari di Sla americani, tedeschi e italiani e 402 casi familiari e sporadici (non familiari) finlandesi e ha permesso di scoprire che il 38% dei casi familiari e circa il 20% dei casi sporadici erano portatori di un'alterazione del gene c9orf72. Che si tratti di un importante passo avanti verso una potenziale terapia, lo sostengono gli autori e molti esperti «ma non ci darà risposte domani» aggiunge Chiò «d'altronde il coinvolgimento del gene Sod è noto dal 1993 e dopo 18 anni ancora non si conosce il danno che provoca, ma sono state avviate sperimentazioni su animali per silenziare la sua attività». L'alterazione del gene c9orf72 che è stata scoperta, tecnicamente si chiama espansione genica e come spiega Chiò, oggi «ci sono molti studi su questo tipo di mutazioni e sono considerate più aggredibili da una possibile terapia». I prossimi anni serviranno per studiarla e per comprendere il meccanismo con cui si produce il danno e se può diventare un indicatore di malattia. Va ricordato che la Sla ha, oltre alla componente genetica, anche una componente ambientale: «Non conosciamo le interazioni tra questo gene e l'ambiente, quindi anche queste andranno esplorate, anche perché non è detto che la presenza di un gene si traduca sempre in malattia» sottolinea l'esperto.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Risultati con le staminali: per ora solo di sicurezza
Il fronte della terapia procede anche sulla strada della sperimentazione dell'impianto di cellule staminali: «Argomento che genera molte aspettative nei pazienti» ci tiene a sottolineare Giulio Pompilio, direttore scientifico di AriSla, l'Agenzia di ricerca per la Sla «con il rischio di creare turismo sanitario verso paesi in cui le regole sono meno stringenti. Ma, il tema richiede un dibattito che deve restare nel rigore scientifico, che per ora ha visto la realizzazione di sperimentazioni precliniche e cliniche nell'ambito di un percorso regolatorio ben preciso». La ricerca sull'uso delle staminali è, infatti, arrivata alla sperimentazione di fase 1, in cui si valuta se una terapia è nociva, e per ora i risultati dicono che non ci sono problemi di sicurezza: «Ma bisogna capire quali staminali usare e con quali metodologie» sottolinea Pompilio. È, infatti, in attesa degli ultimi assensi da parte dei comitati etici lo studio italiano che sperimenterà il trapianto delle staminali neuronali di origine fetale nel midollo dei malati: «Le precedenti ricerche, fatte con le staminali ricavate dal midollo osseo» spiega Letizia Mazzini, responsabile del Centro Sla di Novara «avevano indicato come fosse possibile intervenire chirurgicamente sul midollo dei malati, anche se gli effetti e i benefici erano locali. Per questo il nostro obiettivo sarà di intervenire nelle aree midollari collegate alla respirazione e l'attività motoria superiore». Non ci sono per ora ricadute cliniche per i pazienti e uno degli aspetti critici della ricerca è la mancanza di casi su cui eseguire l'autopsia, procedura che permetterebbe di capire che cosa accade in seguito all'impianto delle staminali. Per esempio nelle sperimentazioni condotte ad Atlanta non è stato possibile farlo, come spiega la dottoressa Mazzini: «Quasi nessuno dei familiari di pazienti deceduti dà il consenso a eseguire questo tipo di indagini, nemmeno per quelli inseriti nella sperimentazione. Risulta quindi molto complesso studiare la patologia nel paziente. Bisognerebbe sensibilizzare i familiari a questo importante aspetto della ricerca sulla Sla».

Pino ha detto...

Ciao Fabio, vorrei conoscere il tuo parere a questo riguardo.

Pensi sia molto complicato controllare se la carenza dell'ossigeno disciolto nel sangue causi la mancata attivazione delle membrane cellulari polarizzate, e la conseguente disattivazione dei neuroni e delle altre cellule??

Se questo controllo fosse possibile, si capirebbe in modo chiaro, qual'è la causa della Sla.

Si capirebbe anche il perchè della mutazione dei geni come il SOD, come il c9orf72, o altri, le cui mutazioni sono considerate causa della Sla familiare e sporadica, però i medici-ricercatori non capiscono qual'è il meccanismo dei geni mutati che provoca l'insorgenza della Sla.
E' logico che non si capisca il meccanismo che provoca la Sla a seguito della mutazione dei geni, semplicemente perchè la mutazione dei geni avviene conseguentemente alla Sla, la quale insorge a causa della carenza dell'ossigeno disciolto paramagnetico sulle membrane cellulari polarizzate.

Come ho già scritto, in seguito alla carenza TEMPORANEA dell'ossigeno disciolto, che si verifica svolgendo le attività anaerobiche prolungate, le membrane cellulari non essendo eccitate dal paramagnetismo dell'ossigeno disciolto, non generano gli impulsi elettrochimici, si disattivano, causando la disattivazione anche delle cellule neuronali le quali hanno il compito di trasmettere gli impulsi che azionano i muscoli, causando in questo modo le mutazioni, o alterazioni dei geni riscontrati finora.

Apprezzerei un tuo commento Fabio.

Ti saluto.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Ciao Caro Pino,
Secondo me , in riferimento alla tua teoria la semplice misurazione della saturazione mediante pulsiossimetro ( ossimetro e/o saturimetro)non è sufficiente.
In quanto misura solo la quantità/percentuale di emoglobina legata nel sangue in maniera non invasiva ma non permette di stabilire con quale gas è legata l'emoglobina - l Hb sembra essere diamagnetica quando ossigenata ma paramagnetica quando non ossigenata.

Forse un esame importante, ma poco pratico e costoso, potrebbe essere la RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE ( RMF o FMRI ) .
Questo TIPO DI ESAME è in grado di visualizzare la risposta emodinamica- variazioni nel contenuto di ossigeno all'interno dei tessuni - correlata all'attività dei neuroni.

Questo tipo di esame eseguito in un malato di SLA supportato dalla tua teoria potrebbe aprire quelle porte chiuse.

Di seguito alla mia risposta ti copio dalla letteratura alcuni riferiemnti su questo tipo di esame.

Ciao
A presto Fabio

Fabio e Fabrizio ha detto...

La risonanza magnetica funzionale, abbreviata RMF o fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging), è una tecnica di imaging biomedico che consiste nell'uso dell'imaging a risonanza magnetica per valutare la funzionalità di un organo o un apparato, in maniera complementare all'imaging morfologico.


Dati da fMRI (in giallo) sovrapposti ad un template standard (immagine media dell'anatomia cerebrale di diversi pazienti)Sebbene risonanza magnetica funzionale sia una terminologia generica, ovvero applicabile a qualsiasi tecnica di imaging a risonanza magnetica che dia informazioni aggiuntive rispetto alla semplice morfologia (ad esempio imaging metabolico, quantificazione del flusso sanguigno, imaging dei movimenti cardiaci etc.), essa è spesso usata come sinonimo di risonanza magnetica funzionale neuronale, una delle tecniche di neuroimaging funzionale di sviluppo più recente.

Questa tecnica è in grado di visualizzare la risposta emodinamica (cambiamenti nel contenuto di ossigeno del parenchima e dei capillari) correlata all'attività neuronale del cervello o del midollo spinale, nell'uomo o in altri animali.

Fabio e Fabrizio ha detto...

è noto che le variazioni del flusso sanguigno e dell'ossigenazione sanguigna nel cervello (emodinamica) sono strettamente correlate all'attività neurale. Quando le cellule nervose sono attive, consumano l'ossigeno trasportato dall'emoglobina degli eritrociti che attraversano i capillari sanguigni locali. Effetto di questo consumo di ossigeno è un aumento del flusso sanguigno nelle regioni ove si verifica maggiore attività neurale, che avviene con un ritardo da 1 a 5 secondi circa. Tale risposta emodinamica raggiunge un picco in 4-5 secondi, prima di tornare a diminuire fino al livello iniziale (in genere scende anche sotto di esso): si hanno così, oltre che variazioni del flusso sanguigno cerebrale, anche modificazioni localizzate del volume sanguigno cerebrale e della concentrazione relativa di ossiemoglobina (emoglobina ossigenata) e deossiemoglobina (emoglobina non ossigenata).

L'emoglobina è diamagnetica quando ossigenata ma paramagnetica quando non ossigenata e il segnale dato dal sangue nella risonanza magnetica nucleare (RMN) varia in funzione del livello di ossigenazione. Questi differenti segnali possono essere rilevati usando un'appropriata sequenza di impulsi RMN, ad esempio il contrasto Blood Oxygenation Level Dependent (BOLD). Maggiori intensità del segnale BOLD derivano da diminuzioni nella concentrazione di emoglobina non ossigenata, dal momento che la suscettività magnetica del sangue risulta avere un valore più vicino a quello dei tessuti. Mediante analisi con scanner per imaging a risonanza magnetica, usando parametri sensibili alla variazione della suscettività magnetica, è possibile stimare le variazioni del contrasto BOLD, che possono risultare di segno positivo o negativo in funzione delle variazioni relative del flusso sanguigno cerebrale e del consumo d'ossigeno. Incrementi del flusso sanguigno cerebrale, in proporzione superiori all'aumento del consumo d'ossigeno, porteranno ad un maggiore segnale BOLD; viceversa, diminuzioni nel flusso, di maggiore entità rispetto alle variazioni del consumo d'ossigeno, causeranno minore intensità del segnale BOLD.

La scoperta dei principi chiave della risonanza magnetica funzionale e del segnale BOLD è accreditata a Seiji Ogawa e Kenneth Kwong

Fabio e Fabrizio ha detto...

Il fenomeno blood oxygenation level dependent, abbreviato con l'acronimo BOLD, è alla base delle variazioni di segnale RM proveniente dai singoli voxel del volume encefalico studiato sulla base di attivazione neuronale.

È noto che in base all'attivazione di una certa funzione (motoria, cognitiva, sensoriale...) si verifica un aumento di flusso ematico nelle zone popolate da cellule nervose coinvolte nella funzione attivata. Tale variazione di flusso causa una variazione di segnale misurato: l'emoglobina de-ossigenata possiede infatti proprietà paramagnetiche, a differenza dell'emoglobina ossigenata. L'aumento di concentrazione di desossiemoglobina provoca quindi cadute di segnale RM, la sua diminuzione causa un aumento di segnale, permettendo così di utilizzare l'emoglobina come mezzo di contrasto endogeno nello studio delle regioni cerebrali coinvolte dalla funzione studiata. L'andamento del segnale BOLD è tipico, ed è strettamente correlato ai fenomeni metabolici coinvolti nella attivazione dei neuroni: all'iniziale caduta di segnale dovuta ad un iniziale aumento di concentrazione di Hb de-ossigenata, conseguenza dell'estrazione di ossigeno dai capillari arteriosi, fa seguito un aumento di segnale dovuto all'aumento del flusso locale di sangue ossigenato nella sede attivata, che diluisce l'emoglobina de-ossigenata facendone diminuire la concentrazione. Con il passare dei secondi il metabolismo cellulare fa estrarre ulteriore ossigeno dai capillari, provocando così un progressivo aumento di concentrazione di desossiemoglobina, con conseguente caduta del segnale, che dopo aver raggiunto un minimo riprende ad aumentare fino a stabilizzarsi sul livello precedente all'attivazione.

Anonimo ha detto...

Ok Fabio, ti ringrazio.
Ciao