mercoledì 29 ottobre 2014

Nuovo studio condotto dai ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis ha mostrato che un farmaco usato per il cuore puo' essere efficace contro la SLA
 
 

 

1 commento:

Fabio e Fabrizio ha detto...

la Digossina, già utilizzata nel trattamento dell’insufficienza cardiaca – o scompenso cardiaco – che in un nuovo studio condotto dai ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis ha mostrato di essere efficace contro l’attività di un enzima coinvolto nell’equilibrio di sodio e potassio nelle cellule.

Il dott. Azad Bonni e colleghi hanno studiato gli effetti della Digossina sia su colture cellulari in laboratorio che su modello animale.
«Con la Digossina abbiamo bloccato l’enzima – ha sottolineato il dott. Bonni, senior author – Questo ha sortito un effetto molto forte, impedendo in un modello di coltura cellulare di SLA la morte delle cellule nervose, che normalmente vengono uccise».
Il farmaco ha infatti ridotto l’attività di questo enzima, o ha bloccato la capacità delle cellule produrre copie dell’enzima. Ma anche la distruzione delle cellule nervose da parte della malattia si è arrestata.

I risultati completi dello studio sono stati pubblicati nella versione online di Nature Neuroscience. E i test poi condotti su modello animale con una versione mutata di un gene – che causa una forma ereditaria di SLA – hanno anche mostrato che il farmaco può essere altrettanto efficace.
In particolare, l’azione di monitoraggio dell’attività di una proteina in risposta allo stress nei topi, ha inaspettatamente condotto gli scienziati a un’altra proteina: l’ATPasi sodio-potassio. Questo enzima si caratterizza per espellere particelle cariche di sodio dalle cellule e assumere particelle cariche di potassio, consentendo alle cellule di mantenere una carica elettrica attraverso le loro membrane esterne.
Secondo i ricercatori, il mantenimento della carica è essenziale per la normale funzione delle cellule. Questo particolare enzima ATPasi sodio-potassio evidenziato dallo studio si trova nelle cellule del sistema nervoso chiamate astrociti.

I ricercatoti hanno trovato che nei topi con la SLA i livelli di questo enzima negli astrociti sono superiori al normale. Ma anche che l’aumento di ATPasi sodio-potassio ha portato gli astrociti a rilasciare elementi nocivi chiamati citochine infiammatorie, che possono uccidere i motoneuroni.
Non è un caso che recenti ricerche abbiano visto negli astrociti dei possibili contributori cruciali per malattie neurodegenerative come la SLA, l’Alzheimer, la corea di Huntington e il Parkinson.
Per esempio, ponendo gli astrociti di topi affetti da SLA in piastre di coltura con motoneuroni sani, questi inducono i neuroni a degenerare e morire.

«Anche se i neuroni sono normali, c’è qualcosa che fanno gli astrociti che danneggia i neuroni», commenta Bonni, professore di Neurobiologia e capo del Dipartimento di Anatomia e Neurobiologia Edison.
Nello studio si è evidenziato come tra i topi con la mutazione di SLA ereditata, quelli con una sola copia del gene ATPasi sodio-potassio sopravvivessero una media di 20 giorni in più rispetto a quelli con due copie del gene. Quando una copia del gene se n’era andata via, le cellule producevano meno enzima. Come tutto ciò avvenga non è chiaro, ma i risultati suggeriscono l’ATPasi sodio-potassio svolge un ruolo chiave.
«I topi con una sola copia del gene ATPasi sodio-potassio vivono più a lungo e sono più mobili – sottolinea il dott. Bonni – Non sono “normali”, ma possono andare in giro e hanno più neuroni motori nel loro midollo spinale».

A conclusione dello studio, benché molte importanti domande restano su se e come gli inibitori della enzima ATPasi sodio-potassio potrebbero essere utilizzati per rallentare la paralisi progressiva nella SLA, i ricercatori ritengono che i risultati offrano un valido punto di partenza per ulteriori studi