giovedì 22 maggio 2014

Poche settimane fa è stata annunciata un’importante scoperta per chi è affetto da sclerosi laterale amiotrofica, la Sla: l’identificazione del gene «Matr3» da parte del team dell’Università degli Studi di Torino diretto da Adriano Chiò, in collaborazione con il consorzio Italsgen, che include 16 centri italiani di ricerca, e alcuni studiosi stranieri.
Anche se la genetica della Sla appare sempre più complessa, questa scoperta chiarisce uno dei meccanismi fondamentali alla base del processo degenerativo: l’alterazione del metabolismo dell’Rna messaggero, una molecola che permette la traduzione del codice genetico nei costituenti fondamentali della cellula, cioè le proteine. Le nuove scoperte, tuttavia, costringono i clinici ad avventurarsi su un nuovo e accidentato terreno, quello della comunicazione ai pazienti e alle loro famiglie del rischio genetico della malattia.  

2 commenti:

Fabio e Fabrizio ha detto...

antonella surboneNEW YORK UNIVERSITY
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Poche settimane fa è stata annunciata un’importante scoperta per chi è affetto da sclerosi laterale amiotrofica, la Sla: l’identificazione del gene «Matr3» da parte del team dell’Università degli Studi di Torino diretto da Adriano Chiò, in collaborazione con il consorzio Italsgen, che include 16 centri italiani di ricerca, e alcuni studiosi stranieri. Anche se la genetica della Sla appare sempre più complessa, questa scoperta chiarisce uno dei meccanismi fondamentali alla base del processo degenerativo: l’alterazione del metabolismo dell’Rna messaggero, una molecola che permette la traduzione del codice genetico nei costituenti fondamentali della cellula, cioè le proteine. Le nuove scoperte, tuttavia, costringono i clinici ad avventurarsi su un nuovo e accidentato terreno, quello della comunicazione ai pazienti e alle loro famiglie del rischio genetico della malattia.



Accanto all’intenso lavoro per identificare nuovi geni ci si è resi conto della necessità di discutere e stilare una serie di linee-guida per i neurologi clinici che devono affrontare nuove conoscenze genetiche e decidere se, come e quando parlarne con i pazienti ammalati di Sla e i loro familiari. Le linee-guida, disponibili online dal luglio 2013 e accolte favorevolmente nel mondo anglo-americano, sono state pubblicate sul «Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry» insieme con due editoriali che ne sottolineano la necessità in questa fase di «rivoluzione genetica», che richiede una particolare attenzione dei medici alla comunicazione. La stesura delle linee-guida è nata essa stessa dalla comunicazione aperta e onesta tra oltre 20 esperti di neurologia, genetica, psicologia e bioetica in due giorni di intensi scambi di esperienze e opinioni. Ma cosa rende questo tema tanto complesso e controverso rispetto a ogni altra comunicazione in medicina clinica?



Come ha rivelato il caso di Angelina Jolie, portatrice di una mutazione del gene «Brca» che espone ad alto rischio di tumori al seno e all’ovaia, essere a conoscenza di una predisposizione genetica induce in ciascuno di noi profondi cambiamenti per tutta la vita: incertezza e preoccupazione sul futuro proprio e dei consanguinei, disagio psicologico e relazionale, medicalizzazione dell’esistenza, scandita da test, visite, eventuali misure preventive o terapeutiche, oltre a potenziali ripercussioni sociali, fino alla discriminazione.



Fabio e Fabrizio ha detto...

L’informazione genetica, infatti, ci fornisce un dato indelebile su qualcosa che potrebbe accadere nel futuro, senza certezze riguardo al fatto se, quando e con quale gravità svilupperemo mai la malattia che ha già causato sofferenza o morte tra i nostri familiari. Ognuno di noi la può percepire come strumento di maggiore controllo sulla propria salute e sulla vita futura oppure come una forma inquietante di predestinazione. Tutto questo è ancora più rilevante in malattie inevitabilmente progressive, come la Sla, per la quale l’informazione genetica è disponibile prima che ci siano efficaci misure preventive, di monitoraggio precoce e terapeutiche.



L’informazione genetica, poi, non riguarda mai solo chi si sottopone al test genetico, ma i consanguinei che potrebbero un giorno ammalarsi della stessa malattia, creando particolari responsabilità di comunicazione verso i familiari. Eppure si possono anche provare delle esitazioni nel rivelare il risultato di un test genetico per salvaguardare la privacy, proteggere i propri cari da brutte notizie o perché non ci si frequenta tra familiari. Secondo la deontologia internazionale, il medico deve riuscire a creare un dialogo progressivo, nel tempo, così da spiegare al paziente le implicazioni familiari della mutazione genetica, ma non può e non deve mai scavalcare la volontà e il diritto alla privacy del paziente.



Quasi tutti i pazienti, dopo averci riflettuto, informano i loro familiari. Ma se loro, invece, non volessero sapere nulla dei propri geni? O ancora: se il medico, avendo in cura sia il paziente sia altri familiari, ritenesse di fornire loro l’informazione genetica per dovere professionale? Su questo punto la deontologia non è chiara. Le decisioni sulla comunicazione in genetica sono tra le più laceranti, soprattutto quando non esistono ancora terapie efficaci.



Perché, allora, comunicare a pazienti e familiari la presenza di un “gene della Sla”? Nelle nostre linee-guida proponiamo di farlo per rispettare intelligenza, dignità e diritto alla scelta di ogni individuo e per offrire a tutti un giusto contatto con il mondo della ricerca, che a sua volta si impegna nella diagnostica, prevenzione e terapia. Ma anche perché attraverso la comunicazione costante è possibile demistificare la diversità genetica e fare sì che non si trasformi in svantaggio sociale.



La maggior parte delle malattie ha origine dall’interazione tra geni e ambiente e questo noi possiamo e dobbiamo controllarlo. I geni non definiscono chi siamo in sentimenti, emozioni, esperienze, reazioni e scelte. Siamo tutti diversi e unici: per questo ci apprezziamo e sosteniamo a vicenda attraverso valori come rispetto, solidarietà e comunicazione.



Come coautore delle linee-guida con Chiò, infine, ho la convinzione che ogni medico debba prendersi cura dei pazienti e dei familiari in ogni aspetto: dalla ricerca su geni e farmaci all’accompagnamento medico e psico-sociale fino alla comunicazione.