mercoledì 15 febbraio 2012



UN RECENTE STUDIO HA INDIVIDUATO ALTERAZIONI DEL RECETTORE E NEUROTRASMETTITORE DELL' ACETILCOLINA

7 commenti:

Fabio e Fabrizio ha detto...

Il primo è frutto di una ricerca pubblicata recentemente su PNAS a firma di Eleonora Palma e Maurizio Inghilleri, rispettivamente del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia e del Dipartimento di Neurologia e Psichiatria dell’Università La Sapienza di Roma.
Mentre finora tutti gli studi precedenti si erano concentrati sui motoneuroni e i fattori della loro degenerazione, questa ricerca, sponsorizzata dalla Fondazione Viva la Vita, in gran parte costituita da pazienti, ha preso in esame anche le cellule muscolari.

L’obiettivo dei ricercatori era studiare l’attivazione dei recettori dell’acetilcolina, una sostanza che una volta rilasciata dai motoneuroni, si lega ai recettori delle cellule muscolari attivandoli per l’inizio del movimento. A questo scopo la mossa dei ricercatori è stata quella di prelevare con biopsie muscolari non invasive la membrana delle cellule muscolari e trapiantarla nella cellula uovo di una rana Xenopus, una cellula del diametro di circa un millimetro, cioè di grosse dimensioni. In questo modo, spiega Palma, dato che la membrana delle cellula umana viene incorporata e diviene parte integrante della cellula uovo, i ricercatori hanno potuto lavorare su un modello a tutti gli effetti più facile da studiare. In particolare, ad essa si possono applicare elettrodi per monitorare la reazione al rilascio di acetilcolina e il comportamento dei recettori muscolari responsabili delle contrazioni.

I risultati di questo studio suggeriscono che nei malati di Sla non solo vi è una diminuzione rapida dell’acetilcolina, ma la sensibilità a questo neurotrasmettitore da parte delle cellule muscolari è anch’essa ridotta. Dunque, secondo Inghilleri, si apre la possibilità di sperimentare in tempi non lunghi gli effetti di nuovi farmaci, alcuni dei quali sarebbero già nella fase 2, che agiscono sui recettori dell’acetilcolina. In questo caso, dato che il sistema muscolare degenera rapidamente diventerebbe cruciale la diagnosi precoce.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Allo stato attuale, l’incertezza sull’eziologia della malattia spacca il fronte di coloro che lottano contro la Sla. Il professor Adriano Chiò del reparto di Neurologia dell’ospedale Molinette di Torino così come Gabriele Mora, della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, hanno considerato un indizio importante l’alta frequenza di malati nel calcio. Si sono chiesti: quali altri gruppi umani o zone sono particolarmente colpite? Si sa che nell’isola di Guam (Oceano Pacifico occidentale) l’incidenza è stata molto alta per tutto il tempo in cui la popolazione si nutriva di volpi volanti, una specie di pipistrelli che si cibava dei semi delle radici delle cicadee, piante indigene contenenti cianobatteri. Questi microbi producono una neurotossina chiamata beta-metilammino-L-alanina che, come dimostrato su Pnas, causa una malattia neurodegenerativa con aspetti simili alla sclerosi laterale amiotrofica.

Inoltre, da un’analisi effettuata da Chiò e Mora sulle cartelle cliniche di 1.500 ciclisti si desume che non vi è alcuna presenza di ammalati di Sla. D’altra parte, non solo è noto che l’incidenza della Sla è più alta tra i giocatori di baseball (la Sla è detta anche morbo di Gehrig dal nome di Lou Gehrig, leggendario giocatore statunitense e prima vittima conosciuta), ma secondo uno studio epidemiologico condotto in Sardegna, la prevalenza della malattia tra gli agricoltori è doppia rispetto alla popolazione generale.

Tutte queste conoscenze hanno quindi suggerito a Chiò e Mora che uno dei fattori alla base della Sla non sia tanto il consumo di sostanze dopanti ma l’esposizione ad agenti tossici presenti nei pesticidi e nei diserbanti usati nei campi da gioco. Su questa congettura si basa uno dei filoni della ricerca della Sla e all’Ospedale di Terni è stata fatta una sperimentazione basata su antibiotici.

Giuseppe Stipa, medico della struttura di Neurofisiopatologia e coordinatore del progetto, spiega: “Grazie a un finanziamento di 30.000 euro da parte dell’AISLA stiamo ricercando, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, determinate tossine batteriche sia nei liquidi biologici dei pazienti sia sui campi di calcio delle squadre maggiormente interessate. Parallelamente, grazie all’interessamento del direttore Generale dell’AOS S. Maria di Terni, il dott. Gianni Giovannini, stiamo reclutando pazienti a cui somministrare antibiotici attraverso un protocollo sperimentale già approvato dal Comitato Etico dell’Umbria (CEAS). Ipotizziamo infatti che agenti microbiologici ancora non identificati si possano rilevare quantomeno una concausa della malattia, basti pensare che in letteratura sono stati segnalati cluster di coniugi entrambi ammalati. Chiunque desidera può chiedere di entrare nella sperimentazione, a condizione che non abbia insufficienza respiratoria o difficoltà a deglutire”.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Allo stato attuale, l’incertezza sull’eziologia della malattia spacca il fronte di coloro che lottano contro la Sla. Il professor Adriano Chiò del reparto di Neurologia dell’ospedale Molinette di Torino così come Gabriele Mora, della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, hanno considerato un indizio importante l’alta frequenza di malati nel calcio. Si sono chiesti: quali altri gruppi umani o zone sono particolarmente colpite? Si sa che nell’isola di Guam (Oceano Pacifico occidentale) l’incidenza è stata molto alta per tutto il tempo in cui la popolazione si nutriva di volpi volanti, una specie di pipistrelli che si cibava dei semi delle radici delle cicadee, piante indigene contenenti cianobatteri. Questi microbi producono una neurotossina chiamata beta-metilammino-L-alanina che, come dimostrato su Pnas, causa una malattia neurodegenerativa con aspetti simili alla sclerosi laterale amiotrofica.

Inoltre, da un’analisi effettuata da Chiò e Mora sulle cartelle cliniche di 1.500 ciclisti si desume che non vi è alcuna presenza di ammalati di Sla. D’altra parte, non solo è noto che l’incidenza della Sla è più alta tra i giocatori di baseball (la Sla è detta anche morbo di Gehrig dal nome di Lou Gehrig, leggendario giocatore statunitense e prima vittima conosciuta), ma secondo uno studio epidemiologico condotto in Sardegna, la prevalenza della malattia tra gli agricoltori è doppia rispetto alla popolazione generale.

Tutte queste conoscenze hanno quindi suggerito a Chiò e Mora che uno dei fattori alla base della Sla non sia tanto il consumo di sostanze dopanti ma l’esposizione ad agenti tossici presenti nei pesticidi e nei diserbanti usati nei campi da gioco. Su questa congettura si basa uno dei filoni della ricerca della Sla e all’Ospedale di Terni è stata fatta una sperimentazione basata su antibiotici.

Giuseppe Stipa, medico della struttura di Neurofisiopatologia e coordinatore del progetto, spiega: “Grazie a un finanziamento di 30.000 euro da parte dell’AISLA stiamo ricercando, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, determinate tossine batteriche sia nei liquidi biologici dei pazienti sia sui campi di calcio delle squadre maggiormente interessate. Parallelamente, grazie all’interessamento del direttore Generale dell’AOS S. Maria di Terni, il dott. Gianni Giovannini, stiamo reclutando pazienti a cui somministrare antibiotici attraverso un protocollo sperimentale già approvato dal Comitato Etico dell’Umbria (CEAS). Ipotizziamo infatti che agenti microbiologici ancora non identificati si possano rilevare quantomeno una concausa della malattia, basti pensare che in letteratura sono stati segnalati cluster di coniugi entrambi ammalati. Chiunque desidera può chiedere di entrare nella sperimentazione, a condizione che non abbia insufficienza respiratoria o difficoltà a deglutire”.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Allo stato attuale, l’incertezza sull’eziologia della malattia spacca il fronte di coloro che lottano contro la Sla. Il professor Adriano Chiò del reparto di Neurologia dell’ospedale Molinette di Torino così come Gabriele Mora, della Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, hanno considerato un indizio importante l’alta frequenza di malati nel calcio. Si sono chiesti: quali altri gruppi umani o zone sono particolarmente colpite? Si sa che nell’isola di Guam (Oceano Pacifico occidentale) l’incidenza è stata molto alta per tutto il tempo in cui la popolazione si nutriva di volpi volanti, una specie di pipistrelli che si cibava dei semi delle radici delle cicadee, piante indigene contenenti cianobatteri. Questi microbi producono una neurotossina chiamata beta-metilammino-L-alanina che, come dimostrato su Pnas, causa una malattia neurodegenerativa con aspetti simili alla sclerosi laterale amiotrofica.

Inoltre, da un’analisi effettuata da Chiò e Mora sulle cartelle cliniche di 1.500 ciclisti si desume che non vi è alcuna presenza di ammalati di Sla. D’altra parte, non solo è noto che l’incidenza della Sla è più alta tra i giocatori di baseball (la Sla è detta anche morbo di Gehrig dal nome di Lou Gehrig, leggendario giocatore statunitense e prima vittima conosciuta), ma secondo uno studio epidemiologico condotto in Sardegna, la prevalenza della malattia tra gli agricoltori è doppia rispetto alla popolazione generale.

Tutte queste conoscenze hanno quindi suggerito a Chiò e Mora che uno dei fattori alla base della Sla non sia tanto il consumo di sostanze dopanti ma l’esposizione ad agenti tossici presenti nei pesticidi e nei diserbanti usati nei campi da gioco. Su questa congettura si basa uno dei filoni della ricerca della Sla e all’Ospedale di Terni è stata fatta una sperimentazione basata su antibiotici.

Giuseppe Stipa, medico della struttura di Neurofisiopatologia e coordinatore del progetto, spiega: “Grazie a un finanziamento di 30.000 euro da parte dell’AISLA stiamo ricercando, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, determinate tossine batteriche sia nei liquidi biologici dei pazienti sia sui campi di calcio delle squadre maggiormente interessate. Parallelamente, grazie all’interessamento del direttore Generale dell’AOS S. Maria di Terni, il dott. Gianni Giovannini, stiamo reclutando pazienti a cui somministrare antibiotici attraverso un protocollo sperimentale già approvato dal Comitato Etico dell’Umbria (CEAS). Ipotizziamo infatti che agenti microbiologici ancora non identificati si possano rilevare quantomeno una concausa della malattia, basti pensare che in letteratura sono stati segnalati cluster di coniugi entrambi ammalati. Chiunque desidera può chiedere di entrare nella sperimentazione, a condizione che non abbia insufficienza respiratoria o difficoltà a deglutire”.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Un altro fronte della ricerca sulle cure della Sla prende invece in seria considerazione la possibilità di farmaci che abbiano un effetto neuroprotettivo. Mario Melazzini, presidente dell’Aisla e direttore scientifico del centro clinico Nemo dice: “Ci sono una serie di trial che danno qualche speranza: i risultati dello studio di fase 2 della molecola KNS-760704 (cioè dexpramipexole ) sono incoraggianti, secondo quanto ha riferito Merit Cudkowicz della Harvard Medical School durante un congresso sulla Sla del 9 dicembre scorso”. Gli obiettivi dello studio erano due: misurare la tollerabilità del farmaco e la sua efficacia nel ritardare il progredire della malattia. Su entrambi Cudkowicz si è mostrata soddisfatta e ha dichiarato che la fase tre dello studio inizierà quest’anno.

Come la KNS-760704, anche le olesoxime sembravano molecole in grado di ottenere effetti positivi migliorando la funzione dei mitocondri, organelli cellulari che hanno la funzione principale di produrre l’energia necessaria all’organismo. L’ospedale Carlos III di Madrid aveva reclutato pazienti per sperimentare una terapia con le oleoxime e Jesus Mora, responsabile del reparto di Neurologia dell’ospedale, aveva dimostrato che in colture e in animali il farmaco ritarda la malattia e aumenta la sopravvivenza. Quando è venuto il turno degli esseri umani, 500 malati di tutta Europa, di cui solo 40 spagnoli, gli effetti non sono stati buoni.

Lo conferma Inghilleri: “I recenti dati dello studio di fase III sono assolutamente deludenti. Cosa diversa è KNS-760704. Stiamo tutti aspettando che inizi la sperimentazione anche in Italia”.

Un altro filone di ricerca cerca di far luce sulle cause della Sla a livello genetico. Nel 1993 era stato identificato un gene la cui mutazione rendeva tossica per i motoneuroni la proteina codificata. La scoperta spiegava comunque solo il 10 per cento dei casi di Sla. Successivamente era stato scoperto un altro gene responsabile della forma giovanile di Sla di tipo 2. In questo caso il fattore chiave era la perdita di funzione di una proteina coinvolta nella organizzazione del citoscheletro della cellula. Poi via via il numero di geni responsabili di forme ereditarie di Sla è salito a undici.

Un’altra scoperta si deve Antonio Orlacchio, direttore del laboratorio di Neurogenetica della dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma, che ha annunciato sulle pagine della rivista Brain la scoperta di un nuovo gene causa di una variante della Sla, la cosiddetta “variante autosomica recessiva ad esordio giovanile e con lunga sopravvivenza”.

Si chiama SPG11 e la sua mutazione fa sì che una proteina fondamentale per i la sopravvivenza dei motoneurononi (la spatacsina) non svolga la sua funzione correttamente. Tra l’altro, questo malfunzionamento sarebbe alla base anche di un’altra malattia neurodegenerativa, la “paraplegia spastica ereditaria con assottigliamento del corpo calloso”.

Sul fronte della genetica il futuro promette bene, grazie alla possibilità di sequenziare il genoma sempre più rapidamente: “Sono stati individuati altri “loci”, cioè porzioni del genoma, dove sappiamo si sa sono contenuti geni responsabili di malattie neurodegenerative come la di altre forme di Sla. Dobbiamo però capire esattamente quali tra questi geni sono quelli coinvolti” dice Orlacchio. Una volta individuati questi, è probabile che avremo un quadro più chiaro: “Servirà a capire il meccanismo con cui si sviluppa la malattia, a fare diagnosi migliori e dunque pianificare le terapie adeguate. Tra queste, quelle basate su farmaci che hanno un dato gene come target”.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Altre speranze arrivano da esperimenti sulle cellule staminali. Il primo importante passo è stato fatto cinque anni fa: “In uno studio di fase 1 abbiamo per la prima volta verificato l’impatto dell’uso delle cellule staminali mesenchimali nei pazienti con Sla” dice Letizia Mazzini, neurologa dell’azienda ospedaliera universitaria Maggiore della Carità di Novara “Abbiamo prima isolato ed espanso in vitro cellule autologhe dal midollo osseo e poi le abbiamo trapiantate direttamente nel midollo spinale a livello toracico alto”. Lo studio è stato approvato dall’Istituto Superiore di Sanità e dai comitati etici di tutti gli istituti partecipanti: non vi sono stati segni di tossicità e nemmeno effetti negativi. “Siamo quindi pronti per futuri trials clinici con questo tipo di staminali” conclude Mazzini.

Una sperimentazione simile che utilizza cellule staminali neuronali fetali ed un’innovativa tecnica microchirurgica di iniezione delle cellule è stata autorizzata due anni fa dall’Fda americana e avviata ad Atlanta. In Italia viene seguita anche questa strada : “Stiamo lavorando sull´esperienza degli americani: la nostra idea è raggiungere un territorio importante del midollo in modo da ottenere effetti positivi sugli arti superiori e sulla muscolatura respiratoria” conclude Mazzini.

La possibilità di partecipare a diversi esperimenti pone un dubbio ai malati di Sla: quale scegliere? Chiò replica: “La risposta onesta è: “non lo so”. Solo al termine di tutti gli esperimenti potremo decidere quale terapia è più efficace”.

Dell’aurea di mistero e di incertezza che circonda la Sla è responsabile tutta la società. La sua bassa incidenza non rappresenta un’occasione di guadagno per le case farmaceutiche. Queste, nonostante i codici comportamentali che si sono date, non giudicano conveniente investire su queste ricerche.

D’altra parte, il mondo del calcio non si è mobilitato come avrebbe dovuto e i finanziamenti pubblici sono stati insufficienti. Vi è poi la necessità di finanziare una seria inchiesta medica su scala europea che faccia luce sui tanti casi nel calcio. Senza dimenticare poi che vi sono malati meno fortunati degli ex-calciatori, quelli che non possono permettersi infermieri specializzati e strumenti tecnologici necessari per comunicare e spostarsi.

Secondo Melazzini, la speranza è che i ricercatori possano evidenziare un meccanismo comune a tutte le malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer quello di Parkinson e la corea di Huntington; a quel punto il numero di malati sarebbe alto abbastanza da suscitare più attenzione. Doversi affidare a questa speranza è certamente triste ma non è detto che i risultati di una delle prossime sperimentazioni non offrano già una soluzione.

Qualche anno fa era stata presentata un’interrogazione scritta alla Commissione europea a firma di Iva Zanicchi che chiedeva di indagare sul ruolo di fertilizzanti, pesticidi e diserbanti come fattore scatenante della SLA. Si citava un passo estratto da uno studio realizzato dal National Institute of Health di Washington sui campioni di Dna degli atleti colpiti da Sla: le “quattro concause determinanti per il possibile insorgere di tale patologia” sono i ripetuti traumi agli arti e alla testa nei calciatori, il doping, l’abuso di farmaci e il contatto con pesticidi e diserbanti dei campi. .

Raffaele Guariniello, pm di Torino che nel 1999 aveva aperto un’inchiesta per morti sospette nel calcio, e intervenendo in un dibattito sulla Sla svoltosi a Milano aveva affermato che “In Italia è più facile trovare pentiti di mafia che di calcio” e aveva aggiunto “La Sla non è solo un problema italiano: Uefa e Fifa si attivino per avviare un’indagine epidemiologica. Qui non si tratta di criminalizzare il calcio, però nemmeno di assolverlo a priori”.

Forse più della politica potrà la scienza, ma solo se vi saranno i finanziamenti necessari. Questo è forse il bisogno più urgente affinché i diversi approcci della ricerca sulla Sla possano essere unificati un una visione coerente.

Fabio e Fabrizio ha detto...

Altre speranze arrivano da esperimenti sulle cellule staminali. Il primo importante passo è stato fatto cinque anni fa: “In uno studio di fase 1 abbiamo per la prima volta verificato l’impatto dell’uso delle cellule staminali mesenchimali nei pazienti con Sla” dice Letizia Mazzini, neurologa dell’azienda ospedaliera universitaria Maggiore della Carità di Novara “Abbiamo prima isolato ed espanso in vitro cellule autologhe dal midollo osseo e poi le abbiamo trapiantate direttamente nel midollo spinale a livello toracico alto”. Lo studio è stato approvato dall’Istituto Superiore di Sanità e dai comitati etici di tutti gli istituti partecipanti: non vi sono stati segni di tossicità e nemmeno effetti negativi. “Siamo quindi pronti per futuri trials clinici con questo tipo di staminali” conclude Mazzini.

Una sperimentazione simile che utilizza cellule staminali neuronali fetali ed un’innovativa tecnica microchirurgica di iniezione delle cellule è stata autorizzata due anni fa dall’Fda americana e avviata ad Atlanta. In Italia viene seguita anche questa strada : “Stiamo lavorando sull´esperienza degli americani: la nostra idea è raggiungere un territorio importante del midollo in modo da ottenere effetti positivi sugli arti superiori e sulla muscolatura respiratoria” conclude Mazzini.

La possibilità di partecipare a diversi esperimenti pone un dubbio ai malati di Sla: quale scegliere? Chiò replica: “La risposta onesta è: “non lo so”. Solo al termine di tutti gli esperimenti potremo decidere quale terapia è più efficace”.

Dell’aurea di mistero e di incertezza che circonda la Sla è responsabile tutta la società. La sua bassa incidenza non rappresenta un’occasione di guadagno per le case farmaceutiche. Queste, nonostante i codici comportamentali che si sono date, non giudicano conveniente investire su queste ricerche.

D’altra parte, il mondo del calcio non si è mobilitato come avrebbe dovuto e i finanziamenti pubblici sono stati insufficienti. Vi è poi la necessità di finanziare una seria inchiesta medica su scala europea che faccia luce sui tanti casi nel calcio. Senza dimenticare poi che vi sono malati meno fortunati degli ex-calciatori, quelli che non possono permettersi infermieri specializzati e strumenti tecnologici necessari per comunicare e spostarsi.

Secondo Melazzini, la speranza è che i ricercatori possano evidenziare un meccanismo comune a tutte le malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer quello di Parkinson e la corea di Huntington; a quel punto il numero di malati sarebbe alto abbastanza da suscitare più attenzione. Doversi affidare a questa speranza è certamente triste ma non è detto che i risultati di una delle prossime sperimentazioni non offrano già una soluzione.

Qualche anno fa era stata presentata un’interrogazione scritta alla Commissione europea a firma di Iva Zanicchi che chiedeva di indagare sul ruolo di fertilizzanti, pesticidi e diserbanti come fattore scatenante della SLA. Si citava un passo estratto da uno studio realizzato dal National Institute of Health di Washington sui campioni di Dna degli atleti colpiti da Sla: le “quattro concause determinanti per il possibile insorgere di tale patologia” sono i ripetuti traumi agli arti e alla testa nei calciatori, il doping, l’abuso di farmaci e il contatto con pesticidi e diserbanti dei campi. .

Raffaele Guariniello, pm di Torino che nel 1999 aveva aperto un’inchiesta per morti sospette nel calcio, e intervenendo in un dibattito sulla Sla svoltosi a Milano aveva affermato che “In Italia è più facile trovare pentiti di mafia che di calcio” e aveva aggiunto “La Sla non è solo un problema italiano: Uefa e Fifa si attivino per avviare un’indagine epidemiologica. Qui non si tratta di criminalizzare il calcio, però nemmeno di assolverlo a priori”.

Forse più della politica potrà la scienza, ma solo se vi saranno i finanziamenti necessari. Questo è forse il bisogno più urgente affinché i diversi approcci della ricerca sulla Sla possano essere unificati un una visione coerente.