domenica 26 ottobre 2008

LA PROBABILE CAUSA
della SLA !?
STRESS ANSIA E DEPRESSIONE
OLTRE I LIMITI DI REGOLAZIONE

Stimoli cognitivi (stress) attivano (fase di allarme della reazione di stress) la via diretta del sistema nervoso simpatico "cervello-midollare surrenale" con produzione di catecolamine (adrelanina, noradrenalina, dopamina). Stimoli cognitivi o non cognitivi (batteri, virus, tossine, agenti fisici) inducono la produzione di CRH (corticotropin realising hormone) dall'ipotalamo e dal sistema immunitario (linfociti). Il CRH, a sua volta, può stimolare il rilascio di ACTH (ormone adrenocoticotropo) dall'ipofisi e di IL-1 (interleuchina-1) dai macrofagi. IL-1, a sua volta, può determinare un aumento di produzione del CRH dall'ipotalamo e del ACTH dall'ipofisi o dai linfociti B (attivazione dell'asse HPA nella fase di resistenza della reazione di stress). I glucocorticoidi (cortisolo), prodotti dalle surrenali, sollecitate dal ACTH, e il sistema nervoso parasimpatico "spengono" tutto (fase di esaurimento della reazione di stress).

QUESTA E' LA MIA TEORIA:
MATURATA NELL'OSSERVAZIONE DI ALCUNE CARATTERISTICHE COMUNI
RISCONTRATE IN DIVERSI MALATI..
PER SAPERNE DI PIU' LEGGI I COMMENTI......

27 commenti:

Fabio e Fabrizio ha detto...

Cosa è lo stress ?
Lo stress è sinonimo di cambiamento.
Lo stress è una reazione tipica di adattamento del corpo ad una generico cambiamento fisico o psichico. L'uomo segue i seguenti cicli : rilassamento, stato di allarme, tensione e reazione alla situazione di allarme. E' negativo soffermarsi troppo su una di queste quattro fasi.
Perché ognuno ha livelli di stress differente ? E perché per alcuni ad esempio un certo stress è agisce negativamente e per altri agisce positivamente ?
Perché lo stress è influenzato dall'intervento dei nostri pensieri. Ognuno di noi, in presenza di una situazione stressante, ha pensieri differenti e quindi emozioni e comportamenti differenti.
Quindi lo stress può essere aggravato anche da propri stimoli stressanti interni.
Cosa causa lo stress ?
L'organismo reagisce allo stress aumentando la secrezione di certi ormoni e inibendone altri.
Lo stress causa cambiamenti fisici nel cervello e nel corpo.
La fatica, l'ansietà, la depressione, i disturbi del sonno, sono causati da malfunzionamenti chimici del cervello.
Lo stress protratto nel tempo può causare danni fisici.
Sostanze messaggere come la serotonina, la noradrenalina e la dopamina sono tra le principali sostanze chimiche che iniziano a funzionare male.
Lo stress può causare una cattiva produzione di queste sostanze.
La serotonina è importante per dormire bene, per la regolazione del nostro orologio interno, per la regolazione della temperatura corporea, per la contrazione della muscolatura liscia dei vasi, dell'intestino, dei bronchi, dell'utero e della vescica, nella regolazione dell'automatismo intestinale, nella modificazione della pressione arteriosa, interviene nei processi allergici e infiammatori, riduce il tempo si sanguinamento, determina la sintomatologia dell'emicrania, etc.
La serotonina è anche convertita in melatonina e viceversa.
Il primo segno di stress è quindi un sonno cattivo.
La noradrenalina "setta" i livelli di energia del nostro corpo. Senza noradrenalina nel cervello, ci si sentirà sempre stanchi.
La noradrenalina funge da mediatore chimico della trasmissione nervosa, determina la trasmissione degli impulsi nervosi dalle fibre agli organi effettori, controlla il tono dei vasi sanguigni, la muscolatura liscia dell'intestino, dell'utero, dell'iride, la replezione della milza, la produzione pancreatica di insulina, la scissione epatica del glicogeno in glucosio.
Avere bassi livelli di noradrenalina è come cercare di avviare un'automobile con la batteria scarica.
La dopamina è importante per la produzione delle endorfine, sostanze tra l'altro regolatrici del senso del dolore, nella regolazione del piacere, etc.
Lo stress ha azione immunosoppressiva, attraverso la produzione di noradrenalina e di cortisolo da parte delle ghiandole surrenali.
Il cortisolo è particolarmente attivo nel metabolismo dei carboidrati, interviene nel ritmo sonno-veglia (è maggiore nelle ore diurne). L'aumento di glicocorticoidi ha azione tossica per i processi neurologici.
L'organismo declina anticipatamente rispetto al programma genetico.
Nello stress cronico, anche la risposta ormonale di adattamento è cronica, comportando affaticamento ed indebolimento generale. Insorgono facilmente malattie, i processi di crescita, ricambio e riparazione dei tessuti vengono ritardati.
Lo stress può causare un aumento del livello degli ormoni androgeni, aggravando la caduta dei capelli (colpa del cortisolo). Ciò è particolarmente evidente nelle donne, dove il livello di androgeni prodotti dalla ghiandola surrenale aumenta. Infatti sotto stress ad esempio l'acne aumenta e le donne saltano qualche ciclo.
Molto importante è lo stress cronico, il quale, determinando variazioni ormonali, può essere molto negativo.
A livello cardiaco si possono determinare i seguenti problemi : tachicardia, irregolarità del battito cardiaco (extrasistoli), dolore al centro del petto, ipertensione (anche se è probabilmente determinata da ereditarietà, dieta, abitudini di vita, etc.), infarto.
A livello polmonare : asma bronchiale (crisi asmatica innescata e mantenuta dall'ansia), iperventilazione (respiro rapido e superficiale).
A livello gastrointestinale : colon irritabile (diarrea, stipsi, dolori), dispepsia (senso di pienezza dopo il pasto, acidità, eruttazioni, dolori), ulcera gastroduodenale (aumento della secrezione acida), morbo di Chron.
A livello endocrino : lo stress influenza l'attività delle ghiandole endocrine periferiche, quindi ghiandole surrenali, pancres, reni, tiroide, ... Ci sono alcuni studi che ipotizzano l'insorgenza del diabete.
A livello uro-genitale : eiaculazione precoce (nell'ansia cronica), diminuzione del desiderio (nella depressione).
A livello della pelle : iperidrosi (eccessiva sudorazione, di solito al palmo della mano o alla pianta del piede), prurito, tricotillomania (la persona si strappa i capelli, spesso le ciglia).
stress post traumatico:
Alopecia psicogena : Questa forma di alopecia si caratterizza per la presenza di iperseborrea, microinfiammazione perifollicolare, tricodinia, associazione con patologie psicosomatiche e/o autoimmuni. I pazienti che ne sono colpiti, sottoposti a test specifici cognitivi e di personalità rivelano disturbi della personalità, stati di ansia o molto più frequentemente depressione. Tali condizioni potrebbero rappresentare le conseguenze di una condizione di stress acuto o cronico.E’ dovuta alla cascata ormonale e di mediatori paracrini che si producono in seguito ad alterazioni provocate dallo stress. In particolare negli ultimi anni, oltre al ruolo dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, sono state acquisite delle informazioni sul ruolo specifico della Prolattina, del nerve growth factor (NGF), del Corticotropin-releasing hormone (CRH) e della Sostanza P. Tali mediatori degli effetti dello stress provocano come risultato finale la degranulazione dei mastociti e di alcune classi di linfociti T, e la conseguente liberazione di sostanze che inducono apoptosi e inibizione della proliferazione dei cheratinociti del follicolo pilifero
Distress : diporto.Sindrome da distress respiratorio malattia polmonare che si manifesta nelle sue due forme del bambino e dell'adulto (ARDS). Distress (romanzo) di fantascienza di Greg Egan nel quale distress è una non meglio precisata malattia mentale.
Hans Selye : Hans Selye era un medico ungherese, nel 1936 contribuì in modo significativo alle ricerche sullo stress. In quell'anno infatti era a Montreal alla McGill University dove compiva delle ricerche. Infatti Selye aveva iniettato quotidianamente una sostanza a dei ratti per testarne gli effetti, a questi topi aveva poi riscontrato ulcere peptiche,atrofia dei tessuti del sistema immunitario e un notevole ingrossamento delle ghiandole surrenali. Il fatto era che gli stessi sintomi si potevano riscontrare anche in quei ratti in cui era stata iniettata quotidianamente una soluzione fisiologica! Questi animali avevano in comune solamente il fatto che ogni giorno avevano subito delle iniezioni,quindi i sintomi che presentavano avrebbero potuto essere una risposta a una situazione poco felice. Selye cercò di provare la sua tesi sottoponendo gruppi di topi all'esposizione a troppo caldo o troppo freddo, di tossine, forti rumori e agenti patogeni. Inevitabilmente si riscontrarono gli stessi effetti. Il termine usato per descrivere questa patologia venne preso dal lessico fisico(indicava lo sforzo o la tensione a cui era sottoposto un materiale), Selye lo utilizzò per indicare la "risposta non specifica dell'organismo a uno stimolo negativo" noto anche come "Stress". Nacque cosi la disciplina fisiologica dello stress.

Spasmofilia : La spasmofilia non è una malattia ma un insieme di sintomi legati ad un comportamento, dunque una sindrome. Corrisponde ad una paura e alle sue manifestazioni (conosciute da lungo tempo) ma che si produce in maniera inappropriata in rapporto all'ambiente (assenza di pericolo).
La spasmofilia è la conseguenza di una iperventilazione, provocata da uno stato di tensione (stress ) non contenuta.
Formicolio a livello delle dita, delle labbra
Sensazioni di perdita di conoscenza, che però non si verifica
Palpitazioni
Sensazione di calore, freddo, brividi, tremori.



Alcuni sintomi dello stress
Frequente sensazione di stanchezza generale, accelerazione del battito cardiaco, difficoltà di concentrazione, attacchi di panico, crisi di pianto, depressione, attacchi di ansia, disturbi del sonno, dolori muscolari, ulcera dello stomaco, diarrea, crampi allo stomaco, colite, malfunzionamento della tiroide, facilità ad avere malattie, difficoltà ad esprimersi ed a trovare un vocabolo conosciutissimo, sensazione di noia nei confronti di ogni situazione, frequente bisogno di urinare, cambio della voce, iperattività, confusione mentale, irritabilità, abbassamento delle difese immunitarie, diabete, ipertensione, cefalea, ulcera.

Cosa può nascondere lo stress
Uno stress che tu non puoi chiarire può essere un avvertimento di qualche altra malattia ignota, come disordini tiroidei, squilibrio del calcio (troppo poco o troppo, anemia, diabete, depressione maniaca (disordine bipolare), disordini del fegato, malfunzione renale, deficienza vitaminica, deficienza ormonale.
Queste malattie creano ulteriore stress con diverse possibilità di sbocco : la depressione, il distacco dal mondo, lo scoppio di violenza.
Stress e depressione
La depressione è un disturbo dell’umore, ovvero un disturbo dello stato emotivo di base della nostra vita.
Si parla di depressione maggiore (depressione endogena) e depressione minore (o disturbo distimico, depressione nevrotica o reattiva).
Normalmente, la persona di solito è in grado di reagire a temporanei peggioramenti d'umore, trovando dentro di sé le risorse per affrontare il problema.
Si trova sempre un motivo per il dolore, mai uno per la gioia.
Nella depressione invece il peggioramento dell'umore tende a prolungarsi nel tempo, influenzando in negativo il comportamento della persona.
Aspetti tipici della depressione sono : perdita di interesse, incapacità di provare gioia, mancanza di volontà, isolamento da vita familiare e sociale, sensazione di indifferenza affettiva nei confronti delle persone care, trascuratezza della propria persona, movimenti rallentati, voce affaticata, debolezza, disturbi del sonno, riduzione dell'appetito, riduzione della potenza sessuale.

Lo stress è un disturbo relativamente recente, la cui comparsa viene fatta risalire intorno al 1700 con la nascita delle grandi città, accompagnate da un aumento del rumore, dall’affollamento, dagli spostamenti, dal traffico, dall’inquinamento e dai ritmi della produzione industriale.





Principali conseguenze dello stress
Mancanza di tono ed energia. Ci sentiamo stanchi, ogni mattina di più e nonostante ci sforziamo di iniziare la giornata con entusiasmo, non riusciamo a tenere il ritmo. Il senso di affaticamento generale ci rende apatici, poco attivi e scarsamente vitali.
Difficoltà di concentrazione. La nostra capacità di concentrazione perde qualche colpo; abbiamo difficoltà a ricordare e scarso rendimento nello studio e nel lavoro intellettuale.
Problemi digestivi. Una delle più comuni conseguenze dello stress, unitamente ad un’alimentazione frettolosa e poco equilibrata, è una cattiva digestione, che può manifestarsi anche con disturbi addominali.
Difficoltà a riposare. La continua tensione giornaliera non ci consente di raggiungere il rilassamento necessario per un buon sonno ristoratore. L’incapacità di riposare riduce le nostre possibilità di recupero, cosicché stanchezza fisica e mentale si accumulano giorno dopo giorno.
LA RISPOSTA DELL’ORGANISMO ALLO STRESS
Reazione d’allarme
Preparazione a reagire
( Indipendentemente dallo specifico fattore di stress )
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Fase della resistenza
Tentativo di adattamento
Fortemente specifica nei confronti dell’agente stressante
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/ \
/ \
......... .....ADATTAMENTO ESAURIMENTO
..........Ritorno all’equilibrio Stato di malessere fisico e mentale
L’organismo possiede un eccezionale sistema di adattamento allo stress, rappresentato da una serie si meccanismi compensatori che ci permettono di “ adattarci “ a qualsiasi situazione avversa e quindi di fronteggiarla. Questi meccanismi funzionano allo stesso identico modo indipendentemente dal tipo di stress che dobbiamo affrontare e tendono a ripristinare il giusto equilibrio delle funzioni biologiche.
Il campanello d’allarme
Quando ci troviamo di fronte ad un fattore stressante, il nostro organismo ci lancia una sorta di S.O.S. per avvertirci che sta accadendo qualcosa di imprevisto e non controllabile: dobbiamo mobilitare tutte le risorse disponibili. Questa reazione è indispensabile dal tipo di stimolo stressante (studio, lavoro, ecc) che l’ha innescata e determina come prima conseguenza un aumento dei livelli di adrenalina, che nel nostro organismo funziona come un messaggero di un pericolo o di una minaccia imminente e comunica ai vari organi ed apparati la necessità di preparasi a reagire.
La reazione di adattamento
A questo punto l’organismo è pronto a combattere e diventa importante scegliere la strategia più adatta al nemico che vogliamo vincere. Questa fase della risposta allo stress è infatti fortemente specifica nei confronti del fattore che lo ha scatenato; ciò significa che se lo stress iniziale è stato di tipo fisico come, ad esempio, un eccessivo dispendio di energie a causa di un lavoro particolarmente faticoso, la strategia vincente sarà quella di rendere disponibili le riserve di energia ed aumentare i tempi di sonno per favorire un buon recupero. Se l’organismo ha utilizzato la giusta strategia, si raggiunge il cosiddetto “ adattamento “, che ci consente di trovare un nuovo equilibrio.
L’esaurimento delle energie
Se tuttavia il fattore di stress persiste e giunge ad oltrepassare una determinata intensità critica, le riserve energetiche dell’organismo si consumano poco a poco fino ad esaurirsi e lo stato di adattamento raggiunto nella precedente fase viene perduto lasciando il posto ad uno stato di malessere generale.
SOSTANZE NATURALI ADATTOGENE
Le sostanze adattogene devono questo nome proprio alla loro capacità di intervenire sulla reazione di adattamento dell’organismo potenziandola. La loro funzione è proprio quella di innalzare la soglia di tollerabilità dell’organismo nei confronti dello stress: ciò significa che l’organismo dispone di maggiori risorse per fronteggiarlo.

L’IMPORTANZA DI UN BUON RECUPERO
L’abbassamento del tono generale dell’organismo che si verifica in caso di stress non è semplicemente dovuto ad un eccessivo dispendio energetico: è anche difficoltà di recupero delle energie perse. Il processo stesso di adattamento allo stress richiede una quantità considerevole di energie, sia durante la fase di allarme che nel corso del tentativo di resistenza dell’organismo. Il grande divario tra le energie richieste dall’organismo per fronteggiare una situazione di stress e la difficoltà a recuperare, determina un forte sbilanciamento tra le “ risorse consumate “ e quelle che in realtà riusciamo a rigenerare. Come è ovvio, questo continuo deficit esaurisce rapidamente le riserve dell’organismo .
Ogni stressor che perturba l'omeostasi dell'organismo richiama immediatamente delle reazioni regolative emotive, locomotorie, ormonali , immunologiche e neuropsichiche (Il sistema nervoso compie tre principali funzioni: sensoriale, integrativa che include: pensiero, memoria, ecc., motoria.In senso lato possiamo attribuirgli un ruolo "computazionale" di informazioni che viaggiano sotto forma di perturbazioni del potenziale di membrana delle cellule e che vengono elaborati nell'ambito di complessi sistemi di accoppiamento tra evento elettrico ed eventi biochimici entro dei compartimenti specifici dello spazio intercellulare che chiamiamo sinapsi. )
Biochimica dello stress:
L'ipotalamo secerne fattori di rilascio per l'ipofisi per la produzione di ADH e ACTH.
L'ADH (o vasopressina) fronteggia la diminuita volemia (rapporto tra volume ematico e letto vascolare) mediante la ritenzione idrica (causante l'aumento di volume ematico) e la costrizione dei vasi.L'ACTH agisce a livello corticale surrenale causando il rilascio di cortisolo e aldosterone.L'aldosterone agisce a livello renale stimolando il riassorbimento di sodio, che per osmosi "trascina" con sè acqua, contribuendo al ripristino del corretto livello volemico.
Il riassorbimento del sodio si accoppia all'escrezione di potassio e ioni idrogeno, la cui deplezione provoca l'acidificazione delle urine e l'alcalinizzazione del sangue (causata in sinergia dall'iperventilazione).
Il rene rileva il calo di pressione attraverso la macula densa dell'apparato iuxtaglomerulare e tramite la secrezione di renina attiva il sistema renina-angiotensina-aldosterone; l'angiotensina II è un potente vasocostrittore.
Il sistema ortosimpatico causa il rilascio di adrenalina e noradrenalina, in particolare dalla midollare surrenale. questi ormoni causano:
una costrizione dei vasi cutanei (pallore) e viscerali addominali (recettori alfa)
una dilatazione dei vasi muscolari (recettori beta)
aumento della frequenza cardiaca (conseguente aumento della gittata cardiaca) (recettori beta)
broncodilatazione
midriasi
inibizione del rilascio e dell'efficacia dell'insulina
aumento della sensibilità al glucagone
Questi ultimi due effetti causano l'alterazione del metabolismo, spinto verso il mantenimento di alti livelli glicemici.
In breve, un aumento dell'idrolisi proteica muscolare e dei trigliceridi fornisce aminoacidi e glicerolo per la gluconeogenesi e causa un calo ponderale; la glicolisi è inibita.
Una risposta maladattativa a un evento stressante può determinare l'insorgenza di un quadro patologico. In caso di disturbo psichico, il quadro clinico mimerà, dal punto di vista sintomatologico, l'espressione del disturbo maggiore.
La maladattatività può risultare di interesse clinico qualora consista in sintomi emotivi o comportamentali tali da causare sofferenza soggettiva e una significativa compromissione nel funzionamento sociale e lavorativo del soggetto. Le caratteristiche di fragilità o rigidità del soggetto giocano un ruolo importante nel momento in cui egli deve produrre strategie per rispondere in modo adeguato a una modificazione dell'ambiente.
Le caratteristiche della sindrome da stress sono
sintomatologia preceduta da evento stressante identificabile, sia esso positivo o negativo, verificatosi nei tre mesi precedenti allo sviluppo della sintomatologia.
questa deve essere più intensa rispetto le corrispettive reazioni normali e avere tendenza alla risoluzione spontanea entro un periodo di tempo definito (6 mesi)
la sindrome non deve rappresentare l'esacerbazione dei sintomi di un disturbo mentale di base, legato o meno all'evento stressante.











Stress e sclerosi multipla
Problemi finanziari o lavorativi possono influire sui sintomi della malattia
La maggior parte dei pazienti di sclerosi multipla (MS) è convinta che lo stress possa peggiorare i propri sintomi, ma questa teoria ha sempre suscitato controversie nel mondo accademico. Ora una nuova ricerca, pubblicata il 19 marzo 2004 sul "British Medical Journal", conferma l'associazione fra gli eventi stressanti e l'esacerbazione dei sintomi nel pazienti di MS.
I ricercatori dell'Università della California di San Francisco hanno analizzato dati provenienti da 14 trial, scoprendo un rischio modesto ma significativo di peggioramento in seguito a eventi stressanti non traumatici come lo stress da lavoro o i problemi finanziari. Tuttavia, gli autori sottolineano che questi dati non consentono di collegare specifici tipi di stress all'esacerbazione, né dovrebbero essere usati per concludere che i pazienti sono responsabili del peggioramento delle proprie condizioni.
I risultati dello studio, invece, aiuteranno a investigare nuovi possibili metodi per gestire la sclerosi multipla, sia attraverso una maggior cura psicologica dei pazienti sia mediante il trattamento della loro risposta fisica allo stress.
Fonte: Le Scienze (25/03/2004)




Stress ossidativo, disfunzione mitocondriale e risposte allo stress cellulare nelle malattie neurodegenerative

Esiste una significativa evidenza che nella patogenesi di diverse malattie neurodegenerative, tra cui la malattia di Parkinson, la malattia di Alzheimer, l’atassia di Friedreich ( FRDA ), la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica, sia implicata la generazione di specie reattive dell’ossigeno ( ROS ) e/o di specie reattive dell’azoto ( RNS ) associata alla disfunzione mitocondriale.

Il genoma mitocondriale può avere un importante ruolo nella patogenesi di queste malattie e l’evidenza che i mitocondri siano un sito di danno nelle malattie neurodegenerative si basa in parte sulla riduzione dell’attività della catena respiratoria nella malattia di Parkinson, di Alzheimer e di Huntington.

La precisa sequenza di eventi nella patogenesi dell’atassia di Friedreich non è ben definita.

L’alterato metabolismo intramitocondriale con aumento dei livelli di ferro libero, ed una difettiva catena respiratoria mitocondriale, associata ad un’aumentata generazione di radicali liberi e danno ossidativo, possono rappresentare un possibile meccanismo in grado di compromettere la vitalità cellulare.

La frataxina, una proteina mitocondriale, può detossificare i ROS mediante attivazione della glutatione perossidasi ed aumento dei tioli.
La ridotta espressione della proteina frataxina è associata all’atassia di Friedreich.

L’eterogeneità dei fattori eziologici rendono difficile definire con precisione il principale fattore clinico di inizio della malattia e della sua progressione.

Ci sono evidenze che lo stress ossidativo e l’alterato metabolismo proteico siano due elementi essenziali nella patogenesi dell’atassia di Friedreich.

Il cervello dei pazienti con atassia di Friedreich subiscono molti cambiamenti in risposta allo “shock termico‿ ( “heat shock‿), una forma di risposta allo stress.

Nel sistema nervoso centrale, la sintesi della proteina “heat shock‿ ( HSP ) è indotta non solo dopo ipertermia, ma anche dopo alterazioni nell’ambiente redox intracellulare.

Le principali malattie neurodegenerative ( malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, malattia di Huntington, atassia di Friedreich ) sono tutte associate alla presenza di proteine anormali.

Tra le proteine “hot shock‿, HSP-32, anche nota come HO-1 ( eme ossigenasi-1 ), sembra avere un ruolo importante.
HO-1 potrebbe rappresentare un sistema protettivo potenzialmente attivo contro il danno ossidativo a livello cerebrale.

La manipolazione dei meccanismi di difesa cellulari endogeni, come la risposta “heat shock‿ attraverso antiossidanti nutrizionali, composti farmacologici o trasduzione genica, potrebbe rappresentare un innovativo approccio nelle malattie neurodegenerative.( Xagena2005 )

Calabrese V et al, J Neurol Sci 2005, Epub ahead of print



EFFETTI DELLO STRESS CRONICO SUL CERVELLO

Sull'ippocampo sono presenti numerosi recettori del cortisolo; lo stress cronico induce un'eccessiva produzione di cortisolo e danneggia il funzionamento dell'ippocampo, causando
. atrofia neurale e distruzione dei neuroni;
. diminuzione della memoria
. diminuzione della capacità di regolazione della risposta del sistema endocrino allo stress.

Immagini SPECT di un cervello normale e di quello di una persona violenta.
Le aree che appaiono come buchi corrispondono alle zone atrofizzate del cervello

Studi scientifici dimostrano che la pratica della Meditazione Trascendentale:
. ravviva le zone inutilizzate del cervello e integra il funzionamento cerebrale
. aumenta la memoria
. diminuisce la concentrazione plasmatica degli ormoni dello stress (cortisolo catecolamine).Questa diminuzione è significativamente più elevata di quella che si verifica durante il riposo ad occhi chiusi .

Fabio e Fabrizio ha detto...

Le ricerche del Dr. Selye e di altri scienziati hanno chiarito la complessa fisiologia delle tre fasi della sindrome generale di adattamento (General Adaptation Syndrome o G.A.S.). Le spiegazioni seguenti ne colgono gli aspetti essenziali, al fine di dimostrare la grande importanza dello stress come intermediario mente-corpo.

Prima fase: allarme. E’ la fase iniziale della reazione di stress in cui l’organismo chiama a raccolta tutte le sue risorse disponibili per l’azione immediata, soprattutto secernendo ormoni in grado di provocare opportuni cambiamenti in determinate funzioni organiche. In questa fase avviene un’intensa produzione di adrenalina (catecolamine) e una rapida accelerazione del ritmo cardiaco.

L’organismo percepisce, a livello consapevole o inconsapevole, un fattore di stress, stressor, ossia qualcosa di inaspettato, nuovo o insolito, in grado di rappresentare una difficoltà o un potenziale pericolo. Il fattore di stress può essere di natura psicologica (accesa discussione, improvvisa preoccupazione ecc.), fisica (ondata di freddo violento, trauma, ecc.) o biologica (infezione, intossicazione alimentare, disfunzione metabolica ecc.). Qualunque sia la causa, il processo biochimico della reazione da stress è il medesimo.
L’ipotalamo provoca nell’organismo una serie di cambiamenti chimici ed elettrici. L’ipotalamo è una minuscola ma importantissima area dell’encefalo che controlla la maggior parte delle funzioni organiche indipendenti dalla volontà (temperatura corporea, frequenza cardiaca, bilancio idrico, respirazione, pressione sanguinea ecc.) ed è strettamente collegato col funzionamento del sistema endocrino, a cui è anche connesso strutturalmente costituendo la neuroipofisi (sistema neuroendocrino) e immunitario. Il suo compito è la conservazione dell’omeostasi (o equilibrio funzionale); per esempio, fa sì che si sudi quando fa caldo o, viceversa, si rabbrividisca quando fa freddo. In presenza di un fattore di stress, l’ipotalamo interviene tentando di conservare lo stato di normalità dell’organismo, agendo direttamente sul sistema nervoso autonomo e sull’apparato endocrino.
L’azione dell’ipotalamo produce tre effetti immediati:
secrezione di ormoni specifici, cortisolo e, soprattutto, attraverso una via diretta cervello-ghiandole surrenali (nervi splancnici) del sistema nervoso ortosimpatico, adrenalina e noradrenalina (prodotte in quantità dieci volte superiore del normale;
sempre tramite il sistema nervoso simpatico, stimolazione di numerosi organi (sistema vascolare, muscolatura liscia, varie ghiandole ecc.) e inibizione della motilità e secrezione dell'apparato digestivo;
produzione di betaendorfine, gli antidolorifici propri dell’organismo che consentono, tramite l’innalzamento della soglia del dolore, di resistere a tensioni emotive, traumi fisici o sforzi più intensi di quanto sarebbe normalmente sopportabile (l’organismo produce le betaendorfine al fine di alleviare lo sforzo e/o il dolore nelle situazioni più impegnative).
La secrezione di ormoni combinata con la stimolazione del sistema simpatico provoca numerose ulteriori reazioni organiche. L’effetto è un aumento del metabolismo: il cuore accelera i propri battiti, la pressione sanguinea s’innalza, la sudorazione aumenta, si ha un incremento della funzione respiratoria, le pupille si dilatano, la bocca s’inaridisce, i peli cutanei si rizzano. Sono i sintomi che, accompagnati dalla sensazione di vuoto allo stomaco, proviamo quando ci sentiamo “stressati” come, ad esempio, prima di una prova impegnativa (esame, esibizione, ecc.).
Il sangue confluisce dalle aree periferiche (vaso-costrizione periferica accompagnata da facilitazione della coagulazione) e dagli organi secondari verso quelli più necessari e importanti (cuore, polmoni) per aumentarne al massimo l’efficienza. La pelle impallidisce e, per l’azione combinata del sudore e del ridotto apporto di sangue, diventa umida e fredda. La funzione digestiva tende ad arrestarsi causando spesso nausea che può diventare mal di stomaco se si mangia. Intanto, i muscoli scheletrici si contraggono come per affrontare un aggressore (aumento del tono muscolare). Infine, l’irrorazione sanguinea diminuisce anche nelle aree del cervello specializzate all’elaborazione delle informazioni e alla soluzione dei problemi. Aumenta quindi l’inquietudine, per l’aumentato afflusso di adrenalina (catecolamine), e diminuisce la concentrazione mentale per l'aumento dei ritmi cerebrali (onde beta); l'efficienza mentale è massima nel rilassamento profondo.
Seconda fase: resistenza o adattamento. La durata di ogni reazione da stress dipende soprattutto da questa fase che dura finchè risulta necessaria una speciale prontezza e capacità d’azione, secondo percezioni basate, in gran parte, su fattori psicologici. E’ la fase in cui ci si adegua, bene o male, alle nuove circostanze e, in pratica, finchè si percepisce il fattore di stress, l’organismo resiste. In questa fase assume un ruolo fondamentale l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA) nella quale viene messo in atto un complesso programma sia biologico che comportamentale che sostiene la risposta allo stressor. L’evento fondamentale è la sovrapproduzione di cortisolo che ha, come conseguenza, la soppressione delle difese immunitarie (è noto l’impiego di cortisonici, molecole sintetiche simili al cortisolo, come farmaci antinfiammatori e immunosoppressori, ad esempio, nella cura di patologie autoimmuni come le dermatiti o l’artrite reumatoide). Il conseguente indebolimento o la temporanea inefficacia delle funzioni immunitarie non sono preoccupanti se durano per brevi periodi, ma diventano un serio problema in caso di stress cronico: la prolungata riduzione delle capacità difensive moltiplica la probabilità di contrarre malattie infettive, dal semplice raffreddore alla monucleosi del virus Epstein-Barr, e sembra aumentare la predisposizione alle malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide e la sclerosi multipla.
Molte persone restano imprigionate in questa fase, caratterizzata da un ritmo cardiaco accelerato e da muscoli scheletrici tesi, anche dopo aver superato le difficoltà contingenti(aumento del tono muscolare): sono i cosiddetti “iper-reattivi”, i quali spesso lamentano l’incapacità di rilassarsi dopo un impegno importante. Si tratta di persone “stress-dipendenti” ovvero realmente assuefatte alla droga naturale che l’organismo produce in questa fase: è l’eccitazione, che alcuni chiamano “euforia del corridore”, provocata dalle già citate betaendorfine. Le stesse persone diventano facilmente consumatori abituali di sostante eccitanti, come la caffeina o altre droghe, al fine di prolungare oltre i limiti naturali la fase di resistenza.
Nell’attuale scenario della civiltà occidentale, resistere allo stress può diventare un’abitudine quotidiana. Il costante “essere pronti al peggio” è un fenomeno sociale in rapida crescita, causato, in particolar modo, dall’attuale recessione economica mondiale che tende a creare un senso di ‘incertezza riguardo il futuro. Ci si può quindi trovare, inconsciamente, in costante fase di resistenza (stress cronico). Una prolungata resistenza allo stress può però danneggiare il sistema immunitario; in particolare è il timo a risentirne. Il timo è una ghiandola che entro quarantotto ore dall’inizio di una reazione di stress acuta (malattie, gravi incidenti, forti emozioni ecc.), si riduce alla metà delle sue dimensioni normali, annullando l’efficacia di milioni di linfociti B e T.

Terza fase: esaurimento. Quando il “pericolo” viene percepito come superato o quando l’energia da stress comincia a scarseggiare, inizia la fase conclusiva della rrisposta da stress che ha l’obiettivo di assicurare all’organismo il necessario periodo di riposo.
Di solito, se la fase di resistenza termina prima che tutte le risorse di energia da stress siano state consumate, la successiva fase di esaurimento è sentita come un sensibile calo d’energia spesso associata a un profondo sollievo o piacevole torpore (come dopo un emozionante avvenimento sportivo, una positiva discussione coniugale o un appagante rapporto sessuale). Se invece, la precedente fase di resistenza è durata per molto tempo, possono derivarne lunghi e debilitanti periodi di esaurimento, visto che l’organismo tende a restare in questa fase finchè ne sente la necessità. I già citati soggetti “iper-reattivi” o “stress-dipendenti” che trascorrono molto tempo nella fase di resistenza imponendo al loro organismo sforzi eccessivi e innaturali, spesso sono costretti a usare sedativi artificiali, come gli alcolici, per passare alla fase di esaurimento.
Dal punto di vista biochimico, l’inizio della fase di esaurimento è caratterizzato da una rapida diminuzione degli ormoni surrenalici (le catecolamine adrenalina e noradrenalina e, in particolare, il glucocorticoide cortisolo) nonché delle riserve energetiche. La conseguenza è un’azione depressiva che inverte i processi organici delle reazioni da stress per riportare l’organismo alla funzionalità normale. L’effetto stimolante del sistema nervoso simpatico viene sostituito da quello calmante del parasimpatico. Grazie all’azione di quest’ultimo, si ripristina il normale afflusso sanguineo nell’apparato digerente, nel cervello e a livello cutaneo. Nell’animale da esperimento si registra l’esaurimento della ghiandola surrenale e la morte dell’animale stesso che presenta ulcerazioni della mucosa gastrica. Una famosa ricerca è stata quella riguardante i casi di “ulcera da bombardamento” condotta fra i cittadini londinesi, durante la seconda guerra mondiale: sei mesi dopo le incursioni tedesche, i casi di ulcera peptica nella popolazione di Londra e dintorni erano aumentati circa del 300% ma, l’aumento medio fu del 50% tra gli abitanti del centro di Londra, dove si sapeva con certezza che le bombe sarebbero cadute di notte, e del 500% nella popolazione in periferia, dove i bombardamenti erano imprevedibili. Sembra dunque che la maggior incertezza riguardo la probabilità di subire il bombardamento sia stata causa di stress molto più intenso e prolungato tale da provocare un notevole esaurimento combinato a difficoltà digestive.

Anonimo ha detto...

Università di riferimento
Università degli Studi di ROMA "Tor Vergata" - BIOLOGIA - ROMA(RM)
Responsabile dell'Unità di ricerca
Maria Teresa CARRI'
Descrizione
L'Unità 1 si propone di studiare le caratteristiche biochimiche e strutturali di mutanti della SOD1 tipici della sclerosi laterale amiotrofica familiare (SLAf-SOD1) in modelli cellulari per lo studio di tale patologia, con particolare attenzione alla frazione di SOD1 localizzata nel comparto mitocondriale. In questo contesto sperimentale si tenterà di stabilire un legame tra le proprietà biochimiche e strutturali delle SOD1 mutanti ed interazioni tra tipi cellulari diversi (neuronali e non neuronali).

Lo studio sarà articolato in diversi aspetti:
1) Caratterizzazione della localizzazione citosolica/mitocondriale delle SLAf-SOD1 in co-colture motoneurone-microglia.
Dati preliminari ottenuti dal nostro gruppo sulle linee cellulari NSC34 che esprimono un ampio pannello di SLAf-SOD1 indicano che la semplice espressione dell'enzima mutato non è in grado di evocare in queste cellule né processi aggregativi delle SOD1 mutanti né un fenotipo di morte. Questo dato è in linea con le numerose evidenze che confortano l'ipotesi che la morte del motoneurone nella SLA non è un processo "cell autonomous", ma frutto di una interazione attiva fra più tipi cellulari, in cui probabilmente il processo infiammatorio gioca un ruolo importante.
Intento di questa unità sarà quindi quello di studiare le caratteristiche biochimiche e strutturali delle SLAf-SOD1 in un modello sperimentale di interazione neurone-microglia, in cui le NSC34 esprimenti o la WT-SOD1 o la G93A-SOD1 verranno messe in co-coltura con cellule microgliali N9 (fornite dall'Unità 3) esprimenti le stesse proteine. In tale paradigma sperimentale verrà caratterizzata la distribuzione delle SLAf-SOD1 tra citosol e mitocondrio nel motoneurone, cercando di correlare la localizzazione mitocondriale del mutante SOD1 con lo stato di attivazione della microglia.
In questa prima fase verrà studiata nelle linee cellulari NSC34 la distribuzione della SLAf-SOD1 nei diversi distretti mitocondriali: membrana esterna, spazio intermembrana, membrana interna, matrice. Saranno studiate, quindi, alcune caratteristiche biochimiche (attività enzimatica, propensione a monomerizzare ed aggregare e stato di ossidazione) delle quote di SLAf-SOD1 localizzate nei distretti sopra menzionati. Particolare attenzione sarà dedicata allo stato di ossidazione delle cisteine della SLAf-SOD1, misurandone il grado di accessibilità con opportuni reagenti maleimide-derivati (vedi metodi). Tale indagine assume un'importanza notevole in quanto nella SOD1 lo stato redox di due particolari cisteine (C57, C146) determina il consolidamento della struttura quaternaria e quindi la minore o maggiore propensione a monomerizzare e ad aggregare. Questo studio sarà condotto sottoponendo le cellule neuronali che esprimono la SLAf-SOD1 a diverse tipologie di interazione con le cellule microgliali N9: le linee NSC34 verranno coltivate in presenza sia della microglia che esprime lo stesso mutante SOD1 sia di terreni condizionati dalla microglia attivata con LPS e/o esprimente la SLAf-SOD1.

2) Studio delle relazioni tra stress ossidativo e localizzazione ed aggregazione delle SLAf-SOD1 mitocondriali.
Nella seconda fase del lavoro, saranno studiati alcuni marcatori di stress ossidativo mitocondriale in relazione alla localizzazione della SLAf-SOD1 nei diversi distretti in linee motoneuronali SLAf in condizioni di co-coltura con cellule microgliali N9. In particolare sarà misurato il rapporto tra glutatione ridotto e glutatione ossidato (GSH/GSSG), il livello di proteine carbonilate e la produzione di ROS mitocondriali. Nelle stesse condizioni sperimentali verranno inoltre studiati alcuni aspetti del metabolismo mitocondriale come l'attività dei diversi complessi respiratori ed il livello di ATP prodotto.
Parallelamente, le stesse cellule motoneuronali saranno trattate con agenti in grado generare stress ossidativo (perossido di idrogeno, generatori di ossido nitrico etc.) e di stimolare di conseguenza l'attivazione di fattori di trascrizione coinvolti nei processi infiammatori quali NF-kappaB. In tale paradigma sperimentale saranno studiate la localizzazione mitocondriale e le caratteristiche biochimiche delle SOD1 mutanti (vedi punto 1). I terreni di coltura ottenuti dalle cellule neuronali così trattate saranno somministrati alle linee microgliali che esprimono G93A-SOD1 o WT-SOD1 per valutare il contributo del motoneurone nel processo di attivazione della microglia. Questa parte dello studio sarà completata da analoghe analisi effettuate su sistemi cellulari geneticamente privi di NF-kappaB, forniti dall'Unità 4.
L'analisi delle caratteristiche strutturali e biochimiche della G93A-SOD1 a livello mitocondriale in relazione a processi di stress ossidativo sarà eseguita anche in biopsie neuronali e muscolari provenienti da modelli sperimentali animali utilizzati e forniti dall'Unità 5. In particolare, le caratteristiche delle SOD1 saranno studiate nel muscolo e nel midollo spinale di topi SOD1(G93A) cresciuti in condizioni basali o sottoposti ad esercizio fisico forzato. Inoltre, nei modelli sperimentali sopra menzionati verranno studiate eventuali interazioni aberranti delle SLAf-SOD1 con fattori proteici coinvolti nella cascata apoptotica mitocondrio-mediata, come Bcl2 e Bfl1, nell'intento di stabilire un nesso tra stress ossidativi, aggregazione ed apoptosi.

3) Studio delle relazioni tra citochine infiammatorie e localizzazione/aggregazione delle SLAf-SOD1.
In una terza fase, nell'intento di delineare l'eventuale relazione tra alterazioni strutturali e/o biochimiche delle SLAf-SOD1 e i processi infiammatori, numerose linee cellulari da noi derivate dalla NSC34 e che esprimono un ampio pannello di SLAf-SOD1 con caratteristiche strutturali e biochimiche differenti, verranno stimolate con citochine infiammatorie (ad es. IFN-gamma, IL-beta, TNF-alfa) e parallelamente sarà valutato lo stato di aggregazione, ossidazione e il rapporto monomero/dimero delle SOD1 mutanti, sia a livello mitocondriale sia a livello citosolico. Particolare attenzione verrà dedicata alla relazione tra tipo di mutazione (ad es. coinvolgente il sito catalitico o conservativa da punto di vista strutturale ed enzimatico) ed un eventuale associazione del mutante SOD1 con i diversi distretti mitocondriali, valutando anche possibili variazioni nella distribuzione cellulare (mitocondrio-citosol) degli enzimi mutati. In questo ambito si studierà la produzione di ROS in relazione agli stimoli sopra citati, seguendo "marker" di stress ossidativo cellulare e mitocondriale (ad esempio lo stato di carbonilazione proteica e di ossidazione degli acidi nucleici). Infine, il terreno condizionato dalla linea microgliale N9, opportunamente attivata, verrà utilizzato come ulteriore stimolo da usare in parallelo alle citochine infiammatorie sulle linee cellulari NSC34 esprimenti il pannello di fALS-SOD1. Gli stimoli sopra citati verranno utilizzati anche per studiare le eventuali proprietà apoptogeniche delle fALS-SOD1, e le interazioni di queste con fattori proteici modulatori dell'apoptosi mitocondrio-dipendente.

Metodologie

Materiali sperimentali
A. Abbiamo recentemente messo a punto una collezione di linee cellulari esprimenti le SLAf-SOD1 in modo inducibile. L'utilizzo di un sistema di espressione inducibile ha permesso di escludere eventuali effetti di "precondizionamento" dovuti all'espressione costitutiva delle fALS-SOD1. 17 mutazioni SLAf-SOD1 sono state introdotte nel cDNA codificante per la SOD1 umana e per ciascun mutante dell'enzima sono state ottenute numerose linee cellulari in cui l'induzione dell'espressione è sotto il controllo di un promotore sensibile alla tetraciclina (pTET-On). Le SLAf-SOD1 scelte per questo studio includono mutazioni localizzate: i. nel sito attivo (ad es. H46R, H48Q, G72S, D76Y, G85R, L84F, D124V); ii. in residui localizzati all'inerfaccia del dimero (ad es. A4V); iii. in residui critici per il mantenimento della struttura beta-barrel (ad es.. L38V, G41S, D90A, G93A); iv. nelle anse di connessione (ad es. G37R, I113T, D125H, S134N, E133delta).
B. Cellule microgliali murine N9 che esprimono le SLAf-SOD1 saranno fornite dall'Unità 3 ed usate in esperimenti di co-cultura con cellule murine NSC34 anch'esse esprimenti SLAf-SOD1.
C. Muscoli e midollo spinale di topi transgenici SOD1(G93A): campioni di questi materiali saranno forniti dall'Unità 5, che provvederà ai prelievi da animali di controllo ed da animali sottoposti ad esercizio fisico forzato.

Frazionamento subcellulare e purificazione dei mitocondri
I mitocondri saranno isolati dalle linee cellulari derivanti dale NSC34 e dai tessuti di topo in accordo con Okado-Matsumoto and Fridovich (2001). In breve, le cellule in coltura (o i tessuti da topo) saranno omogeneizzati e sottoposti a centrifugazioni sequenziali a differenti velocità, permettendo il recupero delle seguenti frazioni cellulari: mitocondri pesanti, mitocondri leggeri, microsomi e frazione citosolica.
Il pellet mitocondriale grezzo sarà caricato su di un gradiente discontinuo per un'ulteriore purificazione.

Analisi dell'aggregazione citosolica/mitocondriale delle fALS-SOD1
Studi immunochimici per la determinazione dell'aggregazione delle SLAf-SOD1saranno eseguiti tramite:
A. microscopia a fluorescenza standard su cellule cresciute su vetrini trattati con poli-lisina e fissate.
B. Esperimenti di Western blot per l'analisi di particelle sedimentabili da cellule intere e mitocondri purificati, i quali saranno condotti attraverso tecniche standard su estratti proteici detergente-solubili e detergente-insolubili in accordo con Shinder et al. (2001). Questa tecnica è stata già da noi usata con successo con cellule esprimenti G93A-SOD1 e H46R-SOD1 (Beretta et al. 2003).
C: Western blot per misurare l'accessibilità delle cisteine nelle SLAf-SOD1, che sarà condotto su cellule intere e mitocondri purificati in accordo con Tiwari & Hayward (2003). Brevemente, i lisati cellulari e mitocondriali saranno incubati in presenza di differenti composti riducenti e sottoposti a modificazione covalente delle cisteine accessibili con maleimide coniugata al glicole polietilenico (Mal-PEG). L'addizione del Mal-PEG alle cisteine accessibili incrementa la massa della subunità della SOD1 di 5kDa/modificazione. I campioni saranno quindi separati mediante SDS-PAGE denaturante e le SOD1 umane saranno rivelate attraverso uno specifico anticorpo policlonale.

Misure dello stress ossidativo
A. I livelli delle specie reattive dell'ossigeno (ROS) saranno misurati usando i fluorocromi 2',7'-diclorofluoresceina diacetato (DCF-DA) and diidrorodamina-123 (DRH). I livelli di fluorescenza saranno quantificati tramite un FACScan. Questa tecnica citofluorimetrica è stata già usata con successo dal nostro gruppo (Beretta et al. 2003)
B. Le proteine carbonilate mitocondriali e citosoliche saranno monitorate utilizzando un OxyBlot Kit (Intergen, Portland, OR) che utilizza la reazione con 2,4-dinitrophenilidrazina (DNP). Le proteine saranno separate mediante SDS-PAGE, trasferite su membrana di polivinilidene fluoruro e quindi rivelate con un anticorpo anti-DNP. Un'analisi più dettagliata sarà condotta su proteine singole, inclusa la SOD1, attraverso elettroforesi bidimensionale utilizzando il sistema EttanTM IPGphorTM II IEF (Amersham Biosciences). Le proteine mitocondriali saranno dapprima separate attraverso la focalizzazione isoelettrica, quindi derivatizzate con DNP e separate nella seconda dimensione su un SDS-PAGE a gradiente 8-18%. Il gel sarà sottoposto ad analisi tramite Western blot utilizzando un anticorpo primario anti-DNP.
C. Il contenuto di glutatione totale e mitocondriale (rapporto GSH/GSSG) sarà determinato attraverso la conversione degli ammino gruppi liberi a 2,4 dinitrofenile derivante dalla reazione con il 1-fluoro-2,4-dinitrobenzene e separazione tramite HPLC come da noi precedentemente descritto (Ciriolo et al. 2000).
D. Il contenuto e lo stato del rame al sito attivo delle SOD1 mutanti espresse in cellule neuronali sarà misurato mediante spettroscopia ESR come da noi precedentemente descritto (Carrì et al. 1994).

Funzionalità mitocondriale
Le alterazioni nella funzionalità mitocondriale nelle linee cellulari derivate dalle NSC34 sarà studiata tramite:
A. Determinazione dello stato di polarizzazione del mitocondrio nelle cellule trasfettate, utilizzando il fluorocromo JC-1 in determinazioni citofluorimetriche.
B. Determinazione della produzione intracellulare di ATP attraverso l'utilizzo del Bioluminescence Assay Kit (Sigma, St.Louis, MO, USA).
C. Determinazione della funzionalità dei complessi respiratori attraverso misure ossigrafiche standard
D. Valutazione delle deidrogenasi mitocondriali attraverso il saggio dell'MTT, che fornisce un'indicazione del metabolismo ossidativo del mitocondrio e del turnover del ciclo degli acidi tricarbossilici
E. Analisi morfologica dei mitocondri mediante microscopia elettronica (in collaborazione con l'Unità 3).

Analisi della vitalità cellulare ed attivazioni di vie apoptotiche
La vitalità cellulare sarà misurata usando metodi quali la colorazione del nucleo tramite Hoechst per valutare la condensazione e frammentazione della cromatina (conta delle cellule in microscopia a fluorescenza), colorazione attraverso ioduro di propidio (lettura citofluorimetrica), attivazione delle caspasi (Western blot con anticorpi commercialmente disponibili e determinazione delle attività enzimatiche con substrati fluorescenti anch'essi commercialmente disponibili). Tutti questi metodi sono stati precedentemente utilizzati con successo nel nostro laboratorio (Cozzolino et al 2004). L'analisi dell'interazione delle SLAf-SOD1 con fattori proteici che modulano l'apoptosi (ad es. Bcl2) sarà condotta tramite esperimenti di co-immunoprecipitazione, essenzialmente come descritto da Pasinelli et al. (2004)

-Beretta S. et al. Neurobiol.Dis. 13, 213-221, 2003
-Carrì et al. FEBS lett. 356, 314-316, 1994
-Ciriolo M.R. et al. J.Biol.Chem. 275, 5065-5072, 2000
-Cozzolino M. et al. Cell Death Differ. 11, 1179-1191, 2004
-Pasinelli P. et al. Neuron. 43:19-30. 2004
-Shinder G.A et al. J.Biol.Chem. 276, 12791-12796, 2001
-Tiwari A. & Hayward L.J. J.Biol.Chem. 278, 5984-5992, 2003

Anonimo ha detto...

Studi sul ruolo di disfunzioni del reticolo endoplasmatico o dell’apparato di Golgi nelle malattie neurodegenerative
Le proteine sono sintetizzate e riarrangiate nel reticolo endoplasmatico (RE), cui segue il processo di secrezione e dove un sistema di controllo previene che proteine mal strutturate si dirigano verso altri compartimenti cellulari e ostacolino il normale metabolismo cellulare. Il trasporto di vescicole contenenti proteine continua attraverso l’apparato di Golgi (AG), molto abbondante nei neuroni, e termina a livello di membrana plasmatica, vescicole secretorie e lisosomi. Il processo endocitotico permette alle macromolecole internalizzate di essere degradate mediante digestione enzimatica prima negli endosomi e poi nei lisosomi. Nelle cellule di mammifero, il complesso di proteine associato al Golgi (GARP) è coinvolto nel trasporto retrogrado di endosomi all’AG. Disfunzioni del trasporto vescicolare sono comuni a diverse patologie neurodegenerative. Tra la popolazione neuronale i motoneuroni, a causa dell’alta richiesta energetica e delle lunghe ramificazioni assonali, sono, assieme ai neuroni della retina, le cellule più sensibili a perturbazione del trasporto intracellulare. Il Laboratorio di Farmacologia Recettoriale utilizza due modelli murini in cui la neurodegenerazione è associabile a un deficit del trasporto cellulare. Tali modelli generano da mutazioni di geni codificanti proteine localizzate nel RE (il topo mnd) o nel complesso GARP (il topo wobbler).
Le lipofuscinosi neuronali ceroidee (NCL) sono un gruppo di malattie neurodegenerative dell’i nfanzia, per le quali non esistono terapie. Le principali manifestazioni cliniche sono: graduale deficit visivo sino a cecità, deterioramento intellettivo e psicomotorio, epilessia e morte prematura. Tra le NCLs si classifica l’epilessia mioclonica progressiva con ritardo mentale (EPMR) , legata a una mutazione del gene CLN8, che codifica una nuova proteina transmembrana del RE con funzione non ancora nota. Un ortologo del CNL8 è mutato nel topo mnd, caratterizzato da retinopatia precoce e disfunzione motoneuronale tardiva. Il meccanismo con cui la mutazione del CLN8 porta a NCL è sconosciuto a tutt'oggi, ed è argomento d’interesse delle nostre ricerche. Il nostro laboratorio vanta una tradizione ormai decennale di caratterizzazione del topo mnd. Nei primi anni di ricerca abbiamo principalmente esaminato la disfunzione motoria analizzando in particolare il midollo spinale. Abbiamo evidenziato un importante contributo eccitotossico associato a: 1) una riduzione del trasportatore gliale di glutammato GLT-1; 2) un incremento della subunità GluR2 e diminuzione della subunità GluR3 dei recettori AMPA; 3) un aumento della concentrazione plasmatica di glutammato e; 4) un rallentamento del deficit motorio in seguito a trattamento con antagonisti del recettore AMPA , ZK 187638 (non competitivo), e NBQX (competitivo). Sempre a livello spinale, abbiamo riportato aumento di TNF e TNFR1 nei topi mnd sin dalla fase presintomatica, con una marcata proliferazione di astrociti e microglia. Essendo l’EPMR una patologia multisistemica associata anche a convulsioni e cecità, più recentemente abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla retina e su aree cerebrali correlate con una possibile attività epilettogenica. I nostri studi condotti sulla retina hanno rivelato una precoce degenerazione retinica associata ad accumulo di lipofuscina e a fenomeni di neuro infiammazione. Il consumo di ossigeno e le funzioni mitocondriali sono diminuite, mentre il livello dei perossidi lipidici derivati dalla reazione con l'acido tiobarbiturico (TBARS) sono aumentati sia nel midollo spinale che nella retina. Sono in corso studi per testare un’e ventuale ipersuscettibilità a fenomeni epilettici in seguito alla somministrazione di composti pro-convulsivanti, come antagonisti GABAergici o agonisti glutammatergici, in topi mnd in fase presintomatica motoria. Sono inoltre in corso valutazioni con metodiche di indagine non invasiva quali Optical Imaging, MRI, MicroTac, Angiografia confocale. Tali studi, oltre a permettere valutazioni longitudinali sullo stesso animale ci daranno la possibilità di valutare nuovi approcci diagnostici e/o prognostici eventualmente trasferibili all’uomo.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una patologia neurodegenerativa progressiva che coinvolge i motoneuroni del midollo spinale, midollo allungato e corteccia motoria, producendo denervazione, atrofia muscolare e paralisi. La SLA è sporadica in circa il 90% dei casi e i meccanismi eziopatogenetici sono sconosciuti. Una mutazione a livello del gene codificante per Vps54 è stata identificata come responsabile della patologia nel topo wobbler, che ha molte caratteristiche patologiche comuni ai pazienti SLA. Nelle cellule di mammifero Vps54 forma un eterotrimero con Vps52 e Vps53 per dar luogo al complesso GARP, coinvolto nel trasporto retrogrado dagli endosomi al Golgi. Perciò i topi wobbler sono un modello affidabile per capire la correlazione tra traffico delle vescicole endosomiali e perdita selettiva dei motoneuroni. Abbiamo in corso una serie di esperimenti su colture cellulari neurali ottenute da topi wobbler per valutare eventuali alterazioni del traffico intracellulare e della localizzazione subcellulare del complesso GARP e di altre molecole associate al trasporto cellulare.
Per quanto riguarda i trattamenti, abbiamo già descritto come i topi wobbler siano sensibili al riluzolo, in assenza di marcate modificazioni dell’espressioni delle subuntità recettoriali AMPA e NMDA nei motoneuroni in fase sintomatica precoce. E’ stato inoltre osservato un aumento dei livelli di TNF e TRNFR1 nel midollo cervicale di topi wobbler, che li rende responsivi al trattamento con una proteina solubile che lega TNF umano, producendo una marcata riduzione della progressione clinica, una ridotta perdita di motoneuroni e un’inibizione selettiva delle due principali stress chinasi (p38 e JNK ) associate alla attivazione dei recettori per TNF. Nonostante presenza di molte molecole coinvolte nei meccanismi di morte apoptotica, intrinseca e/o estrinseca, un’approfondita caratterizzazione istochimica ci ha permesso di escludere un coinvolgimento dell’a poptosi caspasi-mediata a livello dei motoneuroni cervicali in degenerazione. Attualmente stiamo cercando di approfondire il reale meccanismo di morte del motoneurone. Sono stati infine studiati due differenti approcci di terapia cellulare. Le cellule staminali neurali adulte indifferenziate (ottenute in collaborazione con il Dott. Parati, Istituto Besta) hanno prodotto un debole e transiente effetto protettivo a livello di progressione clinica ma hanno ridotto significativamente la perdita di motoneuroni nel topo wobbler. Il trapianto con le cellule ematopoietiche mononucleate da cordone ombelicale umano (in collaborazione con la Dott. Lazzari, Policlinico di Milano), pur non sostituendo i motoneuroni in degenerazione, hanno generato un marcato effetto protettivo rallentando la progressione e la severità dei sintomi e riducendo significativamente la perdita di motoneuroni, l’atrofia muscolare e la risposta neuroinfiammatoria (gliosi reattiva).
Neurofarmacologia dei sistemi glutammatergico e serotoninergico
Il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio nel sistema nervoso centrale, la cui concentrazione viene mantenuta a livello fisiologico mediante un meccanismo attivo di ricaptazione da parte di trasportatori (EAATs) localizzati sulle membrane cellulari di neuroni e glia. Alterazioni di questo processo possono portare a rilevanti aumenti della concentrazione extracellulare di glutammato, che in queste condizioni media processi tossici per il sistema nervoso centrale (eccitotossicità).
Un progetto recentemente concluso era focalizzato sullo studio dell’interazione tra trasportatori del glutammato e riluzolo. Il riluzolo è un farmaco con un complesso meccanismo d’a zione e rappresenta al momento l’unica terapia farmacologica per SLA. Utilizzando colture cellulari che esprimono stabilmente i tre principali trasportatori del glutammato (GLT1, GLAST ed EAAC1) abbiamo evidenziato per la prima volta che il riluzolo agisce a livello della ricaptazione di glutammato mediata dai tre trasportatori, aumentando significativamente l’efficienza del processo. Questo meccanismo d’azione può essere particolarmente rilevante in condizioni patologiche in cui la concentrazione extracellulare di glutammato risulta superiore a quella fisiologica, come ad esempio nella SLA.
E’ attualmente in corso un progetto volto a caratterizzare l’attività e il ruolo del comparto neuronale nel processo di ricaptazione del glutammato. Vengono valutati sia gli aspetti funzionali, mediante saggi biochimici, sia gli aspetti quantitativi, mediante tecniche di western blot di proteine specifiche neuronali o gliali e analisi di citometria di flusso (in collaborazione con il Dr. Bernasconi, Dipartimento di Oncologia, IRFMN). Queste valutazioni vengono effettuate su preparazioni purificate ottenute da midollo spinale di topo. Gli stessi parametri vengono valutati su due diversi modelli animali di degenerazione del motoneurone, il topo wobbler e il topo transgenico SOD1G93A (in collaborazione con la Dott.ssa Bendotti, Dipartimento di Neuroscienze, IRFMN), per valutare il possibile coinvolgimento in patologie neurodegenerative.
I risultati ottenuti finora suggeriscono la presenza di una componente di natura neuronale che contribuisce al mantenimento dell’omeostasi del glutammato nel sistema nervoso centrale. Il confronto tra i due modelli animali di neuro degenerazione sembra indicare una diversa rilevanza di questa componente nella morte dei motoneuroni: mentre nel topo wobbler la componente eccitotossica legata a potenziali alterazioni della ricaptazione di glutammato non sembra essere coinvolta, nel topo transgenico SOD1G93A abbiamo rilevato la presenza di una significativa riduzione della capacità di ricaptazione del glutammato da parte del comparto neuronale. Questa alterazione probabilmente contribuisce ad amplificare i meccanismi che portano alla morte neuronale in questo modello. E’ attualmente in corso un progetto in collaborazione con il professor Bonanno (Università di Genova) per la caratterizzazione del rilascio di glutammato da sinaptosomi ottenuti da midollo spinale di topo wobbler, per valutare se la morte dei motoneuroni possa dipendere da alterati meccanismi di rilascio del neurotrasmettitore dai terminali nervosi.
L’eccitotossicità mediata dai recettori AMPA è uno degli eventi più importanti della degenerazione dei motoneuroni nella patogenesi della SLA. Abbiamo messo a punto un nuovo modello di colture primarie caratterizzato dalla cocoltura di motoneuroni purificati su layer di astrociti. Questo modello permette di mantenere il motoneurone in vitro in condizioni più fisiologiche ed è stato utilizzato per dimostrare come agonisti del recettore AMPA siano in grado di indurre processi degenerativi apoptotici o non-apoptotici, dipendendo dalle concentrazioni utilizzate. Abbiamo studiato l’interazione tra eccitotossicità e altri fattori potenzialmente neurotossici, come i mediatori del processo infiammatorio e abbiamo dimostrato che la chemochina pro-infiammatoria IL-8 induce morte del motoneurone attraverso il recettore , i cui livelli sonoCXCR2. Studi preliminari sugli effetti di TNF- particolarmente alti nel midollo spinale dei modelli animali di neuro degenerazione, hanno evidenziato il ruolo determinante delle cellule gliali nel mediare la neurotossicità di tale citochina. Attualmente stiamo studiando le principali alterazioni biochimiche coinvolte nei meccanismi neurodegenerativi (come, ad esempio, l’influsso di calcio) e stiamo testando nuovi potenziali trattamenti in grado di interferire selettivamente con ciascuna delle vie di degenerazione.
Abbiamo avviato, infine, un interessante studio sugli effetti tossici del siero di giocatori di calcio professionisti sul motoneurone, volto a identificare potenziali fattori di rischio presenti a livello sistemico che possono giustificare l’elevata incidenza della SLA in tale categoria di atleti.
Sono inoltre in corso studi su colture primarie di neuroni spinali e ippocampali da topi mnd o controlli con lo scopo di determinare la loro sensibilità ad agonisti e antagonisti dei recettori AMPA, e il ruolo degli astrociti ottenuti dai topi mnd o controlli nell’influenzare la sopravvivenza dei motoneuroni.
Sono in corso studi su astrociti derivati da cellule staminali neurali con lo scopo di verificare se le alterazioni biochimiche tipiche del nostro modello murino di SLA (il topo wobbler) sono già evidenti anche nelle cellule ottenute direttamente da precursori. In questo studio vengono utilizzati astrociti ottenuti da precursori neurali di topi wobbler e controlli omozigoti per valutare l’attività dei trasportatori del glutammato, mediante esperimenti di uptake, e l’effetto diretto e indiretto di questi astrociti sul motoneurone. Infine sono in corso studi sul trafficking intracellulare, in particolar modo sul ruolo svolto dalla proteina Vps54, che risulta mutata nel topo wobbler. Vengono utilizzate per questo scopo, colture primarie di astrociti ottenute da midollo spinale di topo (wobbler e controllo omozigote) adulto.
Il Laboratorio di Farmacologia Recettoriale collabora da diversi anni con laboratori di chimica farmaceutica per caratterizzare affinità e selettività di nuove molecole sui recettori per i neurotrasmettitori, utilizzando metodiche di “binding” in vitro. I risultati ottenuti sono poi utilizzati per studi di "molecular modeling" (QSAR) e le molecole più interessanti sono oggetto di approfondimento in studi di farmacologia. Abbiamo in corso una collaborazione con il prof. De Micheli (Università di Milano) e la Prof. Grasso (Università di Messina) per lo studio e lo sviluppo di nuovi antagonisti non-competitivi per il recettore AMPA. Un' utile applicazione della metodica di “binding” è anche la possibilità di valutare l' attività agonista/antagonista di composti con affinità per i recettori accoppiati alle -S.proteine G (GPCR), misurando il loro effetto sul binding del 35S-GTP- Attualmente sono in fase di caratterizzazione anche metodi non radioattivi, basati sulla misurazione della “ fluorescenza in tempo risolto”, per determinare l' attivazione dei GPCR in membrane cellulari.
Recentemente abbiamo verificato l'effetto del dimetil sulfossido, (DMSO) un solvente comunemente utilizzato per gli esperimenti in vitro per sciogliere i composti idrofobici, con differenti metodiche che prevedono l'utilizzo di cellule eucariotiche HEK293 transfettate con il recettore serotoninergico 5-HT6 di ratto. I risultati ottenuti indicano che il DMSO interferisce con l'attività degli agonisti sul recettore 5-HT6 quando si usa la metodica di " scintillation proximity assay (SPA)" associata al 35S-GTP-g-S binding. Contrariamente il DMSO non interferisce con l'attività agonista su questo recettore se viene usata la metodica che prevede l'utilizzo della "fluorescenza in tempo risolto" associata al binding del GTP marcato con europio. Il laboratorio può inoltre, mediante tecniche di “binding” in autoradiografia, valutare ex vivo l'occupazione recettoriale dopo trattamento acuto o cronico con farmaci.
Infine sono in corso studi in collaborazione con il Dott. Gobbi (Lab. di biochimica e chimica delle proteine, IRFMN) per caratterizzare il ruolo del sito allosterico al trasportatore della serotonina nel meccanismo d’azione di antidepressivi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), quali l’escitalopram.

Anonimo ha detto...

del motoneurone spinale deficit di forza e atrofia muscolare agli arti e a livello del tronco
del motoneurone bulbare disfagia (difficoltà di deglutizione) e disartria (difficoltà di fonazione)
del motoneurone corticale spasticità, cioè sensazione di rigidità agli arti, soprattutto inferiori

Il movimento volontario è reso possibile da stimoli di natura nervosa che provengono da neuroni di determinate aree della corteccia cerebrale (corteccia motoria), per il controllo dei muscoli del lato opposto del corpo: singole zone sono deputate alla formazione di impulsi nervosi che produrranno il movimento esclusivamente di specifici muscoli.
Le fibre che partono da ciascuno di questi neuroni (primo motoneurone) attraversano il cervello e raggiungono il midollo spinale nel segmento da cui parte il nervo destinato al muscolo da far muovere: qui si connettono con un'altra cellula (secondo motoneurone) le cui terminazioni, uscendo dagli spazi tra le vertebre, formano il nervo periferico, che raggiunge il territorio da innervare. Solo per i nervi cranici (destinati ai muscoli della testa e del collo) il secondo motoneurone è ancora all'interno del cervello, invece che nel midollo.
A livello muscolare, una struttura di intersezione anatomofunzionale (chiamata placca neuromuscolare o placca motrice) avvia una complessa serie di eventi biochimici, capaci di trasformare l'energia nervosa (elettrica) in energia contrattile (meccanica). Difetti motori. La progressiva diminuzione della forza muscolare (debolezza) fino alla totale perdita della funzione motoria (paralisi) può dipendere da malattie del sistema nervoso centrale (che coinvolgono il primo o il secondo motoneurone), del sistema nervoso periferico (che colpiscono le radici, i plessi o i nervi periferici), della placca motrice o, infine, da malattie primitive dei muscoli (per lo più inquadrabili nelle distrofie muscolari).

LESIONI DEL PRIMO MOTONEURONE
La lesione del primo motoneurone causa una paralisi spastica (i muscoli interessati sono contratti) ed è in genere dovuta a cause vascolari. Per esempio, la trombosi di un'arteria che irrora la parte di corteccia cerebrale destinata al movimento volontario di un certo distretto corporeo provoca la degenerazione e la morte delle cellule di quella porzione, che diventano incapaci di inviare gli impulsi nervosi. Il fenomeno, detto ictus, interessa in genere un solo emisfero, con paralisi nella metà opposta del corpo (emiplegia).
In queste forme, a parte la terapia della malattia che le ha causate, può tornare utile la fisioterapia, con programmi di stretching, per ridurre la contrazione dei muscoli coinvolti.

LESIONI DEL SECONDO MOTONEURONE
Qualora sia il secondo motoneurone a subire una lesione, si verifica una paralisi flaccida: i muscoli perdono progressivamente tono e volume (atrofia), perché i nervi periferici provvedono anche al loro nutrimento.
Tali paralisi sono dovute a lesioni del midollo, per lo più in conseguenza di traumi a carico della colonna vertebrale: interessano tutti i distretti al di sotto della lesione (e, se è avvenuta un'interruzione totale del midollo, si verifica anche la perdita delle funzioni sensoriali).
In caso di lesioni basse (colonna lombare), possono essere coinvolti gli arti inferiori (paraplegia), con o senza interessamento dei visceri. In caso di lesioni alte (colonna cervicale), sono colpiti tutti gli arti e il tronco (tetraplegia) e immancabilmente le funzioni viscerali.
La terapia si basa sulla somministrazione di cortisone (che può aiutare la ripresa) e su procedure chirurgiche e ortopediche (trazioni, ecc,) per riallineare segmenti midollari eventualmente scomposti; può anche avvalersi di trattamenti fisioterapici, ma deve soprattutto far fronte ai gravi deficit neurologici che purtroppo residuano, dopo la fase acuta: l'immobilità, la mancanza di controllo degli sfinteri, ecc, impongono la mobilizzazione passiva e la cura della pelle (per evitare le piaghe da decubito).

LESIONE DEI DUE MOTONEURONI
Una degenerazione progressiva di ambedue i motoneuroni determina il quadro della sclerosi laterale amiotrofica, la cui causa è sconosciuta.
Inizialmente compare solo debolezza, ma la malattia ha un andamento progressivo: esordisce con difficoltà a deglutire (disfagia), masticare e tossire, nonché a respirare e parlare (disartria), se sono coinvolti anche i centri bulbari che controllano le attività vitali automatiche, mentre la compromissione motoria a livello degli arti è caratterizzata da debolezza, rigidità, cedimenti e tremori.
Il quadro tipico della sclerosi in fase avanzata è la paralisi flaccida degli arti superiori e la paralisi spastica di quelli inferiori, accompagnata da totale impossibilità di parlare e di deglutire.
Non sono in genere coinvolte le funzioni sensoriali e sono quasi sempre risparmiati i muscoli volontari degli occhi e gli sfinteri urinario e rettale.
Non esiste un vero protocollo terapeutico: sono in uso dei farmaci che sembrano rallentare la progressione della malattia; l'uso di deambulatori può facilitare gli spostamenti e alcuni cicli fisioterapici possono ridurre le contratture.

Anonimo ha detto...

Rapporti fisiopatologici tra sistema neuroendocrino e sistema immunitario nello stress

Anche se l’importanza dello stress come fattore patogenetico in diverse malattie psicosomatiche è stata riconosciuta sin dall’inizio del nostro secolo, soltanto da pochi anni alcuni degli aspetti fisiopatologici delle interazioni tra eventi stressanti e risposte bioumorali e comportamentali sono stati delucidati. Nell’uomo, le risposte agli stimoli stressanti (stressors), per quanto complesse ed articolate, sono espressione di un programma biologico integrato e geneticamente controllato.

Gli stimoli capaci di evocare una reazione di allarme fanno parte della vita quotidiana; la possibilità che l’individuo ne riduca o ne annulli le conseguenze negative dipende dalla sua capacità di adattarsi ad essi. Stressors del tutto simili possono indurre risposte quantitativamente e qualitativamente differenti da soggetto a soggetto, poiché la personalità e il vissuto dell’individuo, i suoi bioritmi, le caratteristiche degli stressor (regolarità prevedibilità, evitabilità, durata, intensità), i vari fattori ambientali (il ciclo luce-buio, la temperatura, il grado di umidità e di ionizzazione dell’atmosfera, l’intensità e la frequenza dei campi elettromagnetici) possono influenzare la risposta di stress.

Gli adattamenti omeostatici allo stress possono avvenire in quanto l’organismo è dotato di una struttura, il Sistema Neuroendocrino (SNE), in grado di percepire, elaborare e trasformare gli stimoli in messaggi agli organi effettori. Il SNE controlla le funzioni dei diversi organi ed apparati dell’organismo attraverso due distinti meccanismi: quello nervoso e quello umorale.

Il circuitoneuroendocrino-immunitario

La struttura portante del SNE è l’ipotalamo, al quale arrivano molteplici afferenze provenienti dalle varie aree cerebrali e dalla periferia. L’ipotalamo, a sua volta, proietta numerose efferenze, in particolare all’ipofisi, della quale controlla l’attività secretoria ed i ritmi biologici, ed alle aree limbiche, che sono responsabili, tra l’altro, della messa in atto delle risposte comportamentali più idonee alla neutralizzazione degli eventi biologici indotti dagli stressors.

La scoperta che il SNE ed il Sistema Immunitario (SI) fanno parte di un circuito biologico totalmente integrato, in quanto gli stessi segnali bioumorali sono utilizzati sia per lo scambio di informazioni tra gli elementi di uno stesso sistema sia per le comunicazioni tra i due sistemi, è l’acquisizione più importante della neurobiologia dello stress in questi ultimi anni. Numerose ricerche, infatti, hanno dimostrato che il SI è in grado di modificare le sue risposte, sia attraverso meccanismi automatici di regolazione, sia mediante segnali provenienti dal Sistema Nervoso Centrale (SNC) e dal sistema endocrino. A loro volta, le cellule del SI, trasmettendo segnali al SNE, attivano specifiche risposte neuroendocrine e comportamentali
Le citochine sono tra i principali messaggeri impiegati dal SI per comunicare direttamente con il SNE; in particolare, esse stimolano l’attività del Locus Coeruleus (LC) e la secrezione ipotalamica di Corticotropin-Releasing Factor (CRF). Le cellule immunitarie comunicano con il SNE anche per mezzo di numerosi neuropeptidi e neurormoni, come il CRF, AdrenoCorticoTropic Hormone (ACTH), il Growth Hormone (GH), il Thyrotropin-Releasing Hormone (TRH), la prolattina, la B-endorfina, ed altri peptidi da essi secreti; le cellule immunitarie inoltre possiedono specifici recettori di membrana, sia per tali mediatori, sia per i classici neurotrasmettitori quali l’adrenalina, la serotonina, l’istamina, il Gamma-AminoButyric Acid (GABA). L’esistenza di una rete bidirezionale di comunicazione tra SNE e SI è di estrema importanza in quanto permette al SNE di percepire e di rispondere ad una vasta serie di stimoli non cognitivi di vario tipo, che comprendono, oltre a quelli stress indotti, anche quelli di natura infettiva, autoimmune o neoplastica che altrimenti esso non potrebbe percepire. Un interessante aspetto di tale bidirezionalità è rappresentato dal fatto che le risposte immunitarie possono essere condizionate attraverso la presentazione di uno stimolo neutro, come un suono o una luce, associato all’introduzione di un antigene o di un farmaco immunosoppressore, i quali fungono da stimolo incondizionato. Sarà sufficiente in seguito la presentazione del solo stimolo neutro per indurre una immunostimolazione oppure una immunodepressione.

Il circuitoneuroendocrino-immunitarionello stress

L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (IIS) rappresenta la struttura più importante del SNE, assieme al LC, implicata nelle risposte di allarme e di adattamento allo stress. Il SNE risponde agli stressors aumentando la secrezione di CFR, adrenalina, serotonina, GABA e acido glutammico. Il CRF, a sua volta, attiva i neuroni noradrenergici del LC e stimola la secrezione ipofisaria di ACTH. L’aumento dei livelli ematici di adrenalina e del cortisolo, in particolare, è di estrema importanza, in quanto induce una complessa serie di risposte metaboliche, il cui scopo finale è quello di ridurre o annullare gli effetti negativi dello stress. Cessato lo stress, l’ipercortisolemia, attraverso un meccanismo diretto di feed-back negativo sull’ipotalamo e sulla adenoipofisi, ristabilisce l’equilibrio omeostatico del SNE. L’aumentata secrezione di CRF ed ACTH e l’attivazione del LC, il principale nucleo noradrenergico cerebrale, influenzano anche diversi aspetti del comportamento quali l’attenzione, la memoria, lo stato di allerta, il tono affettivo ed emozionale, che sono di estrema importanza per i processi di adattamento allo stress. Esiste una precisa relazione funzionale tra asse IIS e LC, in quanto il CRF aumenta il rilascio di noradrenalina dal LC e, a sua volta, l’aumentata secrezione di noradrenalina dal LC stimola il rilascio di CRF dall’ipotalamo.
Per quanto riguarda il SI, esso risponde agli stressors aumentando il rilascio, da parte dei leucociti, di diversi mediatori, tra cui le citochine, ed in particolare le interleuchine (IL) 1,2 e 6, che coordinano la risposta immunitaria e stimolano la sintesi ed il rilascio di CRF da parte dell’ipotalamo e di noradrenalina dal LC; la conseguente ipercortisolemia inibisce a sua volta l’espressione genica leucocitaria delle interleuchine. Pertanto, tra interleuchine e cortisolo, è costantemente presente un equilibrio dinamico che permette il continuo adattamento del SNE e del SI agli stressors. Così come osservato per i neuropeptidi, diverse citochine possono influenzare il comportamento alimentare, la temperatura corporea, il ciclo sonno-veglia, il comportamento sessuale, il tono dell’umore e le prestazioni psicomotorie. È infatti frequente osservare una sintomatologia caratterizzata da inappetenza, disturbi del sonno, della sfera affettiva e di quella sessuale nelle malattie autoimmuni, nelle sindromi di immunodeficienza, nei tumori, in cui sono presenti significative variazioni dei livelli ematici di citochine. Il meccanismo con il quale le citochine inducono questi effetti è sia diretto, mediante l’attivazione di specifici recettori per le interleuchine a livello del SNE, che indiretto, attraverso la stimolazione dell’asse IIS .
Disfunzioni dell’asseipotalamo-ipofisi-surrene,alterazioni immunitariee disturbi della sfera affettivanello stress cronico

L’asse IIS ha un suo ritmo circadiano con livelli massimi e minimi di funzionalità a cui si sovrappongono le variazioni indotte dagli stressors. Nella risposta acuta di stress, come già accennato, oltre ad una attivazione dell’asse IIS e del LC, vi è la stimolazione del SI con aumento dei leucociti, delle citochine e di altri mediatori della flogosi. Tuttavia, nel caso di stress fisico di particolare intensità potrà osservarsi, per un breve periodo, leucopenia e riduzione dei livelli ematici di alcune citochine, nonché un incremento del rapporto linfociti T helper/suppressor, dovuto probabilmente all’accorrere di tali elementi a livello delle microlesioni muscolari indotte dallo stress intenso. Nello stress cronico, l’esposizione prolungata agli alti livelli di cortisolo riduce la sensibilità dei recettori cerebrali per il cortisolo ed altera di conseguenza i meccanismi di feed back, nonché il ritmo circadiano del CFR e dell’ACTH. La persistente ipercortisolemia, inoltre, deprime l’attività funzionale dei linfociti T e B, che mediano l’immunità specifica a lungo termine, e danneggia irreversibilmente i neuroni di specifiche aree cerebrali. Tali lesioni sono particolarmente evidenti a livello dell’ippocampo che controlla, come è noto, importanti attività quali i processi di memorizzazione e di apprendimento, che appaiono spesso deteriorati nei soggetti stressati. Nell’azione patogena dello stress cronico gioca anche un importante ruolo l’instaurarsi di una progressiva riduzione dell’attività funzionale del complesso recettoriale GABA, la cui funzione è quella di ridurre a livello di SNC la liberazione neuronale dei neurotrasmettitori eccitatori noradrenalina, dopamina, serotonina e acido glutamminico. Pertanto, una riduzione della funzione del recettore GABA amplificherà le risposte dei sistemi eccitatori centrali allo stress cronico. È interessante notare come le conseguenze neurobiologiche e comportamentali dello stress cronico possano essere riprodotte dalla somministrazione continuata di alte dosi di cortisonici o di farmaci che deprimono in maniera persistente l’attività funzionale del complesso recettoriale GABA. Al contrario, farmaci, come le benzodiazepine e l’acido valproico, che aumentano l’attività funzionale del recettore GABA, sono in grado di attenuare gli effetti neurobiologici e comportamentali degli stressors.

Numerose ricerche cliniche hanno messo in evidenza una correlazione tra disfunzioni dell’asse IIS, modificazioni immunitarie ed insorgenza di disturbi della sfera affettiva come la schizofrenia, l’ansia patologica e la depressione. In particolare, nel caso della depressione, sono state osservate una persistente attivazione dell’asse IIS ed immunodepressione, a cui contribuiscono gli elevati e persistenti livelli ematici di IL-1, IL-2 e IL-6, e di cortisolo. Queste alterazioni spiegano, almeno in parte, l’aumentata incidenza di malattie infettive ricorrenti, di neoplasie e, per contro, il miglioramento di concomitanti patologie autoimmuni nei soggetti depressi. Lo stretto rapporto che intercorre tra stress e depressione è ulteriormente confermato dall’osservazione che lo stress cronico e la depressione inducono modificazioni neurobiologiche molto simili a livello dei sistemi neuronali eccitatori centrali. Lo stress cronico, infatti, così come la depressione, inducono dapprima una stimolazione dei sistemi noradrenergico, dopaminergico e serotoninergico, e successivamente un loro esaurimento funzionale, caratterizzato da riduzione della disponibilità sinaptica del neurotrasmettitore e da ipersensibilità dei recettori post-sinaptici beta-1 adrenergici e 5-HT1A serotoninergici. La terapia con farmaci antidepressivi corregge sia tali alterazioni dell’asse IIS e del SI; il fatto che la risoluzione delle alterazioni neuroendocrine e, più specificamente, delle modificazioni a carico dei recettori centrali per i glucocorticoidi, segue strettamente i miglioramenti clinici, rafforza l’ipotesi di un collegamento causale tra asse IIS e depressione.

Conclusione

I sostanziali progressi conseguiti nel campo della neurobiologia dello stress, a cui hanno in maniera determinante contribuito le nuove tecniche di biologia molecolare e di neuroimmagine (Risonanza Magnetica, Tomografia ad Emissione di Positroni ecc.), hanno permesso di comprendere molti aspetti delle modificazioni neurobiologiche indotte dallo stress nel nostro organismo, ed in particolare per quanto riguarda il rapporto tra SNE e SI. Come appare evidente dalla nostra esposizione, il SI non può più essere considerato soltanto come un apparato di difesa, bensì come parte integrante di un unico sistema di controllo e di difesa, che permette all’organismo di percepire anche stimoli altrimenti non riconoscibili dal SNC.

Tale nuova impostazione teorica ha permesso di meglio definire le correlazioni esistenti tra modificazioni neurobiologiche indotte dallo stress ed insorgenza di patologie ad esso riconducibili quali asma, infarto miocardico, ulcera gastro-duodenale, disfunzioni metaboliche, ansia patologica, depressione ecc.. La disponibilità di specifici parametri neuroendocrini ed immunitari permette oggi di effettuare una diagnosi precoce, e di attuare una terapia mirata delle alterazioni indotte dallo stress sull’unità funzionale SNE-SI, in particolare negli individui geneticamente predisposti nei quali la risposta adattativa dell’asse IIS è deficitaria.

G. CannizzaroE. CannizzaroM. Gagliano

Anonimo ha detto...

Proteina Mapk origine dello stress
Novità per quanto riguarda i disturbi da stress. La proteina "Mapk", insieme al fattore proteico "Egr1" ha un ruolo fondamentale nel determinare i comportamenti correlati allo stress. A individuarne la funzione è stato l’Istituto di biomedicina e immunologia molecolare (Ibim) del Cnr di Palermo che, in collaborazione con l’Iserm di Bordeaux, ha condotto una ricerca sui meccanismi molecolari alla base degli effetti degli stimoli stressanti sull’organismo.
Diversi i significati di questa nuova scoperta, spiega Francesco Di Blasi dell’Ibim-Cnr: "Molte delle conseguenze comportamentali dello stress sono determinate dall’accrescimento dei livelli di cortisone, un ormone che attiva il recettore cellulare dei glucocorticoidi. E’ proprio questa variazione ormonale, ad esempio, che, in una situazione di stress acuto, facilita il processo di consolidamento della memoria associata a un’esperienza. Ed è sempre l’alterazione di tale sostanza a provocare, nel caso di uno stimolo stressante prolungato, disturbi quali depressione, ansia e tossicodipendenza". Sempre il ricercatore prosegue, sottolineando che "sino ad oggi era noto solo che l’aumento dei glucocorticoidi modifica, attivandolo, il recettore di questo ormone. Nulla si sapeva, invece, dei meccanismi molecolari alla base di questi processi. La nostra scoperta identificando Mapk e Egr1 come target molecolari costituisce un fondamentale passo avanti nella comprensione delle dinamiche alla base delle reazioni fisiche e psicologiche legate allo stress". Per ottenere questi dati, l’Ibim-Cnr ha effettuato uno studio su topi transgenici, ai quali, tramite una sofisticata tecnologia, è stato inattivato selettivamente il gene del recettore dei glucocorticoidi nel solo ippocampo, l’area del cervello che sovrintende, tra l’altro, ai processi di apprendimento. Dall'esperimento è poi emerso che, inibendo la proteina "Mapk", viene a ridursi anche la capacità di memorizzazione indotta dai glucorticoidi. Un analogo esperimento ha inoltre dimostrato che agendo sulla stessa proteina viene a ridursi anche la tendenza alla tossicodipendenza. Il risultato raggiunto dall’Ibim-Cnr costituisce un importante passo in avanti verso la realizzazione di terapie farmacologiche mirate, capaci di agire esclusivamente, e quindi efficacemente e con scarsi effetti collaterali, sui target molecolari coinvolti nei principali disturbi legati allo stress, in particolare ansia, depressione e tossicodipendenza. A sottolineare l'importanza della scoperta, segnaliamo che la ricerca è stata pubblicata nel numero di maggio della rivista "Nature Neuroscience".
Stampa Forum Costume

Anonimo ha detto...

Danni da paura

Proseguono i bilanci di un conflitto, iniziato nel 2003 in Iraq con intenti preventivi sul terrorismo, ma con conseguenze disastrose sulla salute della popolazione irachena e americana. Il New England Journal of Medicine ha riportato i risultati di un’indagine, la Iraq Family Health Survey (IFHS), condotta tra il 2006 e il 2007 in Iraq, in cui si denuncia che nei primi tre anni di invasione, la causa principale di morte degli uomini tra i 15 e i 59 anni è la morte violenta. Ma non se la passa bene nemmeno la popolazione di soldati che torna in patria, certo ancora in vita, ma con alcune difficoltà da superare.

Lesioni e stress
Sempre nello stesso numero della rivista, infatti, è stato pubblicato uno studio sulle possibili conseguenze dei colpi ricevuti al cranio durante il conflitto, per esempio, dovuti alle esplosioni e all’onda d’urto che le accompagna. Grazie agli equipaggiamenti protettivi, i danni provocati spesso non sono gravi e, infatti, l’indagine si è rivolta agli effetti di quelli considerati moderati, ma provocati da colpi che producono, concussione, cioè uno scuotimento cerebrale con una breve perdita della coscienza. Dai dati pervenuti agli autori, su una popolazione di circa 2500 soldati rientrati in patria, il 4,9% aveva perso i sensi a seguito dell’insulto, il 10,3% riportava di aver avuto alterazioni dello stato mentale e il 17,2% aveva avuto altri danni. L’alterazione dello stato di coscienza e dello stato mentale (15% dei casi circa) interessava con maggiore probabilità chi era stato esposto ad azioni di guerra particolarmente intense e a onde d’urto di esplosioni, e chi poi aveva avuto problemi fisici e mentali. Ma un altro dato importante è emerso dall’indagine: il 43,9% di chi aveva perso coscienza durante l’impatto rispondeva anche ai criteri diagnostici del disturbo da stress post traumatico (post traumatic stress disorder – PTSD). Ciò accadeva anche nel 27,3% di chi aveva subito un’alterazione dello stato mentale, ma solo nel 16,2% in caso di altri colpi e nel 9,1% se non c’erano stati impatti particolari. La frequenza con cui il PTSD compariva ha insospettito gli autori che, quindi, hanno preferito analizzare la popolazione di soldati anche a parità di stress post traumatico. Ebbene, l’associazione tra le lesioni traumatiche moderate e i problemi fisici e mentali si indeboliva, a parte per il mal di testa tra chi aveva avuto perdita di coscienza, mentre rimaneva forte, come per altro dimostrato in altri studi, l’associazione tra il PTSD e i problemi di salute.

Traumi al cervello e alla mente
La relazione diretta tra il disturbo da stress dopo un trauma e i danni al tessuto cerebrale dopo un trauma con concussione non è stata ancora dimostrata, e resta un’area di ricerca a cavallo tra la neurologia per immagini e la psichiatria. I meccanismi che probabilmente sottostanno sia all’insorgenza del disturbo dopo il danno da trauma sia ai sintomi fisici associati al disturbo, includono processi biologici scatenati dall’esposizione a stress estremo, dall’attivazione di vie nervose (asse ipotalamo-pituitario-surrenalico) correlate al sistema di secrezione di ormoni, dalla reattività del sistema nervoso autonomo, dalle risposte immunitarie, dal disturbo del sonno, dalla percezione alterata dei sintomi. Tutti questi elementi potrebbero spiegare la comparsa dei sintomi fisici e mentali oltre al fatto che i soggetti con PSTD hanno una ridotta capacità di processare e controllare le reazioni di paura, funzione che ha sede nella zona prefrontale della corteccia cerebrale. La stessa area anatomica viene interessata dall’impatto, provocato dalla concussione, contro il cranio con successivo scivolamento sulla parete interna. Quest’azione meccanica rapida e violenta potrebbe essere la causa di lesioni moderate che danneggiano la rete neuronale coinvolta nella regolazione delle reazioni alla paura e dell’ansia. Oltre a offrire ulteriori strumenti per intervenire sulle problematiche dei reduci di guerra, le osservazioni raccolta dai ricercatori rappresentano un ulteriori chiarimento sul disturbo da stress post traumatico. Il riconoscimento di una componente organica, che sia a monte o a valle del disturbo è un’opportunità in più per migliorare la valutazione nelle persone che hanno riportato un danno cerebrale e che riportano anche a distanza di mesi altri sintomi, anche non specifici.

Simona Zazzetta

Fonti
Hoge CW et al. Mild traumatic brain injury in U.S. Soldiers returning from Iraq. N Engl J Med. 2008 Jan 31;358(5):453-63

Bryant RA. Disentangling mild traumatic brain injury and stress reactions. N Engl J Med. 2008 Jan 31;358(5):525-7

Anonimo ha detto...

Lo stress e le funzioni cerebrali

Gli ormoni dello stress danneggiano anche le cellule cerebrali e possono agire sulla nostra capacità di pensare chiaramente e memorizzare le informazioni. Infatti, è stato dimostrato che i corticosteroidi danneggiano le cellule dell'ippocampo, una parte del cervello che controlla la memoria a breve termine. Quando si invecchia, di solito si perde in qualche misura la capacità di ricordare nuove informazioni.

Per esempio, diventa più difficile rammentare nomi e volti di persone a cui siamo stati presentati di recente, e può volerci più tempo per elaborare e assimilare fatti nuovi. Forse
questa perdita di memoria a breve termine è dovuta al fatto che per tutta la vita siamo esposti allo stress. Alcuni ricercatori sospettano addirittura che il morbo di Alzheimer, che comporta anch'esso una perdita della memoria a breve termine, possa essere provocato da una lesione dell'ippocampo, a sua volta legata a un grave stress e alla prolungata esposizione ai corticosteroidi.

Anche qui, il positivo effetto della melatonina, che diminuisce i livelli di corticosteroidi, può proteggere il cervello dal danno dovuto allo stress.

DA LAMELATONINA.COM

Anonimo ha detto...

Sport e stress ossidativo
Copyright by THEA 2006

L'attività fisica comporta uno sbilanciamento temporaneo tra la produzione di radicali liberi e il loro smaltimento; questo fenomeno è definito stress ossidativo. La pratica sportiva continua induce nel nostro organismo un aumento delle difese endogene contro questo tipo di stress diminuendo quindi i danni.
Diverse case produttrici d'integratori puntano sulla vendita di sostanze antiossidanti al fine di ridurre la produzione di radicali (quindi lo stress ossidativo), facilitando il recupero tra gli allenamenti o le competizioni.

Esistono però attualmente dei notevoli limiti sulla conoscenza del rapporto tra stress ossidativo e performance.

Il primo punto per comprendere questo fenomeno è conoscere dove si verifica un incremento della produzione di radicali liberi all'interno della cellula muscolare durante l'attività sportiva [1]:

Produzione classica – Avviene nel IV complesso della catena di trasporto degli elettroni, cioè all'interno del mitocondrio (vedi figura a fianco); in altre parole maggiore è il consumo di ossigeno della cellula e maggiore sarà la produzione di questi radicali. La produzione in questa zona è comunque ben tamponata dai sistemi fisiologici ad azione antiossidante che incrementano la loro funzionalità parallelamente al grado di allenamento del soggetto.
Produzione anaerobica – Avviene in altri compartimenti cellulari in assenza di ossigeno, a causa di enzimi (xantina ossidasi, NADPH ossidasi, ecc.) o altre sostanze presenti in alcuni compartimenti cellulari (calcio, ferro, ecc.). La correlazione tra questa produzione e attività fisica è meno conosciuta, ma si pensa che possa essere chiamata in causa principalmente durante sforzi di natura anaerobica o comunque particolarmente intensi.
Produzione secondaria – Avviene dopo qualche ora terminata l'attività, in casi in cui si è verificato un danno muscolare. I radicali vengono prodotti da cellule del sistema immunitario ad azione fagocitaria che smaltiscono i prodotti del danno cellulare.
Come molte volte ribadito, l'interesse per i radicali liberi è dovuto in particolar modo al danno cellulare che essi provocano; occorre tenere in considerazione quindi:
a) dove sono localizzati i danni prodotti dai radicali (vedi i tre tipi di "Produzione" citati sopra);
b) i metodi per verificare l'entità dei danni (cioè i marcatori fisiologici).


Marcatori fisiologici (plasmatici) dello stress ossidativo

Glutatione – Lo stato (riduzione od ossidazione) di questa sostanza nel plasma è un importante indice della produzione classica di radicali liberi; solamente l'esercizio aerobico comporta un incremento temporaneo (circa 6 ore) di quest'indice e, perdipiù, solo oltre una certa intensità di lavoro.
Proteine ossidate – A seguito di un esercizio aerobico (solo oltre una certa intensità) incrementano immediatamente dopo lo sforzo e ritornano a livelli basali dopo circa un'ora. Nel caso di esercizi con i pesi (o comunque in situazioni in cui il danno muscolare è evidente) l'incremento avviene nelle 6-24 ore successive a seguito di una produzione secondaria.
Perossidazione lipidica – è riferita ai danni che subiscono le membrane cellulari; i marcatori fisiologici sono diversi, e quindi si possono ottenere risultati leggermente diversi in base ai marker utilizzati. La malondialdeide è sicuramente quello più utilizzato: sia in esercizi aerobici che con i pesi, l'incremento massimo avviene immediatamente dopo lo sforzo e torna a livelli basali dopo poche ore. Questo testimonia come il danno alle membrane cellulari non avviene a causa di una produzione secondaria.
Ossidazione del DNA – Tramite misurazione dell' 8-OHdG (8-idrossi-2'-deossiguanosina); questa misurerebbe il danno al DNA, ma attualmente l'eterogenicità dei protocolli sperimentali non ha prodotto risultati concordanti sugli effetti dei diversi tipi di attività; dai pochi dati ottenuti è presumibile pensare che danni al DNA possano avvenire solamente con carichi di lavoro particolarmente elevati.
Una volta stabiliti quelli che sono i marcatori fisiologici del danno ossidativo, occorre verificare in letteratura scientifica quali sono gli effetti dell'integrazione; attualmente la maggior parte degli studi si è concentrata sugli effetti della vitamina C ed E.

Dalla letteratura scientifica emergono tre concetti fondamentali sull'argomento:

1) Diversi tipi di attività sportiva influenzano diversamente i marcatori fisiologici dello stress ossidativo.


Ossidazione Glutatione Proteine Ossidate Perossidazione lipidica Ossidazione DNA
Attività Aerobica SI SI* SI NO
Attività con i pesi NO SI** SI NO


*L'incremento avviene immediatamente dopo lo sforzo e ritornano a livelli basali dopo circa 1 ora.
** L'incremento avviene nelle 6-24 ore che seguono l'attività.

2) Antiossidanti diversi hanno azioni diverse nei confronti dei marcatori dello stress ossidativo. La vitamina E è quella che sicuramente offre i maggiori risultati, mentre alcune ricerche [2] hanno sollevato dubbi sull'efficacia della vitamina C, vitamina che altre ricerche hanno promosso.
3) Malgrado la supplementazione con vitamine ad azione antiossidante possa, in alcuni casi, attenuare lo stress ossidativo cellulare da sforzo, non è attualmente possibile affermare che questo possa migliorare la performance a breve o lungo termine [3]; ciò vale ovviamente per soggetti che seguono una dieta equilibrata e non presentano deficit vitaminici.
4) Le ricerche sono purtroppo condotte su atleti giovani (under 40) e quindi hanno una scarsa utilità nella visione globale dello stress ossidativo che tende a considerarlo negativo (come ogni forma di stress) quando produce danni permanenti e/o non recuperati in tempi brevi. Nell'atleta giovane in cui la capacità di ripristino della situazione preesistente lo stress è ancora ottima è del tutto fuori luogo un'integrazione antiossidante. Ben diversa è la situazione in un soggetto over 40 in cui la capacità di recupero dei danni da stress ossidativo decresce con l'età.

Conclusioni

L'assunzione di integratori ad azione antiossidante a scopi ergogeni (cioè per migliorare il recupero e la performance) attualmente non è consigliata. Sussiste invece per contrastare l'invecchiamento in alcuni casi.
Lo stress ossidativo e gli eventuali metodi per combatterlo non sono da considerare in maniera isolata, ma da inquadrare in un concetto più ampio che è il recupero.
Sono necessarie ulteriori ricerche per verificare i possibili effetti ergogeni degli integratori ad azione antiossidante; si devono prospettare comunque altri campi di indagine come:

metodi di verifica dello stress ossidativo che tengano in considerazione analisi dell'urina [4] (poiché non invasivi) e non del plasma;
verificare l'effetto degli antiossidanti non solo nei confronti della produzione di radicali liberi, ma anche di altri parametri come i marcatori del danno muscolare (CK, LDH, ecc.), il profilo ormonale, gli elementi figurati del sangue (globuli rossi, globuli bianchi), i minerali, ecc.
Bibliografia
[1] Bloomer RJ, Goldfarb AH, Wideman L, McKenzie MJ, Consitt LA. Effects of acute aerobic and anaerobic exercise on blood markers of oxidative stress. J Strength Cond Res. 2005 May; 19(2):276-85.
[2] Bryant RJ, Ryder J, Martino P, Kim J, Craig BW. Effects of vitamin E and C supplementation either alone or in combination on exercise-induced lipid peroxidation in trained cyclists. J Strength Cond Res. 2003 Nov;17(4):792-800.
[3] Clarkson PM, Thompson HS. Antioxidants: what role do they play in physical activity and health? Am J Clin Nutr. 2000 Aug;72(2 Suppl):637S-46S.
[4] Orhan H, van Holland B, Krab B, Moeken J, Vermeulen NP, Hollander P, Meerman JH. Evaluation of a multi-parameter biomarker set for oxidative damage in man: increased urinary excretion of lipid, protein and DNA oxidation products after one hour of exercise. Free Radic Res. 2004 Dec;38(12):1269-79.

Anonimo ha detto...

Lo stress fa male al cervello?
La risposta, a quanto pare, è affermativa, e Bremner, che alla Emory University di Atlanta si occupa di immagini biomedicali e risonanze magnetiche, avrebbe “visto” gli effetti dello stress sulla nostra materia grigia.
Analizzando con la risonanza magnetica funzionale il cervello di persone sottoposte a forme gravi di stress, ha notato una riduzione nelle dimensioni dell’ippocampo, un’area responsabile di importanti funzioni cognitive tra cui la memoria. Colpa del cortisolo, un ormone rilasciato dalle ghiandole surrenali, ma regolato dall’ipotalamo, che permettere all’organismo di reagire in situazioni di emergenza.
“Il cortisolo è un’arma a doppio taglio”, dice Bremner. “Ci protegge nel breve periodo ma è dannoso a lungo termine. D’altra parte, a livello evolutivo è più importante che il soggetto viva abbastanza da trasmettere il proprio patrimonio genetico ai discendenti, piuttosto che raggiungere un’età avanzata”. Quello cui si riferisce Bremner, che ha cominciato le sue ricerche lavorando con i veterani del Vietnam, è uno stress particolarmente acuto, in grado di causare il “disturbo post traumatico da stress” o Ptsd. “Ma non c’è bisogno di essere stati in guerra per soffrire di Ptsd”, dice lo psichiatra. “Ne può essere vittima anche a chi ha subito un’aggressione, oppure ha rischiato la vita in un incidente o in una calamità naturale. Anche se alcune persone sono più vulnerablli di altre, secondo le mie statistiche il problema riguarda circa il 10 per cento della popolazione americana. E non c’è ragione di pensare che in Europa le cose vadano meglio”.

“In Italia le percentuali non sono così alte”, dice Massimo Biondi, docente di psichiatria all’Università di Roma La Sapienza. “Forse anche perché ci sono meno dati. Tuttavia esistono sottopopolazioni a rischio (poliziotti, pompieri, medici) in cui i danni da stress acuto sono molto evidenti. Ma lo stress acuto non è l’unico rischio: anche in condizioni di stress cronico aumenta la produzione di cortisolo, che ha un effetto tossico sulle cellule nervose”.

Si tratta di scoperte che hanno rivoluzionato la neuropsichiatria.
“Per anni abbiamo visto il cervello come una scatola chiusa, immodificabile, oggi sappiamo che è vulnerabile agli stimoli psicologici, come lo stomaco o il cuore”, prosegue Biondi. E il cortisolo è solo una delle sostanze responsabili: “Io stesso ho dimostrato sperimentalmente che un evento luttuoso provoca nel cervello di chi lo vive una vera tempesta chimica con una sovrapproduzione di neurotrasmettitori: noradrenalina, serotonina, adrenalina. Può trattarsi di un fenomeno transitorio, ma se lo stato di stress prosegue, nell’arco di alcune settimane le cellule nervose si modificano, con conseguenze su tutto l’organismo”. E a scatenare la crisi può essere la perdita di una persona cara, ma anche una separazione, un pensionamento vissuto male, l’allontanamento dei figli da casa o una grave malattia che modifica il progetto di vita.

Anonimo ha detto...

Se gli adolescenti sono incoscienti è tutta colpa del cortisolo, l'ormone dello stress. Uno studio condotto dall'università di Cambridge ha evidenziato che l'organismo dei ragazzi con gravi comportamenti antisociali non produce il cortisolo, sostanza che aiuta a controllare le emozioni in situazioni stressanti.

Lo studio suggerisce che i cattivi comportamenti siano una forma di malattia mentale legata a uno squilibrio chimico del cervello.

Con l'aiuto di scuole e assistenti sociali, sono stati prelevati campioni di saliva di alcuni ragazzi prima in situazioni di tranquillita', poi sotto stress. E mentre nella media il livello di cortisolo aumentava significativamente nelle situazioni di tensione, nei ragazzi con trascorsi di comportamenti antisociali questo andava a picco.

[Via University of Cambridge]

Anonimo ha detto...

Il cortisolo


Come viene prodotto, come agisce, come controllarne la secrezione



Il cortisolo è un ormone prodotto dalle cellule della fascicolata del surrene in risposta all'ormone ipofisario ACTH. L'ACTH è dunque il precursore del cortisolo.

Il cortisolo viene spesso definito "ormone dello stress" perché la sua produzione aumenta, appunto, in condizioni di stress psico-fisico severo, per esempio dopo esercizi fisici molto intensi o interventi chirurgici.

Con la sua azione, quest'ormone tende ad inibire le funzioni corporee non indispensabili nel breve periodo, garantendo il massimo sostegno agli organi vitali.

Per questo motivo il cortisolo:

induce un aumento della gittata cardiaca

aumenta la glicemia, incrementando la gluconeogenesi epatica (conversione di alanina in glucosio), stimolando la secrezione di glucagone e riducendo l'attività dei recettori insulinici

riduce le difese immunitarie diminuendo, di conseguenza, anche le reazioni infiammatorie (inibizione della fosfolipasi A)

diminuisce la sintesi di collagene e della matrice ossea, accelerando l'osteoporosi

favorisce il catabolismo proteico (stimola la conversione delle proteine in glucosio e la glicogenosintesi)

favorisce la mobilitazione e l'utilizzo degli acidi grassi, ma in alcuni distretti stimola la lipogenesi

Un aumento del cortisolo in circolo si manifesta anche in caso di digiuno prolungato o abitudini alimentari scorrette. Saltare la prima colazione e/o mangiare molto in un unico pasto giornaliero, favorisce infatti l'ipercortisolismo (l'aumento, cioè, della produzione di cortisolo).






Variazione giornaliera dei livelli plasmatci dell'ormone. Da notare il picco raggiunto durante le prime ore del mattino.




VALORE MEDIO DI ACTH NEL SANGUE: 10-70 ng/l

VALORE MEDIO DI CORTISOLO NEL SANGUE:

adulto (alle ore 8:00) 100-200 microgrammi/l o 250-550 nmol/l;

adulto (alle ore 20:00) 100 microgrammi/l;

bambino con età inferiore a 10 anni: 50-100 microgrammi/l



IPERCORTISOLISMO
Il cortisolo è un ormone che va mantenuto sottocontrollo, onde evitare spiacevoli conseguenze. Di seguito sono riportate le principali condizioni causate da un eccesso di questo ormone.




Ipertensione
Irsutismo e alopecia

Obesità tronculare e strie rubre

Debolezza muscolare

Alterazioni del ciclo mestruale

Calo della libido

Edema

Gibbo

Infezioni ricorrenti

Alterata tolleranza glucidica

Cute sottile facies

O steoporosi /fratture

Cefalea

Depressione

Acne

Dislipidemia

Ritardata guarigione delle ferite

Morbo di Cushing: patologia dovuta ad una iperproduzione di cortisolo. Provoca caratteristica ridistribuzione del grasso corporeo, perdita di massa muscolare, ipertensione, fragilità capillare, assottigliamento della cute, difficoltà di cicatrizzazione delle ferite, osteoporosi, immunodepressione, diabete secondario e psicosi.



ATTIVITÀ FISICA E CORTISOLO
Il livello critico di esercizio fisico che provoca un aumento consistente della secrezione di cortisolo è pari a circa il 60% del VO2max.

La sua secrezione è correlata alla durata e all'intensità dell'esercizio fisico, tanto più questi fattori aumentano e tanto maggiore sarà la quantità di cortisolo secreta. Da notare l'incremento dell'ACTH già nel periodo pre-gara, causato dallo stress psicologico da competizione.







N.B: la risposta corticosurrenalica all'attività sportiva è potenziata dal digiuno e dallo stress psicologico, mentre è ridotta dall'ingestione di cibo.



Ricordiamo inoltre che i glucocorticoidi:

stimolano il catabolismo proteico, accelerando la degradazione delle miofibrille muscolari (effetti più evidenti nelle fibre resistenti o di tipo II, presenti in elevata percentuale nelle masse muscolari degli arti inferiori)

incrementano l'attività della glicogeno sintetasi (accumulo di glicogeno)

stimolano la sensazione di fame

favoriscono il deposito di grasso nella regione addominale

Per mantenere sotto controllo i livelli di cortisolo è bene consumare pasti piccoli in termini calorici, ma frequenti (5 o più al giorno). Si consiglia inoltre di iniziare la giornata con una colazione abbondate e di privilegiare l'assunzione di carboidrati complessi come l'avena, i cereali senza zucchero, le farine integrali ed i loro derivati.

Anonimo ha detto...

Lo stress psicologico potrebbe influenzare il decorso della sclerosi multipla, alterando i livelli del TNF-alfa

I Ricercatori del Dipartimento di Neurologia dell'University Hospital di Ginevra in Svizzera hanno condotto uno studio pilota su 14 studenti di medicina, sani.
L'obiettivo dello studio era quello di verificare se un evento stressante psicologico (esame finale) fosse in grado di modificare i livelli di TNF-alfa ( Tumor Necrosis Factor ).
E' stata osservata una marcata e sostenuta riduzione dei livelli di TNF-alfa diverse settimane prima dell'esame, seguita da un significativo aumento dei livelli nei giorni successivi.
Lo stress indotto dall'esame è stato confermato sia dall' elevata concentrazione di cortisolo nelle urine che dal significativo aumento del punteggio nella scala degli stress.
Estendendo questi risultati ai pazienti con sclerosi multipla , gli Autori hanno ipotizzato che lo stress psicologico possa influenzare il decorso della sclerosi multipla mediante l'alterazione dei livelli di TNF-alfa. ( Xagena_2002 )

Lalive PH et al, Behav Neurosci 2002; 116:1093-1097

Anonimo ha detto...

Oxidative stress biomarkers in sporadic ALS.Mitsumoto H, Santella RM, Liu X, Bogdanov M, Zipprich J, Wu HC, Mahata J, Kilty M, Bednarz K, Bell D, Gordon PH, Hornig M, Mehrazin M, Naini A, Flint Beal M, Factor-Litvak P.
Eleanor and Lou Gehrig MDA/ALS Research Center, Columbia University Medical Center, New York, NY 10032, USA. hm264@columbia.edu

We aimed to investigate oxidative stress biomarkers in a cross-sectional pilot study of 50 participants with sporadic ALS (SALS) compared to 46 control subjects. We measured urinary 8-oxodeoxyguanosine (8-oxodG), urinary 15-F(2t)-isoprostane (IsoP), and plasma protein carbonyl by ELISA methods. We also determined if ELISA measurement of 8-oxodG could be validated against measures from high-pressure liquid chromatography coupled with electrochemical detection, the current standard method. We found that 8-oxodG and IsoP levels adjusted for creatinine were significantly elevated in SALS participants. These differences persisted after age and gender were controlled in regression analyses. These markers are highly and positively correlated with each other. 8-oxodG measured by the two techniques from the same urine sample were positively correlated (p<.0001). Protein carbonyl was not different between SALS participants and controls. In conclusion, using ELISA, we confirmed that certain oxidative stress biomarkers were elevated in SALS participants. ELISA may be reliable and thus useful in epidemiology studies requiring large numbers of samples to determine the significance of increased oxidative stress markers in SALS. Further studies are required.

PMID: 18574762 [PubMed - indexed for MEDLINE]

Fabio e Fabrizio ha detto...

QUESTA MIA TEORIA VEDE CONFERMA ANCHE IN RECENTI STUDI DI ALCUNI IMPIEGHI LAVORATIVI MAGGIORMENTE A RISCHIO:
- SPORTIVI: STRESS E ANSIA DA PRESTAZIONE
- MEDICI E VETERINARI: ALTI LIVELLI DI STRESS, ALCUNI STUDI RITENGONO COME CATEGORIE DI RISCHIO MAGGIORE AL SUICIDIO.
-MILITARI:
ETC..

NELLA VITA DI OGNI MALATO CHE HO CONOSCIUTO C'è UN EVENTO DI STRESS PREOCCUPAZIONI O CONFLITTI CON FAMILIARI, LAVORATIVI, ETC.. LI ACCOMUNA ANCHE L'ESSERE PERSONE MERAVIGLIOSE, ALTRUISTE,LAVORATORI INSTANCABILI, SENSIBILI E TESE AL PROSSIMO, PROBABILMENTE CARATTERISTICHE CHE LI RENDONO PIU' VULNERABILI AI DANNI DA STRESS... BISOGNEREBBE TRACCIARE UN ANAMNESI DETTAGLIATA, UN ABITO MORFOLOGICO E PSICHICO DI OGNI MALATO PROBABILMENTE TROVEREMO MOLTE RISPOSTE E SICURAMENTE COSE IN COMUNE... QUESTO E' SOLO IL MIO PENSIERO TRATTO DALLA MIA ESPERIENZA CON LA SLA... PROBABILMENTE UN GIORNO DIVERRà UNA MALATTIA MULTIDISCIPLINARE E OLTRE AL NEUROLOGO COMPRENDERA' ANCHE ALTRI SPECIALISTI: PSICHIATRA, MEDICO DEL LAVORO, PSICOTERAPEUTI... ETC ETC

Anonimo ha detto...

Guerra: nuoce gravemente alla salute

Le istituzioni governative negano l’esistenza della sindrome, ma è un dato di fatto che circa 160 mila veterani negli Stati Uniti – il 28% del totale – è stato inserito nei registri dei pazienti in cura dopo il conflitto del Golfo e al 46% del totale, 260 mila circa, è stata riconosciuta un’invalidità. Dati di molto superiori rispetto ai veterani della guerra del Vietnam. Non solo. Di recente il Dipartimento federale Americano dei reduci di guerra ha accettato di indennizzare 40 ex combattenti che soffrono di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), malattia presente nei veterani della guerra del Golfo con una percentuale doppia rispetto a quella del resto della popolazione. Ma è veramente così? Per confermare questi dati epidemiologici sull’ultimo numero di Neurology sono state pubblicate due ricerche che sono arrivate ad un’unica conclusione: le truppe “scese in campo” durante la guerra del Golfo del 1991 sono state esposte a sostanze che hanno danneggiato il sistema nervoso. Il dibattito è aperto.

Casi raddoppiati
I risultati sono piuttosto evidenti – secondo Ronnie Horner, autore di una delle due ricerche -. Il rischio di SLA, nei dieci anni successivi alla guerra, è approssimativamente raddoppiato. Tradotto in numeri significano 40 casi sui 700000 militari statunitensi schierati. Un numero piuttosto basso, compatibilmente con la rarità della malattia. Mancando oltretutto la causa specifica è difficile anche stabilire quale grado di preoccupazione debbano avere i reduci. La malattia, detta anche di Lou Gehrig dal nome di un noto giocatore di baseball statunitense colpito dal morbo, uccide i motoneuroni, le cellule del SNC effettrici del movimento. I pazienti si indeboliscono progressivamente ed sviluppno anche complicazioni respiratorie, un quadro che li conduce alla morte al massimo in sei anni. Il 10% dei casi sono ereditari, il rimanente 90% è classificato come sporadico, cioè di causa ignota. Ecco perché l’incidenza di casi di SLA tra i reduci della guerra del Golfo apre le porte alla possibilità di identificare un vettore della malattia. Ma ancora – sostengono i ricercatori – siamo lontani dalle cause. I dati emersi dalle interviste ai soldati devono essere ancora sviscerati, ma potrebbe non trattarsi di un unico agente responsabile, bensì di più agenti che hanno interagito in un breve intervallo di tempo. Il sospetto di Haley - autore della seconda ricerca - è che si possa trattare di gas nervino, presente in gran quantità nei depositi di armi chimiche irachene.

Colpa del Sarin?
Secondo una stima pubblicata nel giugno 2003 dal General Accounting Office statunitense l’esposizione delle truppe al Sarin sarebbe stata tre volte superiore a quella stimata dal Pentagono e questo a causa della demolizione di un deposito di gas nervino. Un numero superiore di soldati sarebbe così stato esposto. Già in passato era stata considerata l’ipotesi che la SLA fosse legata all’esposizione a pesticidi ed erbicidi ed il Sarin altro non è se non un pesticida umano. Inoltre è ormai assodato che anche un’esposizione blanda può causare danni cerebrali, in particolare in persone con una suscettibilità genetica. Non è da escludere così – secondo i ricercatori – che la SLA sia l’ultimo stadio della sindrome del Golfo. I dati a disposizione – riepiloga Haley – sono casi di sindrome del Golfo causati da un’agente nervino e una epidemia contenuta di Sla nei soggetti già con la sindrome. L’associazione viene da sé. I veterani colpiti dalla malattia si distinguono, poi, dalla maggiornaza dei pazienti per la giovane età; non è da escludere, quindi, che i casi possano aumentare con l’avanzare degli anni. Ma resta una malattia rara - concludono gli autori.

Pericolo ma limitato
Una nota di cautela viene, così, dall’editoriale che accompagna gli studi. Il numero dei casi di SLA è piuttosto basso e il fatto che il rischio dei veterani raddoppi non lo rende in ogni caso particolarmente cospicuo. L’esempio dell’editoriale rende l’idea. Se le possibilità di vincere la lotteria sono di una su un milione e qualcuno la raddoppia con un secondo biglietto, le nuove possibilità non aumentano così significativamente. Basterebbe - aggiunge l’editorialista – che qualche caso di SLA nel gruppo controllo fosse stato perso per rendere i numeri irrilevanti. Come a dire che la strada da percorrere per verificare i dati e capire di più sulla malattia è ancora lunga.

Marco Malagutti


Fonti
Rose M. R. Gulf War service is an uncertain trigger for ALS. Neurology 2003 61: 730-731.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Amyotrophic lateral sclerosis and Parkinsonism-dementia complex of the Kii peninsula (Kii ALS/PDC) is an endemic and a tauopathy, which shows clinical symptoms of amyotrophy, parkinsonism, and dementia. The objective of this study was to report the role of oxidative stress on Kii ALS/PDC using biochemical analysis. Urinary 8-hydroxydeoxyguanosine (8-OHdG)/creatinine ratio was analyzed in 11 patients with Kii ALS/PDC and 8 normal controls. The mean level of urinary 8-OHdG/creatinine ratio of the patients with Kii ALS/PDC was significantly higher than that of control subjects. Oxidative stress may be implicated in pathogenesis of Kii ALS/PDC. (c) 2008 Movement Disorder Society.

TRADUZIONE
Sclerosi laterale amiotrofica e Parkinsonismo-demenza complesso della penisola di Kii (Kii ALS / PDC), è uno endemica e tauopathy uno, che mostra sintomi clinici della amiotrofia, parkinsonismo e demenza. L'obiettivo di questo studio era quello di segnalare il ruolo di stress ossidativo su Kii ALS / PDC utilizzando analisi biochimiche. 8-urinario hydroxydeoxyguanosine (8-OHdG) / creatinina è stato analizzato in 11 pazienti con SLA Kii / PDC e 8 normali controlli. Il livello medio di 8-OHdG/creatinine rapporto urinario dei pazienti con SLA Kii / PDC è stata significativamente superiore a quello dei soggetti di controllo. Stress ossidativo può essere implicati nella patogenesi di Kii ALS / PDC. (c) 2008 Movimento Disturbo della società.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Targeting Oxidative Stress for Neuroprotection.Linseman DA.
University of Denver, Biological Sciences, Seeley G. Mudd Science Bldg., 130, 2101 E. Wesley Ave., Denver, Colorado, United States, 80208; daniel.linseman@du.edu.

The generation of reactive oxygen species (ROS) and reactive nitrogen species (RNS) leads to oxidative and/or nitrosative damage to cellular proteins, lipids and DNA (a process collectively referred to here as oxidative stress). During ageing, oxidative stress increases due to an aberrant generation of ROS/RNS and a gradual decline in cellular antioxidant defense mechanisms. Consequently, ageing and the associated increase in oxidative stress are major risk factors for many neurodegenerative diseases. In addition, various genetic mutations and environmental exposures can sensitize individuals to oxidative stress and neurodegeneration. Within the cell, mitochondria are a major source of oxidative stress. However, additional intracellular sources of ROS and RNS exist, as well as extracellular sources such as those resulting from inflammation or exposure to toxins. A significant body of literature indicates that ROS and/or RNS resulting from mitochondrial dysfunction, neuroinflammation, or toxicants are major factors in the oxidative stress-dependent neuronal death that underlies various neurodegenerative disorders including Parkinsons disease (PD), Alzheimers disease (AD), Huntingtons disease (HD), amyotrophic lateral sclerosis (ALS), and many others (1, 8, 9, 16, 18). Accordingly, the discovery of novel strategies to mitigate oxidative stress is a principal focus of current therapeutic development programs for neurodegenerative diseases.

PMID: 18715147 [PubMed - as supplied by publisher]

Fabio e Fabrizio ha detto...

Malattie da stress Malattie o lesioni che possono essere provocate o aggravate dall'attivazione persistente dei sistemi neurovegetativo ed endocrino, che si verifica nelle situazioni di stress cronico. Malattie collegate allo stress sono, ad esempio, l'asma, le ulcere gastriche, l'ipertensione e alcuni disturbi, come le sindromi da sforzo ripetuto e il mal di schiena.

Alcune ricerche, basate sul riconoscimento del fatto che le persone sottoposte a forti tensioni sono più suscettibili alle malattie, hanno messo in evidenza i rapporti esistenti fra stress e sistema immunitario. Le conseguenze dello stress non sembrano collegate soltanto a eventi fortemente negativi, come la perdita di una persona cara, ma anche ai cambiamenti delle proprie abitudini, come l'inizio di un nuovo lavoro, o a circostanze gioiose, come la nascita di un bambino. Alcuni sociologi hanno stilato un elenco di eventi, valutando l'intensità relativa dello stress collegato a ciascuno di essi, su una scala da 1 a 100: una variazione nelle ore di sonno equivale a 16, i problemi di lavoro a 23, il licenziamento a 47, la carcerazione a 63, il divorzio a 73 e la morte del proprio partner a 100.

2 Cause

Anteprima della sezione
Oltre ad alcuni disturbi specifici certamente dovuti a stress, secondo alcune teorie anche il decorso di malattie come il raffreddore o la predisposizione individuale a patologie come il cancro possono essere indirettamente influenzati da condizioni di tensione psicologica.

Ripetute esperienze frustranti, ad esempio rimanere bloccati nel traffico, possono contribuire all'insorgere dell'ipertensione.

Altri fattori che provocano stress, come stili di vita caratterizzati da forte competitività e volontario sovraccarico di lavoro, possono incrementare l'incidenza delle malattie cardiovascolari.

3 Tipi di malattie

Anteprima della sezione
Una delle patologie che viene più comunemente aggravata da condizioni di stress è l'ipertensione.

Molto frequenti sono anche i disturbi a carico dell'apparato digerente, tra i quali spiccano per gravità le ulcere peptiche, che causano nausea e dolore e possono essere provocate da un eccesso di succhi gastrici, dall'ipersensibilità delle pareti dello stomaco, oppure dalla presenza del batterio Helicobacter pylori. Altri disturbi gastroenterici comprendono le malattie infiammatorie del colon e dell'intestino, come la colite ulcerosa e l'enterite regionale.

Diversi disturbi respiratori, ad esempio l'asma, possono essere determinati da scompensi di origine emotiva. Lo stress può inoltre causare, o contribuire ad aggravare, svariate malattie della pelle.

Gravi traumi dovuti a incidenti, catastrofi o a esperienze belliche possono provocare una patologia, chiamata disturbo da stress post-traumatico, che in genere si manifesta con irritabilità, depressione e difficoltà di rapporto con l'ambiente circostante, dopo un iniziale periodo di torpore di durata variabile.

Anonimo ha detto...

Stimolazione Magnetica Transcranica (rTMS) nella SLA...


La stimolazione magnetica è una metodica già in uso negli ospedali e nelle strutture ambulatoriali con scopi diagnostici.

Recentemente, alcuni studi hanno suggerito l'efficacia di tale tecnica nel trattamento di alcuni disturbi psichici.

Nella terapia con rTMS, uno strumento chiamato "stimolatore" fornisce energia elettrica ad un coil (ansa) magnetico che genera un campo magnetico a livello cerebrale per un breve periodo di tempo.

Il campo magnetico prodotto dal coil passa senza ostacolo attraverso lo scalpo fino all' encefalo senza alcuna dispersione ed in modo pressoché indolore potendo pertanto raggiungere le strutture cerebrali sottostanti, in particolare la corteccia cerebrale, e modificarne l'attività elettrica in modo da migliorare i sintomi di alcuni disturbi come la Depressione ed il Disturbo Ossessivo Compulsivo.

Il coil è posto sul capo in modo tale da permettere al campo magnetico di raggiungere la regione del cervello di interesse. Lo stimolo magnetico produce una risposta registrabile, che si manifesta con un rumore simile ad una serie di clic ed una sensazione tipo formicolio sulla pelle del capo.

Il rischio più serio attribuito alla rTMS è la possibilità che si manifestino convulsioni quando viene somministrata una serie di impulsi ad alta potenza e quando vengono emesse ripetute serie di impulsi estremamente vicine tra loro.

Comunque, l'effetto collaterale più comunemente riportato della TMS è una cefalea muscolo-tensiva.

Se incorre un episodio di cefalea, questo avviene durante o immediatamente dopo la TMS e dura da pochi minuti ad ore dopo la TMS.

Nell'ambito di una convenzione tra il nostro Centro e l'Università degli Studi di Firenze conduciamo due protocolli sperimentali, uno per il Disturbo Ossessivo-Compulsivo ed uno per la Depressione Maggiore resistente alle terapie tradizionali.






STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA (SMT)



La Stimolazione Magnetica Transcranica (SMT) è una metodica non invasiva che permette la stimolazione elettrica di specifiche aree della corteccia cerebrale. L'introduzione di questa tecnica nella pratica clinica è molto recente ed al momento di impiego limitato.

L'efficacia della SMT non è legata alle crisi epilettiche; solitamente si effettuano 4-5 sedute settimanali durante le quali vengono eseguite stimolazioni multiple. E' solitamente ben tollerata. Sembra efficace nel trattamento dei disturbi dell'umore, attraverso la stimolazione focale delle regioni cerebrali implicate nella regolazione dell'affettività.

Il miglioramento della sintomatologia depressiva si osserva a seguito della stimolazione della corteccia prefrontale dorso-laterale sinistra. Questa tecnica sembra in grado di modulare selettivamente l'attività delle aree cerebrali coinvolte nella patofisiologia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS).



(da: L Conti, P Medda, C Manzi: Le terapie fisiche. In: GB Cassano et al. "Manuale di Psichiatria", Utet, Torino, in stampa.)

Anonimo ha detto...

interessante la correlazione tra stress e SLA . Ho esperienza diretta in quanto dal 2004 ho subito forme di sotto impiego professionale per mutate proprieta aziendali e nel 2oo8 mi è stata diagnosticata la SLA. Vorrei che mi si desse evidenza della correlazione tra stress e sla in modo incontrovertibile prego contattare angelfish81@alice.it

Anonimo ha detto...

Salve.
Qualche mese fa scrissi già a questo sito per parlare della mia contrattura ai muscoli del collo, delle spalle e talvolta del viso che mi porta, oltre al ben comprensibile fastidio e dolore, tremore alle mani e alle braccia in generale quando queste sono in tensione (secondo il mio neurologo sono "fini tremori posturali"). Oltre a questi problemi che hanno da subito in me suscitato tanta ansia, due mesi fa si è aggiunto anche un persistente mal di testa, che ho avuto modo di identificare come "cefalea tensiva" (non ho fitte ma un fastidio continuo che si presenta in diverse zone, in particolare la nuca, le tempie e gli occhi. Un fastidio sempre simmetrico e mai insopportabile ma comunque fastidioso, unito ad una senzazione di confusione). I medici che hanno avuto modo di visitarmi (medico generico, fisiatra, ortopedico e neurologo) sono stati tutti abbastanza daccordo nel sostenere che tutto ciò è legato principalmente ad una situazione di stress che sto vivendo (mio padre è affetto da SLA e stiamo vivendo tutti un periodo molto difficile). Mi è stata consigliata una cura a base di Levopraid ma non ho ottenuto dei risultati. La cosa che mi angoscia di più in questo momento è che quando ho parlato con il neurologo ho sorvolato sulle fascicolazioni che avverto più o meno in tutto il corpo, dalla testa alle gambe, ma ho parlato con lui solo delle mioclonie, che ha comunque indicato come legate a stress. Il problema delle fascicolazioni io l'ho notato da molti anni, iniziò nella mano, poi nella palpebra e nell'ultimo periodo, con il grande stress sempre di più ovunque. Ma l'ansia mi è venuta quando ho visto che il mio polpaccio destro ha effettivamente un gran numero di fascicolazioni (per intenderci, una ogni 5/10 secondi in diversi fasci muscolari) che io non avverto ma sono visibili ad occhio nudo con dei leggeri movimenti della cute. C'è da dire una cosa: di questo episodio me ne sono accorto dopo che ho ripreso a fare nuoto, sport in cui il polpaccio indicato mi crea dei fastidi (anche dopo sforzi non troppo lunghi il muscolo rischia di contrarsi e di generare un crampo). Mi aveva creato dei fastidi anche in passato, sempre con il nuoto ma mai con altri sport o corsa ma questa volta è decisamente superiore e, seppur quasi impercettibile, qualche volta mi da fastidio anche mentre cammino.
In sostanza vorrei sapere se alla luce di questi nuovi fattori, in particolare di questo problema al polpaccio destro (fascicolazioni molto numerose e minaccie di crampo quando nuoto) sia il caso di fare nuovi accertamenti, magari una EMG al polpaccio in questione. Il neurologo che mi aveva visitato (e mi ha fatto comunque una visita completa e abbastanza accurata) non aveva ritenuto necessario in quel momento altre visite perchè secondo lui era tutto legato a stress e ansia. Anche questo lo è?
Grazie di cuore

Anonimo ha detto...

La ringrazio per la Sua risposta.

Purtroppo non ho ancora risolto nulla. Ho evitato di fare degli esami diagnostici approfonditi sempre per paura di qualche esito spiacevole. Comunque il quadro è leggermente cambiato: le piccole contrazioni nelle gambe sono leggermente diminuite mentre ho tantissime fascicolazioni nella parte interna del piede destro, vicino alla pianta: una attività spontanea continua e incessante, che coinvolge non solo un fascio ma tutto il muscolo che sembra proprio impazzito. Non mi da particolare fastidio (a parte una senzazione talvolta come se mi stesse per venire un crampo ma quando cammino non sento assolutamente niente, solo a riposo) e sparisce come contraggo il muscolo. Lo stesso fenomeno si può notare nel piede sinistro ma con una intensità un po' minore. Cio che comunque mi ha permesso fino ad ora di non preoccuparmi più di tanto è che comunque non ho problemi ad eseguire alcun tipo di movimento, e non ho comunque un calo di forza o diminuzione della massa muscolare. Rimangono anche gli altri sintomi che ho elencato nell'altro mio messaggio, senza cambiamenti rilevanti di intensità. Tutti questi sintomi variano nell'arco della giornata o anche nei giorni, senza nessuno schema preciso: a volte ci sono a volte no. Ho notato comunque che nei momenti di stress (per esempio quando devo dare esami universitari) questi tendono ad accentuarsi. Al di la di ciò credo che comunque dovrei fare delle analisi più specifiche per scongiurare il peggio se non fosse che i medici che ho sentito hanno sempre parlato di stress e non hanno ritenuto opportuno altri accertamenti.

Saluti

Unknown ha detto...

Ho trovato questo articolo, seppur blu :P decisamente interessante e scritto da una dottoressa, te lo linko: http://goo.gl/cNa3CN

Fabio e Fabrizio ha detto...

La spasmofilia e' uno stato patologico dovuto a carenza di magnesio caratterizzato dall’associazione fra i segni e i sintomi dell’eccitabilità neuromuscolare e manifestazioni psicosomatiche di nevrosi.
Il termine di spasmofilia fu proposto nel 1874 da Erb, anche se due ricercatori francesi, Dauce nel 1831 e Corvisart nel 1852, avevano posto le basi di un inquadramento autonomo del quadro morboso, definito “tetania a manifestazioni spontanee di contratture muscolari”. Nei primi anni del 900 Mac Callum scoprì che alla base della tetania in corso di ipoparatiroidismo c’era l’ipocalcemia e negli anni ’40, con gli studi di Lerique, si individuarono quadri di ipereccitabilità neuromuscolare non ipocalcemici definiti “tetania latente”. Infine, nel 1959, i francesi Rosselle e De Coucker affermarono che la spasmofilia normocalcemica poteva essere secondaria anche ad ipomagnesemia.
Il magnesio nel siero esiste in tre forme differenti: il magnesio legato a proteine (30%) che non è ultrafiltrabile, il magnesio ionizzato (55%) e il magnesio complessato (15%) che è ultrafiltrabile. Il magnesio ionizzato rappresenta la frazione più importante per vari processi fisiologici, inclusi la trasmissione neuromuscolare ed il tono cardiovascolare. La concentrazione sierica del magnesio è compresa tra 1,7 e 2,6 mg/dl, senza differenze significativi nei due sessi e nelle varie età.
Il deficit di magnesio è dovuto generalmente a perdita del minerale attraverso il tratto gastroenterico ed il rene. Le cause più comuni di deficienza sono i disturbi gastrointestinali (sindrome da malassorbimento, by-pass intestinali, sindrome diarroica) i disordini renali (insufficienza renale cronica, terapia cronica parenterale, alcolismo) i disordini endocrini e metabolici (diabete mellito, ipercalcemia, iper e ipoparatiroidismo, iperaldosteronismo primitivo) e i farmaci (diuretici, ciclosporina, aminoglicosidi).

Fabio e Fabrizio ha detto...

Il magnesio regola l’eccitabilità delle membrane nervose e muscolari, pertanto le manifestazioni cliniche da ipomagnesemia sono caratterizzate dalla ipereccitabilità neuromuscolare sotto forma di tetania latente o da spontanei spasmi carpo-podalici. Altri segni e sintomi includono: vertigini, atassia, nistagmo, movimenti atetosici e coreiformi, tremori e fascicolazioni muscolari, mialgie.
La spasmofilia si manifesta nei soggetti di sesso femminile (rapporto maschi/femmine 1:5) e nell’età adulta, con un massimo d’incidenza intorno ai 30 anni.
Le crisi tetaniche vere si verificano nel 20-30% dei soggetti, mentre l’ipereccitabilità neuromuscolare si manifesta in genere sotto forma di parestesie peribuccali, e di mioclonie della muscolatura palpebrale. L’habitus dello spasmofilico è astenico; il paziente presenta artromialgie diffuse spesso associate a contrattura della muscolatura paravertebrale. Frequenti sono la cefalea muscolo-tensiva, le crisi lipotimiche e le vertigini soggettive. Il paziente lamenta inoltre: crisi tachiaritmiche, costrizione toracica, bolo faringeo, dispepsia (caratterizzata da nausea e vomito e da turbe dell’alvo), pollachiuria, nicturia, riduzione della libido e dismenorrea del sesso femminile. E' stata evidenziata una maggiore incidenza del prolasso mitralico nei pazienti spasmofilici. Le caratteristiche psichiche di tali pazienti sono quelle di individui affetti da sindrome ansioso-depressiva, talvolta complicata da evidenti crisi fobico-ossessive. Obiettivamente il paziente non presenta anomalie dei vari organi ed apparati, ad eccezione di un non costante ipertono muscolare. La positività dei segni di Chovstek e di Trousseau non sono costanti e risultano positivi nel 50-80% dei casi.
Gli esami di laboratorio appaiono per lo più normali anche se possono rilevarsi riduzioni significative della magnesemia e/o del calcio ionizzato. L’elettromiografia di base risulta in genere negativa, mentre il tracciato mette in evidenza doppiette, triplette e multitriplette, se l’esame viene eseguito in corso di ischemia meccanica o in corso di iperventilazione.
La diagnosi differenziale della spasmofilia va effettuata nei confronti delle patologie caratterizzate da ipocalcemia e/o ipomagnesemia, della fibromialgia e della sindrome da fatica cronica.
La terapia si avvale della somministrazione per via orale di Sali di magnesio, in particolare dell’aspartato o del pendolato di magnesio, più assorbibili rispetto al cloruro di magnesio. La dose giornaliera dello ione si aggira intorno ai 300 mg/die, meglio se in più somministrazioni. Gli antidepressivi triciclici e le benzodiazepine non risultano efficaci nella spasmofilia poiche'tendono ad aumentare l’astenia e la facile esauribilità muscolare