giovedì 2 giugno 2016
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SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA: ...AIUTIAMOCI A TROVARE IN QUESTO BUIO UNA LUCE ... CHE CHI DOVREBBE NON HA TEMPO O CORAGGIO DI ACCENDERE... VI LASCIO UNA VOCE CHE CON SACRIFICIO HO CONQUISTATO... MA QUESTO TRISTE E INCONSOLABILE PATRIMONIO E' DI OGNI MALATO ... DI OGNI FAMILIARE CHE PIANGE IN SILENZIO... DA QUANDO QUESTE TRE LETTERE SONO ENTRATE NELLA NOSTRA VITA E CHE MESSE INSIEME FORMANO UNA COSI' PROFONDA E INGIUSTA MALATTIA...
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La scoperta potrebbe portare all’identificazione di nuovi meccanismi molecolari regolanti il decorso della SLA, consentendo quindi lo studio di nuove terapie farmacologiche mirate
Milano, 2 giugno 2016 – Una ricerca internazionale condotta al King’s College London in collaborazione con l’IRCCS Istituto Auxologico Italiano – Università degli Studi di Milano, ha identificato un nuovo gene sul cromosoma 1 (CAMTA1) in grado di regolare la sopravvivenza in pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).
La SLA è una malattia neurodegenerativa a esito fatale che colpisce i motoneuroni causando una paralisi progressiva dei muscoli volontari e la morte entro 3-5 anni dall’esordio. Solo il 10% dei pazienti presenta una storia familiare, mentre la maggior parte degli individui nella popolazione umana sviluppa la malattia senza una causa apparente.
Mentre le forme rare familiari sono state ben caratterizzate tramite l’identificazione di molti geni causativi, la più comune forma sporadica si presenta come una malattia multifattoriale causata dalla complessa interazione di diversi fattori di rischio genetici e ambientali. Di recente, studi di associazione dell’intero genoma in grandi coorti di pazienti sporadici hanno individuato pochi geni di suscettibilità indicando quanto la struttura genetica della malattia sia difficile da caratterizzare.
A complicare ulteriormente le cose, i pazienti SLA presentano un quadro clinico alquanto eterogeneo, dove età, sito di esordio, progressione e durata della malattia variano notevolmente. Per esempio, nonostante la prognosi severa di una sopravvivenza media di 3 anni, il 5% dei pazienti può sopravvive per più di una decade suggerendo la presenza di geni modificatori che concorrono a definire il profilo genetico della malattia. Allo scopo di capire le cause che portano a una sopravvivenza più lunga rispetto alla media in una piccola percentuale di pazienti SLA, i ricercatori stanno cercando di identificare geni associabili con il tempo di sopravvivenza.
Questo nuovo studio, pubblicato su JAMA Neurology, è il risultato di collaborazione internazionale che include 4.256 pazienti SLA raccolti dall’ IRCCS Istituto Auxologico Italiano – Centro “Dino Ferrari” dell’Università degli Studi Milano e dal Consorzio Italiano SLAGEN insieme a diverse istituzioni universitarie in Inghilterra, Olanda, Belgio, Svezia, Francia, Irlanda e Stati Uniti. La dott.ssa Isabella Fogh con il prof. John Powell presso il dipartimento di Clinical Neuroscience, Institute of Psychiatry al King’s College London, ha analizzato più di 7 milioni di varianti genetiche sparse nel genoma di questi pazienti identificandone alcune nel gene CAMTA1 fortemente associate ad un aumento del rischio di morte di 4 mesi.
Le varianti associate si trovano in una regione ben definita del gene CAMTA1 che se deleta causa un’altra malattia neurologica, una forma di ataxia cerebellare responsabile di instabilità del movimento. È di grande interesse che uno stesso gene, se modificato nella sua struttura in misura diversa, possa causare due malattie neurologiche che hanno però in comune la perdita del controllo motorio.
Il prof. Vincenzo Silani, primario di neurologia all’Auxologico e docente della Statale di Milano, uno degli autori senior dell’importante lavoro, spiega come “questa scoperta potrebbe portare all’identificazione di nuovi meccanismi molecolari regolanti il decorso della SLA, consentendo quindi lo studio di nuove terapie farmacologiche mirate. Inoltre, la definizione genetica della sopravvivenza nella SLA potrebbe contribuire alla migliore comprensione dell’efficacia terapeutica di nuove molecole quando volte, appunto, ad incrementare la vita dei pazienti. Il lavoro della dott.ssa Isabella Fogh testimonia il grande impegno della ricerca italiana nella definizione dei meccanismi genetici intrinseci alla malattia, sempre nella prospettiva di raccogliere ogni informazione possibile per addivenire ad una terapia risolutiva per la SLA”.
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