giovedì 14 gennaio 2010






5 commenti:

Anonimo ha detto...

La dura salita della sla
Quand’ero bambino, mio zio Italo, a cui sono stato legato da un immenso affetto, oltre alla passione per la musica, ha saputo trasmettermene una più frivola, la passione per il ciclismo. Classe 1920 buon musicante, a cui invidiavo il suo “orecchio assoluto”, ed appassionato di bande, durante gli anni della guerra aveva svolto il servizio militare aggregato alla Banda Presidiaria dell’81º reggimento del regio esercito. Affabulatore come pochi, amava raccontare di quel suo trascorso, del severo e stimato maestro e dei suoi commilitoni fra cui “l’imboscato” Alberto Sordi.

Dai suoi racconti ho avuto la possibilità di conoscere gli anni del fascismo, della guerra e del dopoguerra, attraverso la testimonianza di chi ha vissuto e subìto in prima persona quegli eventi; un punto di vista personale, sicuramente emozionale, di quelli non raccontati dai libri di storia, ma di sicuro fascino ed interesse da cui traspariva il dramma umano vissuto, e da cui ho saputo trarre come insegnamento i miei ideali di libertà e democrazia e tutt’altro che una nostalgia per il ventennio. La storia comunque, è bene ricordare, racconta di come la zona di Sulmona fu teatro di cruenti vicende, tra cui la strage nazifascista nel piccolo paese di Pietransieri, e vide le imprese partigiane della brigata Majella, ben nota al presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi.

Come un suggestivo incantatore agli occhi di un bambino ha saputo narrarmi le gesta di Bartali e Coppi come fossero due eroiche divinità della Grecia classica, mentre domavano le terribili e polverose salite di Francia tra “i francesi che si incazzano”, facendomi conoscere ed amare la grande epopea del ciclismo degli anni del dopoguerra, in un’Italia in ricostruzione e sicuramente più autentica ed onesta dell’attuale, soprattutto nella classe politica, dopo gli anni bui del fascismo. Questo traspariva dai racconti di un bartaliano come mio zio, la passione per uno sport che, di certo, fu una sana distrazione di massa per un paese che si appassionò oltre ogni immaginazione alle vicende dei due indimenticati e solitari campioni. Ed è questo il motivo dell’affetto che mi lega a questo sport, per la funzione sociale che seppe avere durante gli anni della ricostruzione. Come mio zio, mi piacerebbe un giorno poter raccontare delle mie emozioni per le due ruote, quelle vissute con il “pirata” Marco Pantani, per le sue solitarie e vincenti montagne.

Anonimo ha detto...

.........CONTINUA.............
Da circa tre anni anch’io “pedalo” per la mia personale corsa, una corsa per la vita. Parafrasando il più faticoso degli sport voglio qui di seguito raccontarvi le ultime vicende legate alla malattia.

Quando, tempo fa, decisi di affrontare questa battaglia e sfidare il mio rognoso avversario sul terreno a lui più consono, ero consapevole della durezza delle salite che mi attendevano e della necessaria forza, soprattutto nello spirito, che avrei dovuto tirare fuori per lottare e non soccombere. Dopo essere riuscito a tenergli testa con abilità e forza d’animo, in questo ultimo mese però il rognoso ha saputo mettermi veramente in difficoltà. Non ho mollato e non ho intenzione di mollare, non ancora, ma di fronte a me purtroppo ho un avversario forte e tenace. Ho cercato di resistergli, o come si dice in gergo “di tenergli la ruota”, ma la fatica è stata immensa; quando decide di attaccare, a testa bassa, lo fa quando meno te lo aspetti, da vera e propria carogna, ed è veramente dura fronteggiarlo. Sulla dura salita le sue “strappate” sono di quelle che ti tagliano le gambe e di fronte a un tale strapotere sapeste quante volte, cari amici, ho pensato di mollare scoraggiato, stanco sia nel fisico quanto nella mente. È questo, quindi, il motivo del mio silenzio nel blog, il motivo per cui in questo ultimo periodo non ho dato risposte alle vostre tante mail, telefonate e messaggi!

Ma Maria è lì accanto a me, instancabile, a sostenermi ad incitarmi, a farmi sentire forte ed immutato il suo amore e se non getterò la spugna abbandonando la sfida è anche e soprattutto per lei. Fino a quando mi leggerete sul blog, immaginatemi ancora a lottare solitario faticosamente su questa dura salita. Non sono un fuoriclasse ma certamente ci proverò.

Intanto a tutti voi i miei migliori auguri di un felice 2010.

Faticosamente impertinente,

Paolo

Anonimo ha detto...

Don Walter Fiocchi risponde alla “Lettera a Gesù” di Paolo Di Modica
Carissimo Paolo,

mi è stato chiesto da parte di un amico di abbozzare non una risposta alla tua lettera a Gesù (sarebbe da parte mia una insan(t)a impertinenza), ma di interloquire con i tuoi ragionamenti, di addentrarmi (da credente e, oltretutto, prete di quel «“mostro politico” rispondente al nome di ‘Chiesa Cattolica Apostolica Romana’») nelle tue riflessioni e nelle tue riletture biblico-storiche.
Ma quando dopo una prima veloce scorsa del tuo scritto l’ho riletto con più attenzione mi sono trovato spiazzato… Come faccio a “rispondere”? E rispondere a cosa poi? Ad alcune inesattezze di interpretazione biblica o di interpretazione storica? Né del resto posso mettermi a confutare alcune tue affermazioni – magari un po’ apodittiche – ma sulla sostanza delle quali sono assolutamente d’accordo…

Quando ho iniziato a leggere la tua “lettera aperta a Gesù” e ho visto la tua previa “professione” di ateismo, temevo di imbarcarmi in una disputa con un ateo alla Odifreddi… ma mi sbagliavo. Non ho niente contro l’ateismo di Odifreddi, lo rispetto come rispetto le scelte libere e pensate di ogni essere umano, credente, non credente o mal credente (come è il caso di molti che si definiscono cristiani, ma hanno staccato la spina del pensiero); ciò che mi urta è il fatto che lui consideri (o dia l’impressione di considerare) imbecilli coloro che con libertà, coscienza e volontà hanno ritenuto di trovare sufficienti ragioni per credere… Ma vedo con chiarezza che non è il tuo atteggiamento, e di questo ti ringrazio. Mi ricordi piuttosto Camus e il suo rifiuto dell’ingiustizia e delle contraddizioni della vita e nella vita degli esseri umani…

Capisco bene le tue critiche non tanto a Dio ma a chi dovrebbe saper parlare di Dio; a chi dovrebbe essere capace, per essere fedele alla missione che gli è stata consegnata dal Gesù che stimi e ammiri, di lasciar trasparire il volto vero di Dio e non presentarne una caricatura, un’immagine deforme e deformata; a chi dovrebbe lasciar trasparire nelle parole e nei fatti di credere in un Dio che nella Bibbia è definito in un solo modo: Amore, Dio è Amore; a chi dovrebbe mostrare al mondo non un messaggio politically correct, un messaggio buono per il potere e per una sua eventuale condivisione, ma il rivoluzionario messaggio del Vangelo, capace di scardinare i principi primi della ricerca e della gestione del disumano potere, dovrebbe saper mostrare “fatti di Vangelo”…

...continua...

Anonimo ha detto...

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Posso solo dirti che Paolo, che tu non stimi molto mi pare, al di là dei condizionamenti culturali da cui non sempre sa liberarsi, abbia invece colto la carica controcorrente del messaggio di Gesù. Sì è vero, dice magari: “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti!”, ma subito dopo aggiunge: “Mariti, amate le vostre mogli!”, e tu sai bene che erano tempi e culture in cui l’amore per la propria moglie non era né scontato né usuale. Oppure rileggi con calma e attenzione la brevissima lettera, il biglietto, a Filemone: destabilizzante! Mi pare in realtà che Paolo abbia fatto una grande operazione di degiudaizzazione del Vangelo, dandogli una apertura universale per quanto ancora condizionata dall’origine farisea di Paolo. Ma non ha inventato nulla, né si può far risalire a lui la piega “imperiale” e “assolutista” assunta successivamente dalla gerarchia ecclesiastica!

In realtà, forse senza rendertene conto, nella tua lettera fai una straordinaria professione di fede! Non fraintendermi, non sto cercando di “battezzarti e cresimarti”, cosa che forse hai già fatto (o subito!). Semplicemente esprimi ciò che non sempre i credenti riescono a intuire: che l’unico Dio, l’unico volto di Dio che noi conosciamo e di cui dovremmo parlare è il volto di Gesù di Nazareth, un volto dunque leggibile in quello di un uomo e non quello delle nostre elucubrazioni astratte, avulse dalla nostra vita quotidiana, dai nostri drammi, dalle nostre gioie e sofferenze, dai nostri piaceri e amori, malattie, perversioni, dubbi, angosce… Fa paura ai credenti un Dio così mescolato con la nostra vita; ci piace di più un Dio lontano, inaccessibile, manipolabile dalla nostra fantasia, un Harry Potter che ci risolve con la bacchetta magica i problemi e non ci lascia invece a macerarci nei nostri e, anzi, ce ne crea di nuovi chiedendoci di amare e di lasciarci amare! È meglio per tanti un Dio che puoi cercare di corrompere con una devozione o una candela per portarlo dalla tua parte e ti faccia il miracolo o il miracolino di accontentarti in ciò che tu hai deciso sia il bene per te. Certo che quando uno è malato ritiene bene per sé la guarigione dalla malattia. E non so dire perchè ci sia questa ingiustizia, uno è malato e l’altro no. Posso solo guardare quel che fa Gesù; e vedo che Gesù guarisce i malati: la malattia va, perciò, combattuta; la guarigione dalla malattia è segno del Regno che viene. L’impegnarsi, come ricercatori, operatori sanitari a tutti i livelli, preti, cristiani, per alleviare la sofferenza, umanizzare le strutture e sconfiggere la malattia è collaborazione alla Redenzione. Ma Gesù non guarisce tutti i malati; non solo la guarigione è segno del Regno, ma lo può essere anche la sofferenza; si può vivere la malattia come collaborazione al Regno. «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo i per Giudei, stoltezza per i pagani»; Gesù ha vissuto la sua croce come offerta, come gesto di amore universale, e affidandosi al Padre. Così anche noi possiamo rendere positiva la sofferenza, facendone un gesto di offerta e un abbandono fiducioso al Signore. Oggi allora, pare particolarmente necessario innanzi tutto un impegno culturale che renda tutti più sensibili ai temi della sofferenza, dell’emarginazione, dei valori della vita e della salute e, anche, della morte. Ma certamente non il predicare la rassegnazione, non trovo nei Vangeli una sola parola di rassegnazione, ma sempre di lotta contro il male in tutte le sue forme.

... continua.......

Anonimo ha detto...

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Perciò posso solo ringraziarti perchè la tua lettera è per me una “purificazione” della mia fede, mi costringe a guardare all’origine e all’originale della fede cristiana: un Dio che si fa uomo nel verso della storia, non nel dritto, come quando si guarda un arazzo: il verso è caotico, confuso, un’accozzaglia di fili e di colori a volte stridenti, ma se lo giri vedi il capolavoro che è leggibile sull’altro versante. In questi giorni di Natale ho dovuto meditare sulla scelta di Dio: si fa uomo in una stalla, è posato su una mangiatoia che puzza di sterco di pecora, nasce da una ragazza su cui le pie donne del suo paese avranno a lungo spettegolato, è circondato dagli “sfigati” del tempo, i pastori, sporchi, opportunisti, ladri, immorali perchè convivevano di giorno e di notte (!) con le loro pecore, riceve doni da stranieri, pagani, probabilmente scienziati (astrologi o astronomi) scientificamente atei… Ma è questo volto di Dio che ci viene presentato da Gesù e dai Vangeli, non quello del Tempio e dei sacri palazzi!

E poi ti ringrazio perchè mi hai ancora una volta confermato che i più ossessionati da Dio non sono i credenti! È una considerazione che ho già avvertito dentro di me frequentando molti atei, soprattutto viaggiando con loro in Palestina: ho visto la loro sete di spiritualità (anche qui: lo uso come termine generico, non voglio battezzarli! parlo di una dimensione della vita di ogni essere umano, anche senza connotazioni religiose), la loro profondità di pensiero e di riflessione, la loro capacità di non evadere dal contesto della concreta umanità per rifugiarsi in un evanescente, astorico e atemporale spiritualismo che sa spesso di fuga, di chiusura di occhi, orecchi e bocca per non vedere, per non sentire, per non denunciare, per non farsi carico…

Mi hai confermato che proprio gli atei sono ossessionati da Dio, tanto che mi hai fatto condividere totalmente una frase che ho letto proprio in questi giorni ne Il matematico indiano di David Leavitt e che prima di leggere la tua lettera non avrei forse capito. Dice: «Quello che non sono mai riuscito a capire è come Dio possa diventare reale per il non credente quanto lo è per il credente».
In realtà ora sono sempre più convinto che Dio diventa spesso più reale per il non credente di quanto lo sia per molti che si ritengono o proclamano credenti ma credono in realtà in una scimmia di Dio…
Scusami il lungo sproloquio ma è il mio grazie per la verifica della mia fede che mi hai costretto e aiutato a fare.

Con amicizia.
don Walter Fiocchi

(4 gennaio 2010)