mercoledì 27 agosto 2014

In Veneto, la SLA è in aumento: il registro regionale parla di 530 casi di Sla, circa 100 in più rispetto all’anno scorso e si stima entro fine anno un totale circa 600 casi.

3 commenti:

Fabio e Fabrizio ha detto...

In Veneto, la malattia purtroppo è in aumento: il registro regionale parla di 530 casi di Sla, circa 100 in più rispetto all’anno scorso. Ma, considerando quelli non ancora censiti, il numero potrebbe lievitare fino a 600. E mentre le secchiate d’acqua dell’iniziativa benefica «Ice Bucket Challenge » spopolano sul web, coinvolgendo i vip di mezzo mondo (ieri anche il sindaco di Padova Massimo Bitonci ha aderito alla campagna, pubblicando su YouTube il video della sua «doccia» gelata e invitando i rettori degli atenei veneti a imitarlo), i malati di Sclerosi laterale amiotrofica possono festeggiare una piccola conquista: il diritto al ricovero nelle case di riposo. La Regione, infatti, ha stabilito che le residenze per la terza età dovranno riservare (e attrezzare) 54 posti letto per i malati di Sla, da distribuire fra tutte le province: 30 di «sollievo famigliare», per chi non può essere accudito in via temporanea; 24 permanenti, per chi è totalmente privo di assistenza a domicilio. Segno che qualcosa, docce a parte, si sta muovendo: «Se ne parla ancora poco, ma la situazione è migliorata - dice Daniela Fasolo, portavoce dell’associazione «Asla» di Veggiano (Padova), che riunisce pazienti di tutto il Nordest -. Vent’anni fa, quand’è mancato mio marito, le famiglie dovevano pagare tutto di tasca propria. Negli ultimi tempi hanno conquistato molti diritti, come quello alla pensione e all’accompagnamento: nei casi più gravi, i famigliari ricevono anche 2mila euro al mese. Anche le diagnosi sono diventate più veloci: una volta potevano richiedere due anni, perché la malattia non ha sintomi precisi, può partire da ogni parte del corpo e manifestarsi con perdita di voce, zoppia o mal di schiena. Ormai i medici sono diventati esperti».

I problemi, comunque, restano. Il Centro Sla di Padova, che riceve malati da tutta Italia, può contare solamente su un neurologo.

Fabio e Fabrizio ha detto...

E l’apporto delle associazioni diventa decisivo: «L’ospedale non avrebbe i mezzi per seguire questi pazienti, che sono rari e hanno un peso assistenziale non indifferente, perché presentano molti disturbi – afferma il dottor Gianni Sorarù, responsabile del Centro -. L’associazione Asla, in sinergia con Azienda ospedaliera e Fondazione Cariparo, si occupa di finanziare la ricerca, comprare i materiali, reperire i fondi per la cura e l’assistenza ai malati». L’ultimo acquisto è stato un pullmino per accompagnarli alla visite. Ma l’elenco comprende anche le carrozzine e i dispositivi per comunicare con il computer tramite controllo oculare, il cui costo si aggira sui 20mila euro. «Abbiamo anche introdotto nuove figure all’interno del Centro - aggiunge Daniela Fasolo -. Accanto al responsabile, adesso ci sono un altro neurologo, uno psicologo e un biologo, che conduce delle ricerche sul Dna per cercare di capire le cause della malattia. Organizziamo raccolte fondi e ci occupiamo dell’assistenza burocratica, aiutando i pazienti a richiedere la pensione d’invalidità ».

Fabio e Fabrizio ha detto...

L’associazione, però, si occupa soprattutto di fornire supporto psicologico: «La Sla è una sentenza di morte che coinvolge tutta la famiglia, non solo chi la contrae – dice Fasolo -. Vogliamo essere un punto di riferimento per chi soffre: il rischio è quello di sentirsi soli, mentre bisogna cercare di accettare la malattia e continuare a vivere serenamente».

«In Veneto l’attività di assistenza è all’avanguardia, la priorità è mantenere quello che già c’è – aggiunge Sorarù -. Tutti i malati passano almeno una volta da Padova, che è il centro principale del Nordest: se ci fossero più fondi si potrebbe incrementare la rete regionale, aprendo nuovi centri negli altri ospedali (gli unici altri punti di cura sono a Verona e Treviso, ndr)». E la ricerca? Il Centro Sla di Padova ha aderito al progetto «Neurothon», che prevede l’iniezione di cellule staminali cerebrali prelevate da feti abortiti spontaneamente (nulla a che vedere col metodo Stamina) nel midollo spinale dei pazienti: dal 2012 a oggi, sono 16 quelli che si sono sottoposti alla sperimentazione, eseguita a Terni dal professor Angelo Luigi Vescovi e approvata dall’Istituto superiore della sanità. Il monitoraggio successivo prosegue a Padova. E i risultati, finora, sono soddisfacenti: «L’auspicio – conclude Sorarù – è quello di rallentare la progressione di malattia: non siamo ancora pronti per sconfiggerla».