domenica 11 maggio 2008

Brain Res. 2007 Sep 5;1167:112-7. Epub 2007 Jul 7.
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Increased autophagy in transgenic mice with a G93A mutant SOD1 gene.
Morimoto N, Nagai M, Ohta Y, Miyazaki K, Kurata T, Morimoto M, Murakami T, Takehisa Y, Ikeda Y, Kamiya T, Abe K.
Department of Neurology, Graduate School of Medicine, Dentistry and Pharmaceutical Sciences, Okayama University, 2-5-1 Shikata-cho, Okayama 700-8558, Japan.
Autophagy, like the ubiquitin-proteasome system, is considered to play an important role in preventing the accumulation of abnormal proteins. Rat microtubule-associated protein 1 light chain 3 (LC3) is important for autophagy, and the conversion from LC3-I into LC3-II is accepted as a simple method for monitoring autophagy. We examined a SOD1G93A transgenic mouse model for amyotrophic lateral sclerosis (ALS) to consider a possible relationship between autophagy and ALS. In our study we analyzed LC3 and mammalian target of rapamycin (mTOR), a suppressor of autophagy, by immunoassays. The level of LC3-II, which is known to be correlated with the extent of autophagosome formation, was increased in SOD1G93A transgenic mice at symptomatic stage compared with non-transgenic or human wild-type SOD1 transgenic animals. Moreover, the ratio of phosphorylated mTOR/Ser2448 immunopositive motor neurons to total motor neurons was decreased in SOD1G93A-Tg mice. The present data show the possibility of increased autophagy in an animal model for ALS. And autophagy may be partially regulated by an mTOR signaling pathway in these animals.
PMID: 17689501 [PubMed - indexed for MEDLINE]
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5 commenti:

Fabio e Fabrizio ha detto...

L’autofagia è un processo cellulare che consente alle cellule di riciclare il proprio contenuto e di rimuovere in modo selettivo mitocondri e altri organelli danneggiati. Nelle cellule tumorali essa viene stimolata dalla chemioterapia e dalla radioterapia, ma non è chiaro se essa contribuisca alla morte delle cellule tumorali o piuttosto non consenta a esse di sopravvivere alle terapie anticancro. In uno studio in cui è stato utilizzato un modello murino del linfoma a cellule B, alcuni ricercatori del Dipartimento di medicina dell’Università della Pennsylvania hanno ora dimostrato che l’autofagia rappresenta in realtà proprio un meccanismo attraverso cui le cellule tumorali cercano di superare la sfida rappresentata dalle terapie che stimolano l’apoptosi, o morte cellulare programmata. In un articolo on line, pubblicato in anteprima rispetto alla sua uscita sul numero di febbraio della rivista Journal of Clinical Investigation, Craig Thompson e colleghi spiegano come in un tumore in cui era stata indotta l’apoptosi attraverso l’attivazione del gene p53, l’autofagia ha interessato unicamente quelle cellule tumorali che non sono andate incontro ad apoptosi. Quando l’organismo del topo non era in grado di iniziare l’autofagia, veniva rilevato un maggior numero di cellule tumorali che andava incontro ad apoptosi. Inoltre, se l’animale veniva trattato con farmaci antitumorali come la ciclofosfamide, aumentava l’apoptosi cellulare e la eventuale durata di remissone del tumore si allungava. Lo studio ha implicazioni cliniche e indica che l’affiancamento di inibitori dell’autofagia alle terapie standard potrebbe aumentare l’efficacia dell’induzione dell’apoptosi che queste determinano.
Fonte: Le Scienze
Link:http://lescienze.espresso.repubblica.it/

Fabio e Fabrizio ha detto...

L’autofagia è un processo cellulare che consente alle cellule di riciclare il proprio contenuto e di rimuovere in modo selettivo mitocondri e altri organelli danneggiati. Nelle cellule tumorali essa viene stimolata dalla chemioterapia e dalla radioterapia, ma non è chiaro se essa contribuisca alla morte delle cellule tumorali o piuttosto non consenta a esse di sopravvivere alle terapie anticancro. In uno studio in cui è stato utilizzato un modello murino del linfoma a cellule B, alcuni ricercatori del Dipartimento di medicina dell’Università della Pennsylvania hanno ora dimostrato che l’autofagia rappresenta in realtà proprio un meccanismo attraverso cui le cellule tumorali cercano di superare la sfida rappresentata dalle terapie che stimolano l’apoptosi, o morte cellulare programmata. In un articolo on line, pubblicato in anteprima rispetto alla sua uscita sul numero di febbraio della rivista Journal of Clinical Investigation, Craig Thompson e colleghi spiegano come in un tumore in cui era stata indotta l’apoptosi attraverso l’attivazione del gene p53, l’autofagia ha interessato unicamente quelle cellule tumorali che non sono andate incontro ad apoptosi. Quando l’organismo del topo non era in grado di iniziare l’autofagia, veniva rilevato un maggior numero di cellule tumorali che andava incontro ad apoptosi. Inoltre, se l’animale veniva trattato con farmaci antitumorali come la ciclofosfamide, aumentava l’apoptosi cellulare e la eventuale durata di remissone del tumore si allungava. Lo studio ha implicazioni cliniche e indica che l’affiancamento di inibitori dell’autofagia alle terapie standard potrebbe aumentare l’efficacia dell’induzione dell’apoptosi che queste determinano.
Fonte: Le Scienze
Link:http://lescienze.espresso.repubblica.it/

Fabio e Fabrizio ha detto...

Mitocondrio
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Schema di un mitocondrio
1 Membrana interna
2 Membrana esterna
3 Cresta
4 MatriceUn mitocondrio è un organulo cellulare di forma generalmente allungata, presente in tutti gli Eucarioti (con alcune eccezioni). I mitocondri sono gli organelli addetti alla respirazione cellulare, costituiti da sacchette contenenti enzimi respiratori nei Procarioti. Sono costituiti da due membrane: la membrana interna e la membrane esterna; lo spazio fra queste due membrane è detto spazio intermembrana. Lo spazio delimitato dalla membrana interna è detto matrice mitocondriale; la membrana interna si estende nella matrice formando delle pieghe dette creste mitocondriali, dove si concentrano gli enzimi respiratori.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Struttura [modifica]
Sezione di due mitocondri visti tramite un microscopio elettronicoIl mitocondrio, isolato dalla struttura cellulare che lo circonda, assume una forma che ricorda quella di un salsicciotto ed è lungo 1-4 μm ed ha un diametro di 0,2-1 μm.

È delimitato da una doppia membrana: quella esterna permette il passaggio di piccole molecole, quella interna è selettivamente permeabile e ripiegata in estroflessioni chiamate creste mitocondriali che ne aumentano la superficie.

Le due membrane identificano due differenti regioni: lo spazio intermembrana, quello delimitato dalla membrana esterna e quella interna, e la matrice, circoscritto dalla membrana interna.


Creste mitocondriali [modifica]
La membrana interna si presenta sotto forma di numerosi avvolgimenti, rientranze e sporgenze, queste sono dette appunto creste mitocondriali. La funzione di queste strutture è aumentare la superficie di membrana che permette di disporre un numero maggiore di complessi di ATP sintetasie di fornire pertanto maggiore energia


Le membrane del mitocondrio [modifica]
Le due membrane mitocondriali presentano differenti proprietà a causa della loro diversa composizione.
La membrana esterna è composta per il 50% di lipidi e per il resto presenta svariati enzimi dalle molteplici attività tra cui: l'ossidazione dell'adrenalina, l'allungamento degli acidi grassi e la degradazione del triptofano. Essa, inoltre, contiene porine: canali proteici transmembrana, fomati per lo più da foglietti β, non selettivi. Ciò fa sì che la membrana esterna sia assai permeabile e permetta il passaggio di molecole di massa fino a 5000 Dalton. Quest'elevata permeabilità era già nota all'inizio del XX secolo allorché venne notato il rigonfiamento cui i mitocondri vanno soggetti a seguito della loro immersione in una soluzione ipotonica
La membrana interna ha un rapporto proteine/lipidi che si aggira su 3:1 (che significa che per ogni 15 proteine vi è un fosfolipide) e contiene più di 100 molecole polipeptidiche. Un'altra caratteristica particolare, in quanto propria delle membrane batteriche, è la presenza di molecole di cardiolipina (difosfatidil-glicerolo) e l'assenza di colesterolo. La membrana interna, contrariamente a quella esterna, è assai impermeabile, in quanto priva di porine, ma possedente trasportatori transmembrana altamente selettivi per ogni molecola o ione. A seguito di ciò le due facce della membrana interna vengono chiamate, rispettivamente, versante della matrice e versante citosolico (in quanto viene facilmente raggiunto dalle piccole molecole del citosol cellulare) oppure versante N e versante P in ragione del diverso potenziale di membrana (neutro nel versante citosolico e positivo nello spazio intermembranoso interno).


La matrice mitocondriale [modifica]
La matrice mitocondriale ha consistenza gelatinosa a causa della concentrazione elevata di proteine idrosolubili(circa 500 mg/ml). Essa contiene, infatti, numerosi enzimi, ribosomi (più piccoli di quelli presenti nel resto della cellula) e molecole di DNA circolare a doppio filamento.



Il genoma mitocondriale [modifica]
Per approfondire, vedi la voce DNA mitocondriale.

Il genoma mitocondriale contiene 16569 coppie di basi e possiede 37 geni codificanti per due RNA ribosomiali (rRNA), 22 RNA di trasporto (tRNA) e 13 proteine che fanno parte dei complessi enzimatici deputati alla fosforilazione ossidativa. È da notare, comunque, che il numero di geni presenti sul DNA mitocondriale è variabile a seconda delle specie.
In ogni mitocondrio si trovano da due a dieci copie del genoma.
Il resto delle proteine presenti nel mitocondrio deriva da geni nucleari i cui prodotti vengono appositamente trasportati. Le proteine destinate al mitocondrio generalmente vengono riconosciute grazie ad una sequenza leader presente sulla loro parte N-terminale. Tale sequenza contiene da 20 a 90 amminoacidi, di cui nessuno carico negativamente, con all'interno alcuni motivi ricorrenti, e sembra che abbia un'elevata possibilità di dare origine ad una α-elica anfipatica. Esistono, tuttavia, proteine mitocondriali prive di tale sequenza e che pertanto devono possedere segnali di riconoscimento ancora non noti (non è esclusa la possibilità che alcune sequenze non tradotte dell'RNA messaggero funzionino per questo scopo).
Circa 28 dei geni mitocondriali (2 rRNA, 14 tRNA e 12 proteine) sono codificati su uno dei due filamenti di DNA (detto H, da heavy strand) mentre i rimanenti geni (8 tRNA e 1 proteina) sono codificati sul filamento complementare (detto L, da light strand).
La presenza della catena di trasporto degli elettroni con la sua capacità di produrre radicali liberi, la mancanza di istoni ed i limitati sistemi di riparo, rendono il DNA mitocondriale facilmente danneggiabile ed in effetti il suo tasso di mutazione è circa dieci volte maggiore di quello nucleare. Ciò fa sì che si possano avere sequenza mitocondriali differenti anche all'interno di uno stesso individuo. L'accumulo di mutazioni nel corso dell'età si ritiene possa condurre ad una diminuzione dell'attività del mitocondrio. Questo fenomeno è stato per lungo tempo ritenuto uno dei possibili responsabili dell'invecchiamento anche se sembra essere smentito da recenti ricerche [1].
La presenza di ribosomi permette al mitocondrio di svolgere una propria sintesi proteica.
Una particolarità del codice genetico mitocondriale sta nel fatto che esso è leggermente diverso da quello comunemente noto. Il codone UGA, normalemente codone di stop, codifica per il triptofano. I vertebrati, inoltre, usano la sequenza AUA (e l'uomo anche AUU) per codificare la metionina (e non l'isoleucina) mentre AGA ed AGG funzionano come codoni di stop. Si è visto, inoltre, che tra specie diverse vi possono essere differenze nel codice mitocondriale che, di conseguenza, non è uguale per tutti.
Il DNA mitocondriale umano viene ereditato per via matrilineare in quanto durante il processo di fecondazione i mitocondri dello spermatozoo sono marcati con ubiquitina, una proteina che si lega ad altre proteine che devono essere degradate. In conseguenza di ciò, il genoma mitocondriale della prole sarà quasi uguale a quello materno (fatte salve eventuali mutazioni) ed, inoltre, se la madre è affetta da una malattia a trasmissione mitocondriale, la erediteranno tutti i figli, mentre se ne è affetto il padre, non la erediterà nessuno.


Le funzioni del mitocondrio [modifica]
Il mitocondrio è in grado di svolgere molteplici funzioni. La più importante tra esse consiste nell'estrarre energia dai substrati organici che gli arrivano per produrre un gradiente ionico che viene sfruttato per produrre adenosintrifosfato (ATP). Gli altri processi in cui il mitocondrio interviene sono:

l'apoptosi e la morte neuronale da tossicità da glutammato,
regolazione del ciclo cellulare,
regolazione dello stato redox della cellula,
sintesi dell'eme,
sintesi del colesterolo,
produzione di calore.

La produzione di energia [modifica]
È la funzione principale del mitocondrio e viene svolta utilizzando i principali prodotti della glicolisi: il piruvato ed il NADH. Essi vengono sfruttati in due processi: il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa.


Il ciclo di Krebs [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Ciclo di Krebs.

Le molecole di piruvato prodotte dalla glicolisi vengono trasportate all'interno della matrice mitocondriale dove vengono decarbossilate per formare gruppi acetili che vengono coniugati con il Coenzima A (CoA) per formare acetilCoA. Il tutto viene catalizzato dalla piruvato deidrogenasi: un grosso complesso multienzimatico. Successivamente l'acetilCoA viene immesso nel ciclo di Krebs o ciclo degli acidi tricarbossilici o ciclo dell'acido citrico che permette di generare 3 molecole di NADH ed una di FADH2 secondo la seguente reazione generale:

AcetilCoA + 2 H2O + FAD + 3 NAD+ + GDP + Pi → 2 CO2 + FADH2 + 3 NADH + 3 H+ + GTP + HS-CoA

Tutti gli enzimi del ciclo di Krebs si trovano liberi nella matrice, fatta esclusione per il complesso della succinato deidrogenasi che è legata alla membrana mitocondriale interna nel versante N.


Fosforilazione ossidativa: la catena di trasporto degli elettroni [modifica]
Vengono utilizzati sia il NADH che il FADH2 prodotti dalla glicolisi e dal ciclo di Krebs. Attraverso un complesso multienzimatico avente le funzioni di catena di trasporto gli elettroni vengono prelevati da NADH e FADH2 e, dopo una serie di passaggi intermedi, vengono ceduti all'ossigeno molecolare (O2) che viene ridotto ad acqua. Durante il trasferimento elettronico le varie proteine trasportatrici subiscono dei cambiamenti conformazionali che consentono di trasferire dei protoni dalla matrice allo spazio intermembrana contro un gradiente di concentrazione.
Nel mitocondrio si possono isolare ben quattro complessi poliproteici responsabili del trasporto degli elettroni:

Complesso I (NADH deidrogenasi) che contiene almeno 30 diversi polipeptidi, una flavoproteina e 9 centri ferro-zolfo e per ogni coppia di elettroni fatta passare vengono trasferiti tre o quattro protoni,
Complesso II (Succinato deidrogenasi) che, oltre a catalizzare una reazione del ciclo di Krebs, consente il trasferimento di elettroni al FAD ed all'ubichinone ma non permette il passaggio di protoni,
Complesso III (Citocromo c riduttasi) che contiene circa 10 polipeptidi e gruppi eme ed un centro ferro-zolfo, permette il passaggio di elettroni dall'ubichinone ridotto al citocromo c e per ogni coppia di elettroni trasferisce quattro protoni,
Complesso IV (Citocromo c ossidasi) che contiene almeno 13 polipeptidi permette il trasferimento di elettroni dal citocromo c all'ossigeno ed anche lo spostamento dei protoni anche se non ne è ben chiaro il numero (forse quattro per ossigeno ridotto).
Successivamente i protoni vengono rifatti passare attraverso la membrana interna, in un processo di diffusione facilitata, tramite l'enzima ATP sintetasi che ottiene così l'energia sufficiente per produrre molecole di ATP, trasferendo un gruppo fosfato a dell'ADP. Si è visto che una coppia di elettroni, prelevati da NADH, è in grado di rilasciare un quantitativo d'energia sufficiente a produrre tre molecole di ATP mentre con una coppia elettronica ottenuta dal FADH2 se ne ottengono due.
Sia la glicolisi che la fosforilazione ossidativa permettono di ottenere ben trentotto molecole di ATP per ogni glucosio utilizzato (anche se questo valore può anche variare a seconda del rapporto [ATP]/[ADP] intracellulare).
L'importanza del trasferimento dei protoni attraverso la membrana mitocondriale interna nella sitesi di ATP, meccanismo definito chemioosmotico, venne individuato nel 1961 da Peter Mitchell il quale ottenne, per questo, il premio Nobel per la chimica nel 1978. Nel 1997 a Paul D. Boyer e John E. Walker venne consegnato le stesso premio per aver chiarito il meccanismo d'azione della ATP sintetasi


Il mitocondrio e l'apoptosi [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Apoptosi.

Il motocondrio funziona da centrale d'integrazione degli stimoli apoptotici. Essi possono essere di molteplice natura (caspasi, ceramide, vari tipi di chinasi, ganglioside GD3, ecc...) e sono in grado di determinare l'apertura di un complesso poliproteico chiamato poro di transizione mitocondriale (Permeability Transition Pore Complex, PTPC) localizzato in alcuni punti di contatto tra le due membrane mitocondriali. Quest'evento che fa cadere la differenza di potenziale, per uscita dei protoni, ed ingresso di molecole prima interdette all'ingresso. Come risultato finale, il mitocondrio si riempe di liquido e la membrana esterna scoppia liberando nel citoplasma fattori stimolanti l'apoptosi come AIF, (Apoptosis Inducing Factor) che è in grado di raggiungere il nucleo ed attiva una via indipendente dalle caspasi in grado di degradare il DNA, ed il citocromo c che si lega alle proteine Apaf-1 (apoptotic protease activating factor) e caspasi 9 ed una molecola di ATP formando un complesso definito apoptosoma. La caspasi 9 presente diviene in grado di attivare altre caspasi che danno il via ad una cascata molecolare che si conclude con la degradazione del DNA ad opera di fattori nucleari.

Ai processi di alterazione della permeabilità del mitocondrio prendono parte anche i membri della famiglia di bcl-2, composta da almeno 16 proteine, le quali sono in grado di interagire con le membrane nucleari, mitocondriale esterna e del reticolo endoplasmatico grazie al loro dominio C-terminale. Tale famiglia contiene elementi sia antiapoptotici, come Bcl-2 e Bcl-XL, sia proapoptotici, come Bax, Bid, Bad, Bik, Bim, Bcl-XS, DIva.
Tali membri possono unirsi formando omodimeri od eterodimeri che hanno attività sia propoptotica (es:Bax/Bax) sia antiapoptotica (es:Bcl-2/Bcl-2, Bcl-XL/Bcl-2). L'evento chiave consiste nell'abbondanza dei fattori propapototici rispetti a quelli protettivi. Se questo evento avviene allora si formeranno dimeri i grado di alterare la permeabilità del mitocondrio.


Il mitocondrio e la tossicità da glutammato [modifica]
L'eccessiva stimolazione del recettore per la N-malonildialdeide (recettore NMDA), da parte del glutammato, è in grado di produrre un ingresso massivo di calcio che può portare a morte il neurone tramite diverse vie apoptotiche o per necrosi a seconda dell'intensità dello sitimolo. Una di queste vie interessa anche il mitocondrio.
Il calcio in eccesso che affluisce, in effetti, va a sovraccaricare il mitocondrio, penetrandovi, determinando così perdita del suo potenziale di membrana e diminuzione della produzione di ATP per disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa con la sintesi di ATP. Ciò fa sì che le pompe di membrana ATP dipendenti responsabili del mantenimento della depolarizzazione smettano di funzionare e ciò, in un circolo vizioso, aumenta l'ingresso di calcio. Viene, inoltre, stimolata la produzione d'ossido nitrico che sembra possedere un'azione inibitoria sulla catena di trasporto mitocondriale.


Il mitocondrio e lo stato ossidoriduttivo della cellula [modifica]
Durante la fosforilazione ossidativa può accadere che un solo elettrone vada a ridurre una molecola di O2 determinando la produzione d'un anione superossido (O2•), un radicale assai reattivo. Generalmente questo fenomeno viene evitato, tuttavia non è possibile evitarlo completamente.

O2• può essere protonato a formare il radicale idroperossido (HO2•) che può reagire, a sua volta, con un altro anione superossido per produrre perossido di idrogeno (H2O2) secondo la seguente reazione:

2 HO2• → O2 + H2O2

La sintesi di radicali liberi è anche un processo che, se opportunamente controllato, può essere una valida arma contro determinati microorganismi. Durante l'infiammazione, infatti, i leucociti polimorfonucleati sono soggetti ad una produzione massiva di questi radicali per attivazione dell'enzima NADPH ossidasi.

Per far fronte alla presenza di radicali liberi, che potrebbero comportare dei gravi danni, la cellula deve utilizzare degli specifici sistemi atti alla loro eliminazione:

la catalasi che è un enzima che catalizza la reazione di eliminazione del perossido di idrogeno (2 H2O2 → O2 + 2 H2O),
il glutatione (GSH) che determina l'eliminazione dei radicali liberi sfruttando il gruppo sulfidrile nella sua forma ridotta (H2O2 + 2 GSH → GSSG (omodimero di glutatione) + 2 H2O, 2 OH• + 2 GSH → GSSG + 2 H2O),
vari antiossidanti quali l'acido ascorbico e le vitamine A ed E,
il gruppo delle superossidodismutasi.

La sintesi dell'eme [modifica]
Per approfondire, vedi la voce eme.

La sintesi delle porfirine è un processo enzimatico altamente conservato che nell'uomo determina la sintesi del gruppo eme mentre in altri organismi serve anche a produrre composti strutturalmente simili, come la cobalamina, le clorine e le batterioclorine. All'interno del mitocondrio avvengono parte delle reazioni che portano alla sintesi dell'eme che poi viene portato fuori nel citoplasma dove viene coniugato con le catene polipeptidiche.

La prima tappa di questo processo consiste nella condensazione, catalizzata dalla acido d-aminolevulinico sintetasi, della glicina con il succinilCoA che porta alla formazione di acido d-aminolevulinico che poi esce dal mitocondrio. Successivamente due molecole di acido d-aminolevulinico si condensano, per azione della acido d-aminolevulinico deidratasi, a formare il porfobilinogeno. Quattro molecole di profobilinogeno, poi, si condensano per formare un tetrapirrolo lineare, per opera della porfobilinogeno deaminasi. Il tetrapirrolo ciclizza formando uroporfirinogeno III che dopo viene trasformato in coproporfirinogeno III, dalla uroporfirinogeno III decarbossilasi, il quale rientra nel mitocondrio. Successivamente, ad opera della coproporfirinogeno III ossidasi, viene sintetizzata il protoprofirinogeno IX che, dalla protoporfirinogeno IX ossidasi viene trasformato in protoprofirina IX cui, dalla ferrochelatasi viene aggiunto Fe2+ per formare il gruppo eme.


La sintesi del colesterolo [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Colesterolo.

La sintesi del colesterolo è un fenomeno che avviene a livello del citoplasma cellulare e che parte con l'acetilCoA il quale viene prodotto a livello mitocondriale durante il ciclo di Krebs.


La produzione di calore [modifica]
Alcuni composti come il 2,4-dinitrofenolo od il carbonilcianuro-p-fluorometossifenildrazone sono in grado di creare un disaccoppiamento tra il gradiente protonico e la sintesi di ATP. Ciò avviene in quanto hanno la capacità di trasporatare essi stessi i protoni attraverso la membrana mitocondriale interna. Il disaccoppiamento creatosi aumenta il consumo di ossigeno e la velocità con cui il NADH si ossida. Questi composti hanno permesso di indagare meglio sulla fosforilazione ossidativa ed hanno anche permesso di capire che il fenomeno del disaccoppiamento ha la funzione di produrre calore, in diverse condizioni, al fine di mantenere costante la temperatura corporea: in animali in letargo, cuccioli appena nati (tra cui anche l'uomo) ed in mammiferi che si sono adattati ai climi freddi.

Il disaccoppiamento avviene in un tessuto specializzato: il tessuto adiposo bruno. Esso è, infatti, ricco di una proteina disaccoppiante chiamata termogenina, formata da due subunità con massa complessiva di 33 Kd, che ha la capacità di formare una via in cui i protoni possono transitare per entrare nella matrice mitocondriale e ciò determina produzione di calore. Questo fenomeno è attivato dalla presenza di acidi grassi che vengono liberati, in risposta a segnali ormonali, dai trigliceridi cui si trovano attaccati.


Analisi del DNA mitocondriale [modifica]
Vista la matrilinearità dell'ereditarietà del genoma mitocondriale, i genetisti e gli antropologi hanno utilizzato il DNA del mitocondrio in studi di genetica delle popolazioni e d'evoluzionistica ma esso viene anche impiegato nel campo delle scienze forensi specie in casi in cui il materiale biologico sia molto degradato. L'analisi del DNA del mitocondrio permette di far luce sui gradi di parentela, sulle migrazioni e discendenze delle popolazioni e può venir usato anche per dirimere casi di determinazione del sesso.
Le principali metodiche utilizzate nello studio del DNA mitocondriale sono:

il southern blot dopo un taglio effettuato tramite enzimi di restrizione,
la marcatura terminale, che rispetto al Southern Blot consente di visualizzare frammenti di DNA molto corti che altrimenti sfuggirebbero,
la reazione a catena della polimerasi (PRC), che consente di amplificare anche pochissime sequenze di DNA.

L'origine del mitocondrio: la teoria endosimbiotica [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Teoria dell'endosimbionte.

Come si è visto precedentemente, il mitocondrio presenta alcune caratteristiche tipiche dei batteri: presenza di molecole di cardiolipina ed assenza di colesterolo nella membrana interna, la presenza di un DNA circolare a doppia elica e la presenza di ribosomi propri e di una doppia membrana. Come i batteri, i mitocondri non hanno istoni ed i loro ribosomi sono sensibili ad alcuni antibiotici (come il cloramfenicolo). In più i mitocondri sono organelli semiautonomi in quanto replicano, per scissione binaria, autonomamente rispetto alla cellula.
Stante queste similitudini, la teoria endosimbiotica afferma che i mitocondri deriverebbero da ancestrali batteri, dotati di metabolismo ossidativo, che sarebbero stati inglobati dalle cellule eucariote con conseguente mutuo beneficio. Successivamente i batteri avrebbero trasferito gran parte del loro materiale genetico a quello cellulare, divenendo così, mitocondri.


Voci correlate [modifica]
Alterazione omeostasi del calcio
Miopatia mitocondriale

Fabio e Fabrizio ha detto...

La funzione del sistema nervoso è di ricevere e riconoscere gli stimoli provenienti da ambienti interni ed esterni all'organismo e di elaborare le risposte effettrici di tipo volontario ed involontario (attività riflesse). Questa funzione è svolta grazie ad un dispositivo di ricezione (afferente), un sistema di elaborazione e un sistema di trasmissione (efferente) collegato agli organi effettori della risposta.
Il sistema nervoso è costituito da due parti, di cui una periferica (Sistema Nervoso Periferico - SNP) deputata alla trasmissione degli impulsi nervosi da e verso gli organi recettori/effettori ed una centrale (Sistema Nervoso Centrale - SNC), molto complessa, capace di elaborare le informazioni ricevute e modulare la risposta efferente.



I NEURONI

Sono cellule specializzate nella produzione e conduzione degli impulsi nervosi; hanno particolarmente sviluppata la capacità di reagire a stimoli idonei (irritabilità) quali la presenza di mediatori chimici o di particolari forme di energia (meccanica, sonora, ecc.). Il processo per cui una determinata variazione energetica è in grado di eccitare una regione recettrice della membrana neuronale è chiamato trasduzione.
Il corpo cellulare del neurone, contenente il nucleo, è detto soma (o pirenoforo). Da esso si staccano due tipi di prolungamenti: i dendriti sono brevi e ramificati e assieme al soma stesso costituiscono la parte recettiva della cellula nervosa; l'assone (o neurite, clilndrasse, fibra nervosa), che origina da un rilievo conico denominato monticolo assonico, è invece la porzione deputata alla trasmissione dello stimolo. L'assone è circondato da uno o più avvolgimenti costituiti dal citoplasma di particolari cellule chiamate oligodendrociti (SNC) o cellule di Schwann (SNP); tali avvolgimenti nel loro insieme costituiscono la guaina mielinica. Il numero di avvolgimenti è proporzionale al diametro dell'assone, pertanto gli assoni grossi con molteplici avvolgimenti verranno definite fibre mieliniche, mentre gli assoni sottili con un solo avvolgimento verranno definite fibre amieliniche. Essendo la guaina mielinica formata da cellule adiacenti, essa risulta interrotta; le interruzioni prendono il nome di nodi di Ranvier. La distanza internodale è direttamente proporzionale al diametro dell'assone. L'avvolgimento mielinico formato dalle cellule di Schwann è detto anche neurilemma, esso si trova pertanto solo nel SNP.
L'assone può emettere rami collaterali. A causa della presenza della guaina mielinica questo è possibile solo a livello dei nodi di Ranvier. Il suo segmento distale, invece, sprovvisto di guaina, si ramifica abbondantemente, fornendo numerosi terminali assonici, questi nel loro insieme prendono il nome di telodendra.

Da un punto di vista morfologico si possono distinguere tre tipi di neuroni:
(1) bipolari -> dai lati opposti del soma si dipartono due prolungamenti uno con significato assonico ed uno con significato dendritico. Di solito questi neuroni sono oppositopolari.
(2) pseudounipolari -> dal soma si distacca un unico prolungamento che nella sua parte distale si divide in due bracci, uno assonico ed uno dendritico.
(3) multipolari -> dal soma si distaccano numerosi prolungamenti, uno di varia lunghezza di tipo assonico e molti brevi di tipo dendritico. In relazione alla lunghezza dell'assone si parla di cellule del tipo 1° del Golgi (assone lungo) e cellule del tipo 2° del Golgi (assone corto).

I neuroni entrano in contatto tra loro a livello di regioni specializzate chiamate sinapsi. Funzionalmente le sinapsi sono divise in tre zone: la membrana presinaptica (appartenente al neurone che trasmette il segnale); la membrana postsinaptica (appartenente al neurone che riceve il segnale); la fessura sinaptica, di ridotte dimensioni, che è comunque in continuità con lo spazio intercellulare. La porzione presinaptica, costituita dai terminali di un assone, può entrare in contatto con qualsiasi parte del neurone ricevente lo stimolo; si distinguono quindi vari tipi di sinapsi: asso-somatiche, asso-dendritiche, asso-assoniche (rare). Ancor più rare le sinapsi dendro-dendritiche in cui anche l'elemento presinaptico è rappresentato da un dendrite che presenta accumuli di vescicole con le caratteristiche tipiche delle vescicole presinaptiche.
Dal punto di vista funzionale la sinapsi è caratterizzata dall'unidirezionalità dell'impulso nervoso e può essere di tipo eccitatorio o inibitorio a seconda delle caratteristiche del neurotrasmettitore e dei recettori della membrana postsinaptica. La trasmissione avviene grazie alla modificazione delle caratteristiche di permeabilità di quest'ultima dovuta alla sostanza chimica rilasciata dai bottoni terminali (che sono l'allargamento dei terminali assonici). La porzione recettrice di un neurone può ricevere oltre 2000 contatti sinaptici.
Esiste infine un tipo di sinapsi in cui non sono coinvolti mediatori chimici e il passaggio dell'impulso avviene per semplice trasmissione elettrica. E' questo il caso delle sinapsi elettrotoniche caratterizzate da giunzioni serrate tra le membrane dei due neuroni (gap junctions). Caratteristica peculiare di questo tipo di sinapsi è la bidirezionalità dell'impulso nervoso.

Esistono due tipi di neuroni: i neuroni sensitivi e i neuroni motori:
- neuroni sensitivi primari: neuroni bipolari o pseudounipolari. Inviano il loro prolungamento dendritico alla periferia dove il terminale può essere eccitato da particolari stimoli sia direttamente sia tramite il rapporto con speciali organuli detti recettori. Il dendrite assume un comportamento simile a quello dell'assone (cioè conduce lo stimolo) ed è rivestito dalla guaina mielinica.
- neuroni motori: inviano l'assone alla periferia il quale è in grado di entrare in contatto con particolari cellule effettrici (somatiche o viscerali) per mezzo di sinapsi modificate. Un esempio di questo tipo di collegamento è la placca motrice, zona di contatto tra terminale assonico e cellula muscolare scheletrica.

Si dicono interneuroni (o neuroni internuciali o neuroni intercalati) quei neuroni posti tra il neurone afferente e quello efferente. Essi permettono fenomeni di convergenza e di divergenza, sia spaziale che temporale come si vedrà nell'analisi dei circuiti nervosi. Essi inoltre rendono possibile la modulazione delle risposte nervose. Il numero degli interneuroni è, nel corpo umano, nell'ordine dei miliardi contro qualche milione dell'insieme dei neuroni sensitivi e effettori: sono pertanto predominanti.

FUNZIONAMENTO DEI NEURONI
La membrana plasmatica è polarizzata: ha una carica negativa all'interno e una carica positiva all'esterno, il valore tale carica varia da -50 mV a -100 mV e prende il nome di potenziale di membrana. Tale potenziale è presente anche a riposo ed è mantenuto con dispendio di energia.
Quando uno stimolo idoneo viene applicato alla porzione recettrice della membrana del neurone, esso provoca uno stato locale di eccitamento, cioè la variazione della polarità in un'area circoscritta della membrana. Tale variazione può essere di due tipi: un depolarizzazione corrisponde ad uno stimolo eccitatorio, una iperpolarizzazione corrisponde ad uno stimolo inibitorio. Rispetto al punto di applicazione dello stimolo si osserverà una variazione di polarità e l'effetto dello stimolo decresce in funzione della distanza e del tempo trascorso (la membrana tende a tornare alla stato di riposo). Se vengono applicati, contemporaneamente o meno, più stimoli ad un'area di membrana, avviene il fenomeno della sommazione spazio-temporale ovvero, per ogni punto della membrana, il potenziale di membrana, in un determinato istante, è dato dalla somma algebrica del potenziale residuo del primo stimolo e del potenziale del successivo.
Quando lo stato locale di eccitazione del monticolo assonico supera il valore di soglia inizia la propagazione dello stimolo lungo l'assone. Si ha così il potenziale d'azione (o impulso nervoso). Esso ha la caratteristica peculiare di trasmettersi invariato senza decrementi. L'ampiezza del potenziale e la sua velocità di propagazione sono costanti per fibre identiche in quanto direttamente proporzionali al diametro dell'assone (e di conseguenza allo spessore della guaina mielinica ed alla distanza internodale). Se ne deduce che un assone corto è funzionalmente migliore. Una zona attraversata da uno stimolo rimane per un certo tempo in periodo refrattario, è cioè incapace di condurre altri impulsi nervosi fino a quando non viene ripristinata l'originaria polarità. La durata del periodo refrattario condiziona pertanto la frequenza massima di trasmissione di impulsi nervosi da parte di una fibra.
Quando l'impulso nervoso raggiunge il terminale assonico, le vescicole ivi presenti rovesciano il neurotrasmettitore in esse contenuto nella fessura sinaptica. Tale mediatore chimico va a legarsi sui recettori della membrana postsinaptica, causa una variazione di polarità di quest'ultima e permette di conseguenza il propagarsi dello stimolo. Lo stato locale di eccitamento della membrana postsinaptica è detto anche potenziale postsinaptico. L'azione del neurotrasmettitore sulla membrana postsinaptica (eccitazione o inibizione) non dipende dalle caratteristiche chimiche di quest'ultimo ma dal tipo di recettore a cui si lega: si avranno pertanto, per lo stesso mediatore, un'azione inibitrice su un elemento postsinaptico e un'azione eccitatrice su un altro.
Ogni neurone sembra in grado di produrre un solo mediatore chimico anche se possiede i recettori per vari tipi di neurotrasmettitori
In base al tipo di neurotrasmettitore sintetizzato i neuroni vengono distinti in 5 classi:
(1) Colinergici -> Acetilcolina: principale mediatore del SNP, presente raramente nel SNC.
(2) Aminergici -> Noradrenalina: presente nel SNC, è tipica della maggior parte dei neuroni gangliari ortosimpatici. Dopamina: presente nei neuroni della sostanza nera mesencefalica e in quelli della formazione reticolare. Serotonina: rara, viene sintetizzata dai neuroni nei nuclei del rafe della sostanza reticolare.
(3) Aminoacidergici -> GABA (acido g-aminobutirrico): mediatore inibitore del SNC. Glicina: altro inibitore prodotto soprattutto da interneuroni localizzati nel corno anteriore del midollo spinale. Glutamato e Aspartato: mediatori di sinapsi eccitatrici del SNC.
(4) Peptidergici -> Sostanza P: mediatore di varie sinapsi inibitrici. Endorfine: peptidi sintetizzati dai neuroni ipotalamici importanti nel sistema neuroendocrino. Enchefaline: mediatori presenti sia nel SNC che nel SNP. Somatostatina e Peptide Intestinale Vasoattivo (VIP): prodotti principalmente da interneuroni ipotalamici e della corteccia cerebrale.
(5) Purinergici -> Adenosina e ATP sintetizzati quasi esclusivamente da neuroni gangliari parasimpatici innervanti la muscolatura liscia degli organi cavi. Pare che prendano parte ai meccanismi che regolano le onde peristaltiche.

CIRCUITI NERVOSI
I neuroni sono geometricamente associati a formare circuiti nervosi. Ne esistono due tipi principali:
(1) arco riflesso diretto: è il più semplice tipo di collegamento. E' costituito da un neurone sensitivo direttamente collegato ad un neurone effettore. Non consente alcuna modulazione della risposta.
(2) arco riflesso indiretto: vi è l'interposizione di uno o più interneuroni tra il neurone sensitivo e quello effettore. E' possibile modulare la risposta in termini temporali e quantitativi e, in alcuni casi, trasformare uno stimolo eccitatorio in inibitorio (grazie alle caratteristiche degli interneuroni). La presenza di interneuroni nel circuito riflesso permette anche fenomeni di convergenza e di divergenza.

La presenza di interneuroni permette di creare circuiti molto complicati che però corrispondono alle caratteristiche di tre tipi principali (tutti possono essere formati sia da neuroni eccitatori che inibitori):
(1) circuiti divergenti: un singolo neurone A entra in contatto con numerosi neuroni B; ciascun neurone B entra a sua volta in contatto con numerosi neuroni C. Divergenza del circuito è data dal rapporto C/A
(2) circuiti convergenti: tanti neuroni A entrano in contatto con un numero minore di neuroni B (convergono); i neuroni B entrano in contatto con un numero ancora inferiore di neuroni C. Convergenza del circuito è data dal rapporto A/C.
(3) circuiti ripetitivi (o riverberanti): sono circuiti chiusi in cui lo stimolo passa dal neurone A al neurone B che a sua volta lo trasmette al neurone C. Quest'ultimo è in contatto sia con il neurone D che con il neurone A di partenza a cui ritrasmette lo stimolo (che può essere stato nel percorso notevolmente modificato).



REAZIONI DEL TESSUTO NERVOSO ALLE LESIONI
I neuroni sono unità trofiche: il taglio di un assone determina una degenerazione dell'assone stesso e dei suoi terminali, distalmente al punto di sezione (degenerazione anterograda) e alterazioni a carico del corpo cellulare (degenerazione retrograda). Più in particolare, se la lesione riguarda il soma neuronale o l'assone in una zona immediatamente adiacente ad esso, degenera l'intera cellula nervosa, che si frammenta e viene fagocitata dalle circostanti cellule di microglia (che svolgono ruolo di macrofagi). Se la lesione tissutale è estesa, si forma una cicatrice gliale dovuta alla proliferazione astrocitaria. Quando la lesione riguarda l'assone, ad una certa distanza dal soma, la cellula non muore ma si manifestano reazioni (reversibili) a carico del soma (reazione assonica) e degenera solo il moncone assonico distale (degenerazione di Waller). Nelle fibre del SNP, anche dopo il termine della degenerazione di Waller, se i due monconi non sono troppo distanti l'uno dall'altro, è possibile che la porzione sana dell'assone rigeneri la parte morta, seguendo il nevrilemma (che resiste alla degenerazione) come guida. Nel SNC, mancando il nevrilemma, la rigenerazione assonica non è possibile. Sempre nel SNC è talvolta possibile che il processo degenerativo riguardi il neurone postsinaptico (degenerazione transinaptica o transneuronale) il cui trofismo dipende, in qualche misura, da quello del neurone presinaptico.
Seppur nel SNC non sia dunque possibile una rigenerazione post traumatica, si sono però evidenziati fenomeni di rimaneggiamento dei dispositivi sinaptici.

LE CELLULE GLIALI (o di NEVROGLIA)

Sono cellule che svolgono funzioni di sostegno o trofiche nel SN. rappresentano dal 30% al 50% del tessuto nervoso stesso. Sono divise in quattro tipi di cui il primo è tipico del SNP e gli altri del SNC:
(1) Cellule di Schwann: formano la guaina mielinica ed il nevrielemma delle fibre dei nervi periferici.
(2) Astrociti: svolgono funzioni di sostegno e trofiche nel SNC.
(3) Oligodendrociti: formano la guaina mielinica dei neuroni del SNC. Tali neuroni mancano pertanto di nevrilemma.
(4) Cellule di microglia: sono cellule che in particolari condizioni svolgono la funzione di macrofagi nel SNC.