giovedì 26 settembre 2013

Uno studio scopre perché la Sla ha più velocità

 

La Sla è una malattia dal decorso imprevedibile, che varia enormemente fra una persona e l’altra. Un nuovo studio, pubblicato su Brain, ha permesso di identificare i fattori che possono influenzare il decorso più o meno rapido della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).

  Individuati i meccanismi che caratterizzano i diversi tempi di avanzamento della malattia. «Ora è possibile anche identificare dei biomarcatori prognostici», dicono i ricercatori

1 commento:

Fabio e Fabrizio ha detto...

La Sla è una malattia dal decorso imprevedibile, che varia enormemente fra una persona e l’altra. Un nuovo studio, pubblicato su Brain, ha permesso di identificare i fattori che possono influenzare il decorso più o meno rapido della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).
Lo studio condotto è stato condotto nel Laboratorio di Neurobiologia Molecolare dell’Istituto ‘Mario Negri, diretto da Caterina Bendotti, avvalendosi della collaborazione di Pamela Shaw, Direttrice del "Sheffield Institute for Translational Neuroscience (SITraN)" all'università di Sheffield, finanziato per la maggior parte dall'MND Association inglese, con un contributo della Comunità Europea e della Regione Lombardia.

Sotto la lente dei ricercatori erano due modelli di topi portatori dello stesso gene mutato responsabile della SLA, che sviluppavano la malattia con una progressione molto diversa tra loro. «Lo studio ha messo in evidenza che all'esordio dei sintomi, cioè prima ancora che ci sia debolezza muscolare, tra i due modelli di topo con rapida e lenta progressione si osservano differenze importanti nei motoneuroni. In particolare si sono osservate differenze nel modo in cui queste cellule reagiscono attivando più o meno intensamente dei meccanismi di danno», dice – spiega Giovanni Nardo, del ‘Mario Negri’. «Aver identificato alcuni di questi meccanismi ci aiuta a indirizzare in modo più efficace gli interventi farmacologici per rallentare, in fase molto precoce, questa devastante malattia. Da questo studio è possibile anche identificare dei biomarcatori prognostici, cioè delle molecole in grado di prevedere la progressione della malattia e di monitorare l'efficacia di trattamenti sperimentali».