E' morta la scrittrice Cesarina Vighy
da tempo malata di SLA
Qualche giorno fa era stato pubblicato il suo ultimo romanzo,
dal titolo: " Scendo. Buon proseguimento "
vincitrice nel 2009 del Premio Campiello Opera Prima e
finalista del Premio Strega con L’ultima estate.
CI LASCIA LE SUE PAROLE DI ADDIO......
..." Ora che più forte sento stridere il freno,
vi lascio davvero, amici. Addio.
Di questo, son certo:
io son giunto alla disperazione calma,
senza sgomento.
Scendo. Buon proseguimento...... "
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Qualche giorno fa era stato pubblicato il suo ultimo romanzo, dal titolo di Scendo. Buon proseguimento, un titolo che ora suona come un lugubre annuncio, un addio. Si è infatti spenta a Roma, all’età di 74 anni, la scrittrice veneziana Cesarina Vighy, vincitrice nel 2009 del Premio Campiello Opera Prima e finalista del Premio Strega con L’ultima estate.
La malattia che da 6 anni la assediava era la SLA, sclerosi laterale amiotrofica, una di quelle malattie che la scienza ancora non riesce a spiegare e contro le quali ovviamente non c’è ancora una cura. Proprio per questo la scrittrice, che in realtà ha esordito a 70 anni passati e che per tutta la vita ha lavorato al Ministero dei Beni Culturali e alla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di via Caetani, aveva devoluto gran parte dei proventi della sua opera prima.
Questo suo ultimo libro, Scendo. Buon proseguimento è una sorta di diario epistolare, una raccolta di email inviate dalla scrittrice alle persone che le stavano vicine, dalla figlia agli amici, un addio letterario molto intimo, insomma.
CONGEDO DEL VIAGGIATORE CERIMONIOSO
Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.
Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare.
(Scusate. E’ una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare. Ecco.
Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare).
Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo – odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto s’io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.
Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.
Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.
Scendo. Buon proseguimento.
Stasera, rileggendo Giorgio Caproni, mi accorgo che non ho modo di sapere cosa abbia voluto portare con sé Titti, nella sua valigia.
So invece quello che ha lasciato qui, a tutti noi che l’abbiamo conosciuta.
A tutti noi, quelli che hanno scelto di vivere in un’associazione che si chiama Viva la Vita, capita spesso di pensare alla morte. Con pudore e con dignità, pensiamo spesso senza mai parlarne al senso dell’esserci e del non esserci più.
Anche oggi, giorno del congedo di Titti, abbiamo pensato alla morte, ma non ne abbiamo parlato.
Qualcuno di noi ha asciugato lacrime senza farsi vedere. La partenza di quel treno è sempre un addio triste. Poi lo sguardo ha guardato all’orizzonte, verso il nuovo giorno.
Qui dove restiamo, continuiamo la nostra vita con forza e con determinazione. Noi sappiamo sperare in un mondo migliore, sappiamo combattere per costruirlo.
L’indignazione e l’ironia, l’amarezza e la letizia, raccolte in uno scrigno pieno della più intensa umanità, restano come donazione liberale di Titti all’associazione Viva la Vita.
Grazie a lei e alla sua eredità, siamo più forti che mai.
Mauro Pichezzi
Post scriptum di Giorgio Caproni:
LAPALISSADE IN FORMA DI STORNELLO
Rosa di maggio,
La morte non è un luogo.
Tantomeno un passaggio.
Vivremo, finché saremo vivi.
Siamo uccelli stativi.
Cesarina Vighy è stata una scrittrice al limite. Estrema, ferocemente provocatoria. La sua prosa era tutt’altro che aggressiva, in un tempo in cui tutto ciò che piace deve prendere a schiaffi il lettore dalla pagina. In un’epoca in cui tutto quello che diverte deve essere giovane, lei, Cesarina, ha esordito (l’anno scorso) a settantatré anni. Per di più con un romanzo delicato come il suo titolo: L’ultima estate (edito da Fazi, vincitore di un Campiello opera prima ed entrato in cinquina allo Strega).
Ma quello che conta davvero è che quel senso del “limite” a cui accennavamo appartiene alla Vighy molto più che a moltissimi «fabbricatori» di prosa, abituati a ostentarlo come marchio di fabbrica. Questa garbata signora nata veneziana ma assolutamente romana ha, infatti, scritto un romanzo che parla delle gioie e dei dolori della vita ma visti a posteriori, stando pericolosamente in bilico sul limite dell’esistenza. Anzi come avrebbe detto lei stando scomodamente seduta, ma con ironia, all’ingresso del tunnel della morte. Da sei anni era malata di Sla (sclerosi laterale amiotrofica) una malattia che ti mangia i muscoli, che ti inchioda in un letto, che non perdona. Eppure questa donna abituata a masticare pane e libri - aveva lavorato a lungo al ministero dei Beni culturali e poi alla Biblioteca nazionale di Storia Moderna e Contemporanea - ha usato il disastro del suo corpo come un’occasione: ha preso il coraggio a due mani e ha scritto. Guardandosi indietro ha trasformato la letteratura in una specie di Second life, si è inventata il personaggio di Zeta, una donna malata, esattamente come lei. Come ha dichiarato in un’intervista al Giornale: «Ho trovato un metodo per guardare alla vita... mi sono creata un Avatar che potesse uscire di qui... una vecchia signora malata ma saggia, che non desidera quasi più niente».
E ora che Cesarina Vighy, il primo maggio, il tunnel della morte l’ha imboccato davvero - un tunnel che si ingrandisce sempre più, secondo la velocità del treno su cui viaggiamo - il suo Avatar resta con noi. Per lei che si diceva non credente questa era la consolazione, una consolazione che nasceva dal dare, anche in extremis. Una consolazione legata all’idea di fare in modo che «il libro mastro del dare e dell’avere si chiuda in parità», che nonostante tutto il dolore ci piacciano «le cose pulite».
La scorsa settimana, poco prima della sua morte, è arrivato in libreria anche una miscellanea epistolare, quasi un inevitabile contrappunto a L’ultima estate: Scendo. Buon proseguimento (sempre per Fazi). Contiene le mail che hanno tenuto «tittivighi» allacciata al Mondo. L’ultima è del 27 marzo 2010: «Se ricordo bene è proprio la Speranza a restare in fondo al vaso di Pandora dopo che tutti i mali se ne sono scappati via, a infettare il mondo. Dunque acchiappiamola questa Speranza preziosa, ma con delicatezza, come si prende una bellissima farfalla... ho deciso di vivere almeno sino a luglio... Ps: Questa può andar bene come chiusa?». È una chiusa splendida, signora Vighy.
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