giovedì 31 marzo 2011


E' morto Antonio Rossano,

il precipitare della malattia che l’aveva colpito

da qualche settimana,

la terribile e sempre più frequente Sla.

Amava la penna e il microfono

Fu capocronista della Gazzetta nel periodo 1973-78

1 commento:

Fabio e Fabrizio ha detto...

Lunedì scorso era scomparso Giorgio Aldini (al secolo Giorgio Azzollini), il medico ma soprattutto l’amico fraterno e l’attore di grande talento con il quale aveva vissuto quasi in simbiosi la passione per il teatro, scrivendo per lui i suoi testi più importanti; la notizia l’aveva raggiunto in un letto d’ospedale, a Milano, dove l’aveva portato il precipitare della malattia che l’aveva colpito da qualche settimana, la terribile e sempre più frequente Sla. Ieri, una crisi improvvisa l’ha stroncato. Antonio Rossano aveva 70 anni: giornalista, scrittore, grande affabulatore radiofonico. Ieri sera lo ricordava con emozione e incredulità il suo collega Franco Chieco, di una decina d’anni più anziano, rievocandone l’arrivo, appena diciottenne, alla Gazzetta del Mezzogiorno; ci restò vent’anni, laureandosi in Scienze politiche mentre già lavorava, facendo carriera fino a diventare capocronista nel periodo 1973-78, un quinquennio tremendo culminato con l’assassinio di Benny Petrone e con la tragica vicenda di Aldo Moro. L’edizione speciale della Gazzetta per la morte di Petrone, tra l’altro, valse a lui e a tutta la redazione della cronaca di Bari il premio Senigallia «Cronista dell’anno». C’era una passione grande nel suo lavoro, un’idea di giornalismo alta e nobile. Che si sommava alle sue tante passioni, quella per la scena teatrale ad esempio o per la radiofonia, che lo portò nel 1979 alla Rai, per fare informazione televisiva e soprattutto radiofonica. Fu inviato del Gr1, ma anche appassionato osservatore della cultura per la testata regionale, frequentando assiduamente il Festival della Valle d’Itria a Martina Franca o le migliori stagioni del Petruzzelli.

Nella sua lunghissima vita professionale (quarantacinque anni di servizio) aveva visto cambiare, e molto, il mestiere che tanto amava; non sempre per il meglio, visto che aveva spesso avuto occasione di lamentarsi degli eccessi di certo giornalismo-spettacolo contemporaneo, lui così sobrio e sorvegliato. Negli ultimi anni, e ancor più una volta andato in pensione, cercava di contrastare le derive della professione dedicandosi (dopo aver insegnato come docente a contratto all’università di Bari) alla formazione dei giovani colleghi, dirigendo il master di giornalismo dell’Ordine pugliese. Poligrafo inarrestabile, si era cimentato con le favole e la narrativa per ragazzi (scriveva per i suoi figli, allora) e con i radiodrammi, raccolti nel volume Viva i santi, viva tutti quanti (La Nuova Italia 1976, premio Campione d’Italia per il teatro); con la politica (L’altro Moro, Sugarco 1985) e con la storia di Bari e del suo teatro (nel recente Il Petruzzelli. Storia di una città, Progedit 2008).

L’ultimo dei suoi tanti libri, edito da Levante nell’ottobre 2010, parlava de L’italiano (ieri e oggi); ovvero, «tra rimembranze, contaminazioni e prove di scrittura» una serie di appunti sparsi, arguti e come sempre appassionati, per contribuire a salvare la nostra lingua, quella in cui siamo nati e in cui viviamo, magari utilizzando la coincidenza delle celebrazioni incombenti dei 150 anni dell’Unità. In effetti, lui l’italiano sapeva scriverlo come pochi, con elegante chiarezza; e sapeva parlarlo con un tratto che sapeva d’antico, nelle forme curate, nel timbro, nella dizione. Antonio Rossano lascia la moglie Massima Donatella, gli amati nipoti e i due figli, Letizia e Angelo, nostro collega al Corriere del Mezzogiorno. La fine di Antonio è arrivata rapida, improvvisa. Nessuno se l’aspettava così. «Martedì pomeriggio era stanco, provato, ma ancora lucidissimo», raccontava Chieco. «Avevamo parlato del suo amico, Giorgio, e del tempo che passa».